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Gli effetti perversi delle formule dei Costi Standard

La recente sentenza del TAR Lazio ha sollevato la questione dell’illegittimità del DM sui Costi Standard per l’università.

19/01/2016
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ROARS

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La recente sentenza del TAR Lazio ha sollevato la questione dell’illegittimità del DM sui Costi Standard per l’università. I giudici in particolare hanno lamentato il fatto che l’introduzione, calata dall’alto, senza alcuna discussione parlamentare (e pubblica), di astruse formule matematiche, ben lontano dall’essere un mero intervento tecnico, possa arrivare a comportare in pochi anni anche la chiusura di un ateneo. In questo articolo vediamo come le perplessità dei giudici sono pienamente fondate anche e soprattutto da un punto di vista tecnico. Passeremo in rassegna alcuni degli errori contenuti nelle formule utilizzate dal MIUR e vedremo quali gravi paradossali conseguenze stanno comportando nella vita degli atenei. Fra queste, la più clamorosa è la possibile chiusura di alcuni corsi di studio di area scientifica (e non solo).

1. Una revisione necessaria. Non solo per la sentenza del TAR

Sono passati ormai due anni da quando il MIUR ha adottato il “costo standard unitario di formazione per studente in corso” per ripartire la quota base degli atenei. Nel 2014 i “costi standard” hanno pesato per il 20% sull’intera quota base. Percentuale che è salita al 25% nel 2015 ed è destinata ad aumentare fino a raggiungere progressivamente il 100% nei prossimi anni, secondo una tabella di marcia decisa dal Ministro Giannini.

Una rivoluzione, quindi, nel sistema di finanziamento delle università, capace di spostare enormi quantità di risorse da un ateneo all’altro, e cambiare radicalmente offerta formativa e capacità assunzionali di un ateneo.

Un cambiamento in astratto positivo, in quanto supera la “spesa storica” come metodo di ripartizione del FFO, per legare i finanziamenti alle spese che, in principio, un ateneo dovrebbe sostenere per una delle sue mission principali: la formazione degli studenti.

La “ratio” dei costi standard infatti consiste nell’assegnare a ciascun studente in corso un “prezzo giusto”. Tale prezzo giusto è, esattamente come accade nel famoso esempio della “siringa” per la sanità, una quantificazione delle spese che un ateneo sostiene, o meglio dovrebbe sostenere, per la formazione di uno studente: dal costo per la docenza, a quello per il tutoraggio, passando per le bollette per luce e riscaldamento, fino alla manutenzione delle aule.

Non solo, ma in base alle norme che lo hanno istituito, il costo standard dovrebbe tener conto «della tipologia del corso di studi, delle dimensioni dell’ateneo e dei differenti contesti economici, territoriali e infrastrutturali in cui opera l’università».

Tutto bene dunque?

No, perché quando si è trattato di passare dalle formule di principio alle formule … matematiche, gli algoritmi ed i metodi di calcolo definiti dal MIUR nel decreto attuativo hanno suscitato molto più che qualche perplessità.

In questo articolo cercheremo di chiarire quali sono stati gli errori più gravi commessi nel calcolo dei costi standard. Come vedremo alcuni di questi errori possono avere delle conseguenze gravissime e irreversibili non solo nella vita di un ateneo, ma nella stessa struttura della cultura italiana. Sarebbe dunque opportuno quantomeno una revisione di tali algoritmi in vista della prossima ripartizione del FFO, in maniera trasparente e responsabile, coinvolgendo la comunità accademica in decisioni tanto delicate.

Le parole “trasparenza” e “responsabilità” non sono state usate a caso. Infatti non è mai stato chiaro “chi”, quale commissione o gruppo di lavoro, abbia lavorato all’algoritmo di calcolo dei costi standard. Né, ad oggi, è chiaro quale sia stato il parere dell’ANVUR. La legge afferma che «la determinazione del costo standard è definita sentita l’ANVUR». Tale parere, nonostante gli obblighi di trasparenza, è ancora oggi irreperibile sul sito dell’agenzia. C’è da augurarsi che il nuovo direttivo possa sopperire a questa dimenticanza.

Passiamo ora all’analisi di alcuni tra gli indicatori usati. Per una illustrazione dettagliata della loro definizione rinviamo all’articolo di Caterina Chiocchetta apparso su queste stesse pagine.

2. Costi per la didattica: ecco cosa non funziona

Come quantificare le spese per la didattica? L’idea del MIUR è pressappoco la seguente. Consideriamo uno studente immatricolato in una classe di laurea X. Per la sua formazione l’ateneo deve provvedere al pagamento dello stipendio di un numero minimo di docenti, i cosiddetti “docenti di riferimento” (o “garanti”) del corso di studi, come previsto dal sistema AVA. Come noto tale numero aumenta proporzionalmente se il numero degli immatricolati supera la “numerosità massima” prevista per quella classe di laurea. Per esempio, se X è un corso di laurea triennale, il numero minimo di docenti di riferimento è 9 (3 per ciascun anno). Il coordinatore del corso X allora può trovarsi di fronte ad i seguenti tre scenari.

a) Il numero di studenti immatricolati (*) è esattamente uguale alla numerosità massima AVA.

Il coordinatore tira (inizialmente) un sospiro di sollievo, in quanto se gli studenti fossero stati di più avrebbe avuto bisogno di ulteriori docenti garanti oltre i 9 previsti dalla normativa e di questi tempi non è facile trovarli.

Ebbene, in questo caso il MIUR riconosce come “costo standard” il seguente numero:

costo standard per X = stipendio medio di 9 docenti

(vedremo in seguito come i tecnici del MIUR abbiano sbagliato a calcolare tale media …)

La formula appare ragionevole: 9 docenti servono all’ateneo e 9 docenti vengono riconosciuti come voce di costo.

b) Il numero di studenti è superiore alla numerosità massima AVA.

Per esempio supponiamo sia il doppio. Il coordinatore sa che in tal caso avrà bisogno di un numero proporzionalmente maggiore di docenti di riferimento: 18 anziché 9. In tal caso il MIUR calcola come “costo standard” il seguente numero:

costo standard per X = stipendio medio di 18 docenti

Ancora una volta ragionevole: 18 docenti occorrono all’ateneo per l’accreditamento e 18 docenti vengono riconosciuti come voce di costo.

Il terzo caso, che è anche il più comune per atenei di medie dimensioni, è quello più insidioso…

c) Il numero di studenti è inferiore alla numerosità massima AVA.

Per esempio supponiamo sia la metà. La normativa ministeriale impone all’ateneo sempre 9 docenti di riferimento, al fine di mantenere gli standard minimi quali-quantitativi per una buona didattica.

Ebbene, sebbene il MIUR imponga all’ateneo di impiegare quei 9 docenti per l’accreditamento del corso, lo stesso MIUR riconosce come costo standard il seguente numero:

costo standard per X = stipendio medio di 4,5 docenti

cioè la metà del costo che l’ateneo deve sostenere.

Questa è una prima conseguenza, su buona parte dei corsi di studio (con degli “sconti” alquanto bizzarri, di cui parleremo dopo) della formula

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che il lettore può trovare nel Decreto Ministeriale sui costi standard.

L’irragionevolezza della formula, peraltro già evidenziata dal CUN, è evidente, come evidenti sono le conseguenze che la sua applicazione può avere nella ridefinizione dell’offerta formativa di un ateneo: un qualsiasi corso di studi con un numero di studenti in corso al di sotto non della numerosità di riferimento, ma addirittura della “numerosità massima” è, dal punto di vista dei costi standard, considerato in perdita.

La formula inoltre vìola uno dei pochi “paletti” previsti dalla legge: il costo standard deve essere commisurato alle dimensioni dell’ateneo. Circostanza contraddetta dal fatto che le numerosità massime considerate dal MIUR sono numeri costanti, indipendenti dalla grandezza dell’ateneo. Vengono quindi favoriti, a parità di ogni altra condizione, i mega-atenei rispetto a tutti gli altri.

Ma i problemi più gravi devono ancora arrivare …

3. “Avevamo calcolato le mediane”

A quanto ammontano queste “numerosità massime” utilizzate dal MIUR per i costi standard? Dipendono dal corso di studi, visto che non avrebbe senso confrontare, per esempio, un corso di studi in Fisica con uno in Ingegneria Edile? E quali sono gli “sconti” di cui si parlava prima?

Cerchiamo di rispondere a tali domande, partendo da un esempio. Consideriamo quattro corsi di studio triennali: Geologia, Matematica, Informatica, Ingegneria Informatica. Anticipiamo che per due di essi il MIUR ha previsto uno sconto del 50% sulla “numerosità massima” di studenti per il calcolo dei costi standard.

Ciascuno di questi corsi ha sue proprie specificità. Sicuramente Geologia e Matematica sono caratterizzati storicamente da un numero contenuto di immatricolati, tanto da essere destinatari, insieme a Fisica e Chimica, di uno specifico programma ministeriale, il Progetto Lauree Scientifiche, per avvicinare a queste discipline gli studenti delle scuole superiori. Informatica e soprattutto Ingegneria Informatica sono invece caratterizzati da trend nettamente più elevati di immatricolazioni, sia in Italia che all’estero, tanto che per essi è spesso previsto il numero programmato.

Tale diversità si rispecchia in diverse numerosità massime previste dal sistema AVA per poter chiedere l’accreditamento del corso di studi: 75 studenti per Geologia e Matematica, 150 per Informatica e Ingegneria Informatica.

E allora per quali tra questi corsi di studio il MIUR può mai aver fatto uno sconto del 50% sulla numerosità massima per il calcolo del costo standard? … ovviamente Informatica e Ingegneria Informatica, l’esatto contrario di quanto ci si sarebbe aspettati!

Infatti per questi ultimi corsi di studio, il MIUR dimezza a 75, dai 150 dei valori AVA, il “valore soglia” della numerosità di immatricolati ai fini del calcolo del costo standard. Così i tecnici del MIUR motivano la loro decisione:

Le numerosità degli studenti sono state individuate in base alla mediana delle immatricolazioni effettive nelle tre macro‐aree e tenuto conto dell’esigenza di individuare standard compatibili con le medie OCSE nel rapporto studenti/docenti

Il MIUR ha accomunato in un’unica mega-area tutte le classi di laurea di ambito scientifico e tecnologico, prescindendo dalle loro specificità, ed ha calcolato la mediana delle immatricolazioni su tale mega distribuzione. Sarebbe come calcolare i valori delle mediane per gli indicatori ASN non su ciascun settore concorsuale ma sull’unione di più Aree disciplinari.

Per comprendere l’errore metodologico del MIUR, abbiamo effettuato noi il calcolo del valore mediano delle immatricolazioni per le quattro classi di laurea dell’esempio, riscontrando valori molto più eterogenei di quelli utilizzati dal MIUR:

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Il risultato di questa scelta del MIUR è di rendere sconveniente per gli atenei il mantenimento di corsi di studio, come Geologia, fondamentali per il Paese, o altri, come Matematica, Fisica o Chimica, sul cui sviluppo il Governo Italiano si era perfino impegnato in sede europea (Europa 2020).

Come mostra la Tabella 2, infatti, solo una percentuale minima di sedi – prevalentemente i grandi atenei del Centro-Nord – superano i valori soglia dei costi standard. Nel caso di Geologia la tabella mostra una situazione particolarmente drammatica: 0 sedi su 10 nell’Italia Meridionale soddisfano i requisiti del MIUR.

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La politica degli “sconti” sulle numerosità massime è stata praticata dal MIUR, in misura variabile, praticamente per tutti i corsi di studio tranne quelli di area scientifica. Nel caso delle lauree magistrali poi si è arrivati al paradosso che per le lauree scientifiche il MIUR ha perfino aumentato, anziché diminuire, le numerosità massime. In altre parole, queste classi di laurea, per un arbitrario posizionamento degli indicatori deciso autonomamente dal ministero, sono strutturalmente in perdita, a prescindere dalla loro reale efficienza e qualità.

È dunque pienamente giustificato l’allarme lanciato a questo riguardo dal Collegio Nazionale Presidenti CdS Geologia e Geofisica e dalla Conferenza Nazionale dei Presidenti e dei Direttori delle Strutture Universitarie di Scienze e Tecnologie, che hanno chiesto al MIUR di modificare gli indicatori utilizzati. Infatti, tra gli effetti perversi di questi algoritmi vi può essere non solamente lo spostamento di risorse da un ateneo all’altro, o da un territorio all’altro, ma perfino la compressione forzata di corsi di studio di area scientifica, tutta concentrata, peraltro, in un’unica parte del Paese.

Si tratta di un meccanismo alquanto complesso che può essere metaforicamente illustrato con una gara nella quale il giudice a pochi istanti dal via, senza alcuna ragione, pone il blocco di partenza di alcuni concorrenti più in avanti, mentre quello di altri viene posto più indietro.

Di seguito pubblichiamo l’elenco di questi corsi di studio ingiustamente penalizzati dal giudice di gara.

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Invero questa tabella non esaurisce l’elenco delle penalizzazioni e disparità causate dalla politica degli “sconti” attuata dal Ministero. Vi sono infatti diverse classi di laurea magistrali, come per esempio Finanza, Scienze economico-aziendali, Scienze filosofiche e praticamente tutte le classi magistrali di Ingegneria e delle Professioni sanitarie che hanno sì ricevuto uno sconto (circa il 20%), ma notevolmente inferiore rispetto a quello concesso ad altre classi quali Giurisprudenza o Scienze della Comunicazione, beneficiarie di una sanatoria, rispettivamente, del 60% e 67% rispetto alle numerosità massime necessarie all’attivazione dei corsi.

Mettiamo a disposizione dei lettori le tabelle complete a questo link.

Gli errori commessi dagli estensori del DM, che hanno portato a questa situazione sono duplici:

  1. Essersi riferiti al sistema AVA per la determinazione dei costi sulla didattica, ma poi aver cambiato – e solo per alcune classi di laurea – le numerosità massime, falsando completamente i calcoli.
  2. Essere passati da una suddivisione delle classi nelle 4 macro-aree previste da AVA ad una suddivisione in sole 2 macro-aree (tralasciamo quella medico-sanitaria, che comprende pochissime classi di laurea). Ciò ha presumibilmente causato fenomeni di livellamento, portando da un lato a sconti molto elevati per alcune classi e dall’altro perfino all’aumento delle numerosità massime per altre.

4.  Come sbagliare a calcolare una media

Dicevamo: il MIUR riconosce i “costi medi” del numero di docenti impiegati come “garanti” per una classe di laurea, eventualmente diminuiti se si scende sotto la “soglia” decisa dal MIUR stesso.

Per calcolare tali costi medi, il MIUR immagina come “modello standard” per la composizione del personale docente il modello a cilindro: 1/3 ricercatori, 1/3 professori associati e 1/3 professori ordinari.

Dopodiché passa a calcolare i costi medi per ciascuna di queste tre fasce in ogni ateneo, nel modo seguente:

costo medio docenti ateneo =
= stipendio medio ricercatori ateneo + stipendio medio associati ateneo + stipendio medio ordinari ateneo
= 0,5 · stipendio medio ordinari ateneo + 0,7 · stipendio medio ordinari ateneo + 1 · stipendio medio ordinari ateneo
= (1 + 0,7 + 0,5) · stipendio medio ordinari ateneo

giungendo così alla formula finale:

costo medio docenti ateneo = 2,2 · stipendio medio ordinari ateneo

A questo punto il MIUR calcola, attraverso il Cineca, lo stipendio medio dei professori ordinari di ciascun ateneo italiano (il MIUR lo chiama punto caratteristico di ateneo). Basterà moltiplicare tale dato per 2,2 per ottenere il costo medio di un docente dell’ateneo.

I tecnici del MIUR utilizzano lo stipendio medio dei professori ordinari di un ateneo anche per calcolare i costi standard per i servizi didattici, organizzativi e strumentali: segreterie studenti, tecnici di laboratorio, ecc. In ciascun ateneo esso è proporzionale al seguente numero

0,375 · stipendio medio ordinari ateneo.

Ebbene, le precedenti due formule sono entrambe errate. Lo sbaglio consiste nell’erroneo presupposto che per ciascun ateneo si abbia che

  • stipendio medio associati = 0,7 · stipendio medio ordinari
  • stipendio medio ricercatori = 0,5 · stipendio medio ordinari
  • stipendio medio tecnici-amministrativi = 0,375 · stipendio medio ordinari

Tali relazioni al limite possono essere vere a livello nazionale (ma anche lì si registrano diversi scostamenti da un anno all’altro). Nulla invece ci garantisce che esse continuino ad essere vere a livello di ateneo. Anzi, le dinamiche del reclutamento, con le recenti promozioni di carriera a seguito della abilitazioni, molto differenziate tra le varie fasce e tra atenei diversi, possono comportare anche sensibili fluttuazioni dei rapporti tra gli stipendi medi di due fasce diverse da una università all’altra.

Per verificare l’inesattezza delle formule usate dal MIUR abbiamo messo a confronto, ateneo per ateneo, i dati reali dei costi medi, forniti dalla banca dati DALIA-CINECA, con i dati forniti dal MIUR nella ripartizione del FFO 2015. Precisamente abbiamo parametrato, in entrambi i casi, i costi medi di ogni ateneo a quelli dell’ateneo con punto caratteristico più alto (Università Orientale di Napoli). Se le formule del MIUR fossero corrette, ogni istogramma del seguente grafico dovrebbe avere altezza zero, cosa che invece non avviene:

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Ripetendo la stessa procedura anche per i costi del personale tecnico-amministrativo si ottengono scostamenti tra dati reali e dati MIUR anche maggiori rispetto a quanto avveniva per il personale docente.

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D’altra parte non c’era bisogno di far ricorso ai calcoli per capire l’irragionevolezza di far dipendere il costo standard legato ai servizi di segreteria al costo medio dei professori ordinari di un dato ateneo. Ciò equivarrebbe ad affermare che gli atenei che spendono di più per i servizi amministrativi a supporto degli studenti sono quelli con i docenti ordinari più anziani!

Si noti anche come, ancora una volta, un errore tecnico molto banale possa avere delle conseguenze gravi e paradossali per la vita di un ateneo: la formula del MIUR infatti incentiva gli atenei ad “invecchiare” i propri professori ordinari, destinatari dalle varie normative di compiti di grande responsabilità (commissioni concorsi, abilitazioni, cariche accademiche, ecc). Esattamente il contrario dell’invocato e necessario “svecchiamento” del corpo docente italiano.

5. La perequazione che non perequa

Per adempiere, almeno da un punto di vista formale, alla prescrizione di legge per la quale il costo standard deve tener conto degli squilibri economici dei territori dove gli atenei si trovano ad operare, il MIUR ha introdotto un addendo correttivo, chiamato perequazione, e definito nel modo seguente.

Il MIUR calcola dapprima la tassazione media nazionale per gli studenti in corso: 958 €, secondo gli ultimi dati disponibili. A questo punto viene calcolato quanto dovrebbe essere la tassazione di ogni ateneo che opera in una data regione, parametrando il reddito medio di quella regione al il reddito medio nazionale.

A puro titolo di esempio, per la Sardegna, i calcoli portano a

“tassazione presunta” Sardegna = 958 · reddito Sardegna / reddito Italia = 868 €

Secondo il MIUR gli atenei di Cagliari e Sassari dovrebbero chiedere ai loro studenti 868 € all’anno a testa. In realtà la tassazione media nei due atenei è largamente al di sotto di questa cifra, ed è proprio qui che l’algoritmo ideato dal MIUR riesce ad evitare di effettuare una vera perequazione.

Per la Lombardia, la regione col più alto reddito medio, il MIUR calcola una “tassazione presunta” di 1099 €, quasi certamente molto al di sotto della tassazione reale degli atenei lombardi.

A questo punto, la “perequazione” per gli atenei sardi è data da quanto la “tassazione presunta” della Sardegna (più alta di quella reale) si discosta dalla quella della Lombardia (più bassa di quella reale):

perequazione Sardegna = 1099 € – 868 € = 231 €

Si tratta di un addendo quasi irrisorio (poco più del 3%) sul totale del costo standard (per il 2015 il costo standard unitario dell’Università di Cagliari e Sassari è stato, rispettivamente, di 6.821€ e di 7.058€).

Ciò è dovuto all’aver perso, con il calcolo della media, i fortissimi scostamenti sulla tassazione studentesca che si registrano non solo tra atenei di diverse regioni ma perfino tra atenei operanti nel medesimo territorio. Tra l’altro la perequazione è calcolata su base regionale ed è identica per gli atenei che hanno sede nella stessa regione, a prescindere dall’effettivo livello di tassazione di tali atenei.

Un ulteriore errore commesso dal MIUR consiste nel descrivere con una funzione lineare un fenomeno molto non-lineare, soprattutto per gli atenei del Sud. Infatti il modello del MIUR non tiene conto del fattore, per nulla trascurabile, legato agli esoneri / rimborsi e indipendente dalla volontà degli atenei: al di sotto di un certo reddito uno studente ha diritto ad essere esonerato o rimborsato per le tasse pagate. Tale fenomeno non è distribuito linearmente in tutte le regioni italiane, ma è concentrato soprattutto nel Centro-Sud.

Ma c’è dell’altro. Un effetto perverso di questo algoritmo è che alcuni tra gli “atenei fuori-legge”, quelli che violano il tetto massimo alla tassazione previsto dalla legge, anziché essere puniti, si sono visti riconoscere perfino una perequazione!

Come detto, il MIUR non ha reso noti gli elenchi di tali atenei, né l’ammontare degli importi illecitamente incassati. La Tabella 4 riporta una stima effettuata dall’associazione studentesca UDU per l’a.a. 2012/13. I dati attuali presumibilmente sono sensibilmente più alti di quelli riportati in tabella ed il numero di atenei fuori legge anche molto più ampio.

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La Tabella 4 mostra plasticamente l’effetto perverso ed anti-perequativo raggiunto dall’algoritmo del MIUR: l’Università Ca’ Foscari di Venezia, per esempio, anziché vedersi decurtare 602 € dal suo costo standard, l’importo medio incassato oltre il consentito, viene addirittura premiata con una perequazione di 70 € a studente. Situazione analoghe accadono per altri atenei, con differenze notevoli anche tra atenei appartenenti alla stessa regione proprio perché la perequazione è calcolata su base regionale.

Si noti che anche l’algoritmo usato dal MIUR per definire l’addendo perequativo non tiene conto, così come invece prescritto dalla legge, «dei differenti contesti territoriali e infrastrutturali», oltre che «economici». Proprio la Sardegna, per la sua peculiarità geografica, si presta molto bene a fare da esempio. La sua condizione di isolamento geografico infatti si riflette sul numero di studenti provenienti da altre regioni, drammaticamente più basso rispetto ad altri atenei, come mostrato dalla Tabella 5.

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Le ragioni di tale gap, presente, anche se in misura minore, in tutte le università del Mezzogiorno, sono molteplici. Fra di queste vi sono i differenti contesti territoriali ed infrastrutturali, oltre che condizioni economiche più disagiate e con meno prospettive occupazionali per gli studenti dopo la laurea. Basti pensare alle difficoltà di muoversi in treno in Calabria o Sicilia. Il caso Sardegna è da questo punto di vista esemplare, presentando problemi molto gravi di collegamento sia interni all’isola che tra la regione e resto d’Italia.

Un intervento compensativo dello svantaggio di partenza ben riassunto nella Tabella 5 dovrebbe essere quantomeno oggetto di discussione, per trovare spazio in una revisione della perequazione che, altrimenti, rimarrebbe solo un intervento di facciata.

6. Ulteriori problemi

Vi sono altre questioni degne di discussione, che per motivi di spazio e per la loro tecnicità abbiamo tralasciato in questa prima analisi dettagliata delle criticità degli algoritmi di calcolo dei costo studente standard. Diamo comunque un breve cenno ad alcune di esse.

Colpa degli economisti o degli ingegneri? Il MIUR quantifica il costo che un ateneo dovrebbe sostenere per la “dotazione infrastrutturale, di funzionamento e di gestione delle strutture didattiche” mediante questa formula

2.053.582 + 4.091 · StudA + 1.669 · StudB + 570 · StudC

dove StudA, StudB, StudC indicano, rispettivamente, il numero di studenti in corso, in un dato ateneo, iscritti ad una classe di laurea di area medico-sanitaria, scientifico-tecnologica e umanistico-sociale (si noti che il primo addendo, 2.053.582 €, è indipendente dalle dimensioni dell’ateneo).

Una delle criticità di tale formula è che i coefficienti che vi compaiono non sono il frutto di un modello, ma sono stati ricavati per regressione «dai bilanci degli atenei», fotografando così, di fatto, la realtà oggi esistente piuttosto che indicare il “prezzo giusto”, come sarebbe più proprio dei costi standard. Il MIUR motiva l’uso di tali coefficienti con la scelta (effettuata da chi?) di non seguire nel DM sui costi standard né il modello ingegneristico-gestionale, né quello econometrico, ma di aver optato per un modello “misto”… Nell’attesa che i diretti interessati (ingegneri ed economisti) dicano la loro, solleviamo una seconda perplessità: cioè che, ancora una volta a dispetto di quanto previsto dalla legge, tali coefficienti non tengono conto «dei differenti contesti infrastrutturali in cui opera l’università».

Tecnici di laboratorio. Abbiamo già discusso della illogicità della formula riguardante il costo dei servizi tecnico-amministrativi a supporto della didattica, proporzionali allo stipendio medio dei professori ordinari in un dato ateneo. Un secondo problema di non poco conto è che tale formula è indipendente dall’area didattica a cui è iscritto lo studente. Tuttavia, come è facilmente verificabile, tali costi variano moltissimo a seconda del corso di studi frequentato: si pensi al personale tecnico impiegato nei laboratori didattici di alcuni corsi di studio scientifici, in particolare bio-medici.

Conflitto di interessi. Osserviamo infine che, sempre contrariamente a quanto affermato dalla legge, con un suo atto autonomo il Ministro Giannini ha esentato dalla sfera di applicazione dei costi standard le Istituzioni ad Ordinamento Speciale e assimilate. La ripartizione in base alla spesa storica, così criticata quando applicata al complesso delle università statali, diviene così l’unico riferimento per la distribuzione della quota base del FFO ad università … speciali anche nel trattamento loro assegnato. È ovvio che per tali istituzioni non poteva essere usato il medesimo costo standard definito per gli altri atenei, ma la legge imponeva al MIUR di definire un nuovo costo standard, parametrato alle specificità di tali istituzioni (corsi dottorali, studenti stranieri, ecc.). Non averlo fatto lascia un’ombra su tutta la vicenda, tenendo conto del fatto che tra le “università speciali” esentate dal Ministro dai costi standard vi è anche quella di cui il Ministro stesso era rettore.

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(*) In realtà, ai fini del calcolo del costo standard, si utilizza il numero totale di studenti iscritti nei 3 anni. Inoltre il calcolo è effettuato a livello di “classe”, non di “corso di studi”. Ma a fini esemplificativi possiamo limitarci a considerare gli immatricolati


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