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Gianotti “La scienza è un mestiere per donne non credete a chi lo nega”

La direttrice del Cern ha ricevuto l’incarico di studiare proposte per l’uguaglianza di genere nei Paesi del G7 L’intervista

30/05/2021
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la Repubblica

di Luca Fraioli

«Devo ringraziare i miei genitori.

Non mi sono mai sentita dire: questo non è un mestiere da donne. Mi hanno consigliata, ma sempre lasciandomi libera di scegliere». E le scelte di Fabiola Gianotti l’hanno portata a laurearsi in fisica, a scoprire il bosone di Higgs, a diventare direttrice generale del Cern, il più grande laboratorio del mondo per la fisica delle particelle. E oggi, coerentemente, ad assumere un nuovo incarico: da poche settimane, per volere del governo inglese, è stata inclusa nel Consiglio consultivo per l’uguaglianza di genere del G7. Obiettivo: garantire che i governi dei Sette Grandi mettano le donne al centro della loro agenda per il ritorno alla normalità dopo l’emergenza Covid. «Sto contribuendo a sviluppare proposte per aumentare la frazione delle donne nella scienza e nella tecnologia, nell’ingegneria e nella matematica, il cosiddetto settore STEM: attualmente è particolarmente bassa, intorno al 20%. Si stratta senz’altro di una iniziativa lodevolissima: il fatto che i Paesi del G7 vogliano intraprendere questo cammino insieme è una garanzia di successo».

Direttrice Gianotti, perché oggi è importante che sempre più ragazze abbiano accesso al mondo della ricerca scientifica e tecnologica?

«Assistiamo a una evoluzione rapidissima della tecnologia e a un suo crescente impatto nella società moderna. Tutto questo richiede sempre più talenti nelle discipline scientifiche. Quindi se si vuole aumentare la presenza femminile nel mercato del lavoro bisogna in particolare incoraggiare le ragazze a studiare le materie scientifiche».

È di poche ore fa la notizia che l’italiana Samantha Cristoforetti sarà la prima donna europea con il ruolo di comandante sulla Stazione spaziale internazionale. C’è poi Cristina Messa alla guida del ministero dell’Università e della Ricerca, Maria Chiara Carrozza è il neopresidente del Consiglio delle ricerche, oltre naturalmente a lei.

Sono coincidenze? O qualcosa è cambiato nella scienza del nostro Paese?

«No, non penso che siano coincidenze. Credo invece che negli ultimi decenni si siano fatti molti passi avanti. Non penso che Samantha Cristoforetti, Cristina Messa, Maria Chiara Carrozza o la sottoscritta saremmo arrivate in queste posizioni se non avessimo trovato un ambiente favorevole che ci ha sostenute. È cruciale che ci siano donne in questi ruoli molto visibili, perché sappiamo che i “modelli” sono molto importanti per le giovani generazioni, per motivarle e incoraggiarle a intraprendere una attività professionale nel campo scientifico. Tuttavia, queste presenze femminili molto visibili non devono trarci in inganno e indurci a pensare che il problema sia stato risolto. Perché non è così».

Quante ricercatici c’erano al Cern quando vi ha messo piede la prima volta? E qual è la situazione oggi?

«Quando arrivai al Cern nel 1994 subito dopo il dottorato di ricerca in fisica all’Università Statale di Milano, le donne scienziato (ingegneri o fisici) erano l’8% de l totale. Oggi siamo circa il 20%, quindi ci sono stati dei progressi. Il Cern ha fatto molti sforzi nel corso degli anni per offrire le stesse opportunità di carriera a uomini e donne. Per esempio gli stessi stipendi: il famoso pay gap al Cern oggi non esiste più e uomini e donne che fanno lo stesso lavoro sono pagati nello stesso modo. Vengono monitorate le carriere e le promozioni. E oggi ai livelli più alti della direzione del Cern, tra i direttori e i capi di dipartimento, le donne rappresentano circa il 40%. Il doppio che alla base».

Perché è così difficile arrivare al 50% in tutti i ruoli?

«Nel caso del Cern oggi l’ostacolo maggiore a raggiungere la parità è in quella che noi chiamiamo la pipeline , vale a dire nell’afflusso dei giovani ricercatori: le donne che decidono di intraprendere un percorso professionale nella ricerca in fisica sono ancora una minoranza rispetto ai colleghi uomini. Di qui la necessità di aumentare la presenza femminile in questa pipeline promuovendo le materie STEM fra le ragazze».

Dunque poche giovani donne che scelgono la ricerca. Aldilà delle resistenze di un certo mondo accademico, quanto contano invece gli stereotipi ancora presenti nelle famiglie e più in generale nella società?

«C’è un problema culturale a tutti i livelli, nella famiglia come nella scuola e nella società. Occorre dare i messaggi giusti, rassicurare le ragazze che una carriera in campo scientifico è un percorso bellissimo per una donna. Mi piacerebbe una campagna di comunicazione che mostri alle ragazze come intraprendere un’attività professionale nel campo scientifico sia una scelta molto gratificante. I giovani sono particolarmente sensibili ai temi dell’ambiente, del cambiamento climatico, della pandemia: va fatto loro capire che la scienza è cruciale per affrontare queste grandi sfide globali. Direi loro di seguire i propri sogni, se vogliono diventare scienziati, perché è estremamente gratificante contribuire a far progredire le conoscenze dell’Umanità».

Lei cosa sognava da bambina?

«Ho sognato moltissimo e cose diversissime. Di diventare una grande ballerina classica, una pianista. Poi a un certo punto, spinta dalla mia curiosità, ho pensato che la fisica mi avrebbe permesso di dare una risposta alle tante domande che mi ponevo. Così sono approdata alla ricerca in fisica fondamentale. E non me ne sono mai pentita».

La sua famiglia l’ha sostenuta in questo percorso?

«Sempre. E per questo mi ritengo molto fortunata. Non mi sono mai sentita dire “questo non è un mestiere da donne”, come purtroppo succede ancora oggi e troppo spesso».

C’è persino un senatore della Repubblica, Simone Pillon, che ha appena sostenuto pubblicamente: “Le donne hanno maggiore propensione per le materie legate all’accudimento”.

«Dobbiamo impegnarci ad abbattere pregiudizi che non hanno alcuna base scientifica».


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