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Giubileo della Misericordia. Quei ragazzi persi per strada dalla scuola

#MyJubilee: 250 milioni di bimbi nel mondo non sanno leggere, scrivere né fare di conto. Ma anche nelle scuole italiane il divario fra Nord e Sud, italiani e stranieri è insopportabile. Un alunno dotato deve aiutare il suo vicino di banco così crescerà in salute anziché in arroganza

09/06/2016
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Corriere della sera

Orsola Riva

250 milioni di bimbi in tutto il mondo non sanno leggere, scrivere né fare di conto. Magari hanno anche frequentato la scuola ma non abbastanza da uscire dalla ghetto dell’ignoranza. Vittime della miseria, delle guerre, del pregiudizio, sono condannati a perpetuare l’esclusione sociale di cui sono figli. Dall’Africa al Pakistan, dal Sudamerica alla Siria, quella che per i nostri figli è troppo spesso una gran scocciatura, a migliaia di chilometri di distanza da qui, è una speranza, un sogno, per il quale oggi come ieri vale la pena di lottare e di rischiare anche la vita. Come dimenticare le immagini di quell’11 giugno del 1963 in cui James Hood e Vivian Malone si presentarono all’università dell’Alabama sfidando l’opposizione del governatore dello Stato George Wallace, convinto segregazionista, deciso a impedire la profanazione dell’ateneo da parte delle prime due matricole afro-americane? E Malala? Malala aveva solo 11 quando ha aperto il suo blog sulla Bbc per denunciare l’oppressione del regime talebano sulle donne pakistane: quattro anni dopo veniva colpita alla testa da una squadraccia di miliziani islamisti, due anni dopo ha vinto il Nobel per la Pace. A volte il nemico da combattere è molto più banale ma non meno insidioso: la distanza.

I quattro capi del mondo nelle nostre scuole

Lo ha descritto bene il documentario Vado a scuola di Pascal Plisson, uscito due anni fa. Raccontava la gioiosa fatica quotidiana di Jackson e della sua sorellina Salomè, di Samuel, Zahira e Carlito che ogni giorno, ai quattro capi del mondo, percorrono decine di chilometri - attraverso la savana infestata da elefanti o su e giù per i picchi della Patagonia a dorso di mulo - pur di andare a scuola e rispondere «presente» all’appello. Possono sembrare storie lontanissime da noi ma non è vero. I quattro capi del mondo oggi abitano nelle nostre scuole: basta scorrere l’elenco dei compagni dei vostri figli: troverete Marco e Joan, Maria e Fatima, Filippo e Rashmika. Quest’anno gli alunni con cittadinanza non italiana sono 800 mila: uno su dieci, tanti alle elementari e alle medie, pochi, troppo pochi, nei licei. Finiscono quasi tutti negli istituti professionali, incoraggiati – si fa per dire – dai prof delle medie e magari anche da qualche bocciatura, anche se quelle in genere si abbattono su di loro subito dopo, al primo anno della scuola superiore, diventando l’anticamera dell’abbandono scolastico, che non a caso colpisce un alunno straniero su tre.

Quelli che... non finiscono la scuola

Non che per i figli di noi italiani le cose vadano molto meglio. La percentuale di giovani fra i 18 e i 24 anni che lascia prematuramente la scuola con in mano il solo diploma di terza media è ancora molto distante dall’obiettivo europeo del 10 per cento. Siamo fermi al 15, con drammatiche disparità regionali però, e i soliti, inaccettabili, picchi negativi al Sud e nelle isole: in Sicilia la dispersione scolastica colpisce un ragazzo su 4, in Campania uno su cinque. Né le cose vanno meglio quando si confrontano i risultati scolastici. Basti guardare i test Ocse-Pisa dove i ragazzi del Nordest se la battono in matematica con i migliori d’Europa (svizzeri, olandesi, estoni e finlandesi) mentre i calabresi rivaleggiano con quelli kazaki. Mentre sempre dalla Calabria arrivano con cadenza regolare notizie di stampa che raccontano, nell’indifferenza generale, di genitori arrestati perché oggi, nel 2016 - settant’anni dopo l’infanzia rubata a Gavino Ledda da suo padre - invece di mandarli a scuola, spediscono i propri figli a lavorare nei campi. E non è certo una buona notizia se la Campania è la sola regione dove gli alunni immigrati vanno meglio in italiano degli italiani…

Analfabeti alle scuole superiori

Di fronte a questo stato di cose, spiace che il dibattito odierno sulla scuola tenda a concentrarsi più sulla (presunta) mancata valorizzazione delle eccellenze che sulla necessità di innalzare i livelli minimi. Senza nulla togliere all’importanza di migliorare le competenze di inglese e informatica dei nostri ragazzi e magari anche di aprirli al confronto con il mondo del lavoro che li aspetta (non foss’altro che per tacitare ogni residuo sospetto di «bamboccionismo») , apparentemente il nostro problema non è certo che ci manchino dei bravi studenti - del resto se esportiamo cervelli è perché nonostante tutto continuiamo a produrne in gran quantità - ma che nelle nostre scuole abbiamo ancora troppi semi analfabeti: ragazzi che a 15 anni non riescono nemmeno a risolvere un problema in cui si chiede loro quanta farina ci voglia per fare una torta per otto sapendo quanta ne usiamo per una da quattro.

La scuola deve includere non selezionare

Quanto agli studenti bravi vale la regola di Montaigne: meglio una testa ben fatta che una testa ben piena. Se mio figlio è bravo in matematica è giusto che la maestra lo metta a studiare con uno meno bravo. E se è bravo in italiano, che affianchi un cinese. Così i suoi compagni meno fortunati avranno l’occasione di imparare nel modo più facile e migliore che c’è: dal loro vicino di banco. Mentre lui, il presunto dotato, crescerà in salute anziché in arroganza. Lo ha detto benissimo anche papa Francesco: «L’educazione è diventata troppo selettiva ed elitaria. Sembra che abbiano diritto all’educazione soltanto i popoli o le persone che hanno un certo livello o una certa capacità; ma certamente non hanno diritto all’educazione tutti i bambini, tutti i giovani. Questa è una realtà mondiale che ci fa vergognare». L’alunno che all’intervallo invece di giocare con i compagni studia, non è un successo ma un fallimento. A scuola non si va certo solo per imparare, ma per socializzare il sapere. Come dice l’articolo 3 della Costituzione: «È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana». Da dove si comincia se non dalla scuola?


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