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Giannini (Sc): Merito, valutazione, responsabilità

Sulle 6 idee di Tuttoscuola interviene Stefania Giannini, responsabile scuola di Scelta Civica, ex rettore dell'Università di Perugia

23/02/2014
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Tuttoscuola

Nel commentare la stimolante proposta di Tuttoscuola, (Dossier Sei idee per rilanciare la scuola), vorrei partire dalle parole, che disegnano i nostri orizzonti, politici e culturali e a cui affidiamo, anche in sede legislativa, le nostre idee e l’attuazione dei nostri progetti per il Paese.

Parlando di scuola, mi vengono subito in mente almeno tre parole (non espressamente sottolineate come parole-chiave nel Dossier): merito, valutazione e responsabilità. Tre parole ovvie, quando si parla di processi di insegnamento e di apprendimento, fulcro indiscusso della missione della scuola di ogni ordine e grado, tre parole che, tuttavia, non hanno ancora trovato una loro declinazione concreta, nell’impianto della scuola italiana. Ne aggiungo un’altra, ad esse correlata e non meno importante, cui invece il Dossier dedica un paragrafo specifico: autonomia. 

 Su questi quattro pilastri ruota la nostra proposta politica per una scuola italiana che riconosca e valorizzi il merito, che ne pratichi quotidianamente criteri e metodi secondo standard valutativi riconosciuti sul piano internazionale, e che affidi la progettazione e la felice attuazione dell’intero processo ai singoli istituti, in un quadro trasparente, verificabile e rendicontabile nel dettaglio, un quadro di autonomia responsabile. Un modello semplice, di nuovo direi quasi ovvio, nella sua enunciazione teorica, ma complesso nella sua traduzione pratica. La nostra scuola, non dimentichiamolo, sta pagando il pegno a decenni di policy orientate ad altri valori: egualitarismo (vs. meritocrazia), controllo ispettivo (vs. valutazione), centralismo (vs. autonomia). Tutto ciò, va da sé, ha inevitabilmente deresponsabilizzato il nostro attuale modello di istruzione (soprattutto, ma non solo, nella primaria e nella media inferiore), rendendolo progressivamente inadeguato alle esigenze della società italiana, e alla sua necessaria comparazione (e competizione) con gli altri paesi europei.

Merito vs. egualitarismo 

Per avere una scuola realmente a servizio di una società aperta e complessa si deve ripartire dalla centralità del processo di apprendimento (quindi dal ruolo dell’alunno e dello studente). I corsi pomeridiani extracurricolari (musica, lingua etc.) sono un valore, se e soltanto se si abbinano ad un modello didattico curricolare che ricollochi la scuola italiana nella media europea sul piano dei risultati. Gli ultimi dati dell’indagine PISA (Programme for International Student Assessment) ci vedono sotto la media dei paesi OCSE per tutte le competenze valutate (matematica, lettura, scienze e problem solving).

Un dato è certo: Invalsi, come PISA 2001 ha dimostrato che una variazione di risultato che tende ad aumentare non solo tra le diverse aree del Paese e tra i differenti tipi di scuola  superiore (licei, tecnici e professionali), ma anche nella scuola di base e non solo (si arriva fino al 50% tra scuole primarie della stessa zona).

Per risalire posizioni servono alcuni (pochi) interventi prioritari:

  1. Un piano nazionale di aggiornamento e formazione degli insegnanti che veda le università protagoniste permetterà di continuare sulla strada intrapresa, ma con modifiche sostanziali: in particolare, l’inserimento dei laboratori didattici all’interno della laurea magistrale specialistica per l’insegnamento, separando questa fase formativa dal periodo pratico di tirocinio dopo la laurea, è un esempio concerto di tale rivisitazione. Due sono i principi fondamentali: l’abilitazione deve essere conseguente alla valutazione di un effettivo tirocinio nelle classi e il momento dell’abilitazione all’insegnamento e il momento dell’ingresso nei ruoli del personale scolastico devono essere separati.

Scuola e università sono state finora blocchi separati e scarsamente dialoganti. Inutile ripeterne i motivi, noti a chiunque nell’una o nell’altra abbia speso la propria vita e la propria esperienza professionale. Quasi mai chi parla di istruzione in politica conosce le due dimensioni. Ciò ha recato e continua a recare danni e sprechi intellettuali, didattici e formativi. Anche sulla formazione iniziale degli insegnanti abbiamo assistito agli stessi mali: 4 anni di vuoto nel tirocinio formativo, un’impostazione nozionistica e non sempre impeccabile nella formulazione dei test di ammissione, e potrei continuare.

 

  1. Un sistema di arruolamento degli insegnanti e di progressione in carriera che non sia affidato alla casualità anagrafica o, peggio, alla micro-riforma concorsuale dell’ultimo Ministro in carica. I concorsi sono efficaci solo se si svolgono regolarmente. Il concorso per gli insegnanti è stato sospeso per 13 anni. La conseguenza non poteva che essere la patologia del precariato. Riaprilo dopo 13 anni di silenzio per l’immissione in ruolo di 12000 docenti è stato un atto di coraggio e assunzione di responsabilità politica.. Per il futuro: concorsi regolari, che valutino competenze disciplinari e didattiche.

Controllo ispettivo (vs. valutazione), 

Autonomia e responsabilità sono princìpi cardine di un rinnovato sistema dell’istruzione che voglia essere inclusivo (per la coesione sociale interna al Paese) e competitivo (per la necessaria spinta alla crescita e allo sviluppo che un sistema educativo deve garantire in un paese avanzato, dentro e furori dai confini nazionali).

Nella scuola, la maggiore assunzione di responsabilità da parte dei singoli istituti scolastici e delle reti di cui essi fanno parte significa anche poter scegliere i propri insegnanti e poterne valorizzare le qualità e l’impegno. Se tutto questo processo sarà collegato ad una seria e rigorosa attiività di valutazione (vd. nostro programma in merito), nel corso di una generazione scolastica potrà compiersi un vero cambiamento culturale, prezioso per gli studenti e assolutamente necessario per gli insegnanti, che sono stanchi di lavorare in un sistema che appiattisce impegno e passione, che certamente non mancano nelle nostre aule.

 

Gli insegnanti hanno due compiti fondamentali nell’esercizio della loro professione: insegnare (ovvio) e studiare e aggiornare le loro competenze, sul piano dei contenuti disciplinari e del metodo (meno ovvio). Queste due componenti fondamentali nella professionalità di un docente (dalla scuola all’università) sono l’oggetto primario della valutazione del suo operato in aula e della sua interazione con gli alunni o studenti. I metodi di valutazione per la didattica sono ampiamente sperimentati in molti paesi europei, soprattutto nella tradizione anglosassone: uno dei criteri (sia pure di valutazione indiretta) è dato dal risultato del processo di apprendimento che la classe dimostra di avere raggiunto. In questo senso, anche i test Invalsi, pur con le loro imperfezioni, forniscono indicatori in tal senso. Sul piano sella preparazione teorica e metodologica, diventano cruciali l’aggiornamento e la formazione, che non possono restare frutto di una buona volontà occasionale e quasi mai valorizzata.

Valutare significa prima di tutto comparare merito e impegno. Ciò ha un senso e una reale efficacia se e solo se il risultato della valutazione potrà modificare anche una parte del trattamento economico. Una scuola che proceda per anzianità e inerzia non fa bene né a chi ci insegna, né a chi ci impara e soprattutto non fa bene allo sviluppo della nostra società.

Tutto ciò comporta necessariamente anche l’infrazione di un tabù: la modifica dello stato giuridico dei docenti.

È necessario, su due livelli. Il primo riguarda  il contratto nazionale di lavoro e  i meccanismi di progressione in carriera. Il secondo, non secondario, concerne la professionalità del docente scolastico, che deve essere ridefinita e valorizzata nelle sue componenti interne essenziali: didattica, di formazione e aggiornamento, di coordinamento delle attività svolte da altri colleghi all’interno dell’istituto. Su questi punti, la scuola italiana è ferma da anni ad una visione statica e quindi ormai inattuale.

Alcuni esempi concreti: prevedere nel contratto i compiti diversi citati sopra (un bravo docente dopo 25 anni di servizio potrebbe ragionevolmente dedicare parte del proprio impegno orario al coordinamento o alla valutazione). In altri termini, si tratta di un cambio radicale di mentalità, di regole di funzionamento di un mondo, quello della scuola, che appare appiattito, stanco e demotivato, almeno nella sua generalità.

Queste misure, francamente, mi paiono molto più urgenti dell’aumento dei controlli ispettivi, previsti al 4. Punto del Dossier di Tuttoscuola. 

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La valutazione è uno strumento fondamentale per migliorare ogni singola scuola e ogni centro di formazione professionale. Non c’è autonomia senza responsabilità, come enunciato sopra. I dati sono noti e ben diffusi a livello europeo ed internazionale: trasparenza e accountability verso la società esterna (famiglie, studenti, stakeholders). E’ un percorso iniziato da 12 anni e riguarda la valutazione delle scuole e dei dirigenti in linea con le migliori  esperienze a livello internazionali.

Ci sono organismi che già hanno un ruolo nel processo (vd. Art. 52  del decreto semplificazione e sviluppo che affida all'Invalsi il coordinamento del sistema  nazionale di valutazione, legge 10/2011,)  di garanzia tecnica e scientifica e di indipendenza. Ma non basta. Nelle scuole, come nelle università, c’è anche un esercizio interno che deve essere compiuto secondo analoghi criteri di indipendenza e rigore, ma con un occhio attento e consapevole ai differenti bisogni: problemi nella gestione delle risorse umane, nel rapporto con il territorio, nell’impianto di organizzazione della didattica. Questa parte del processo di valutazione deve essere affidata a nuclei di valutazione che coinvolgano forze interne e soggetti esterni all’istituto, esattamente come è già avvenuto per le università. Analogo è infatti l’obiettivo: il miglioramento e la rendicontazione pubblica di ogni singola istituzione scolastica e formativa.

Centralismo vs. Autonomia responsabile 

Il Regolamento sull’autonomia delle Istituzioni scolastiche  è stato approvato dal 1999, ma non è mai stato realizzato pienamente. Sulla carta le scuole potrebbero fare scelte per favorire inclusione, merito, flessibilità, personalizzazione dei percorsi, orientamento agli studi superiori, al lavoro e alle professioni, anche  con una diversa  articolazione delle classi e del tempo scuola.  In realtà non hanno la possibilità di  farlo in modo sistematico per i troppi vincoli e la mancanza di risorse adeguate.

E’ necessario definire, in modo chiaro e condiviso, i compiti che spettano allo Stato, alle Regioni e agli Enti locali per dare ad ogni scuola certezze e strumenti reali per operare.

La creazione di reti di scuole, anche di ordini diversi, per favorire la flessibilità dei percorsi didattici e per per  condividere risorse, laboratori, e personale è una strada da percorrere.

Ma si dovrà anche ridefinire il modello di governance delle Istituzioni Scolastiche Autonome: maggiore collegamento al territorio ed alle comunità locali, strutture organizzative che prevedano una leadership distribuita, e, di nuovo,  valorizzazione delle  professionalità specifiche dei docenti .

Non c’è vera autonomia senza autonomia finanziaria. L’argomento è delicato, ma anche molto chiaro.

In questo quadro trova spazio anche un altro principio fondamentale per una scuola aperta e avanzata adeguata ai bisogni di una società aperta e avanzata: la libertà di scelta educativa.

La parità non è ancora stata raggiunta e la possibilità di libera  scelta  da parte delle famiglie è ancora ipotetica. L’Agenzia delle entrate considera un lusso l’investimento che molte famiglie fanno, talvolta a costo di grandi sacrifici. Ciò contrasta con la visione liberale e avanzata del sistema educativo che ci proponiamo di affermare.

Le quattro leve che porteranno ad un maggiore equilibrio sono nell’ordine: autonomia reale dei singoli istituti scolastici, valutazione, riqualificazione del personale docente (formazione e aggiornamento), sostegno alle famiglie (cioè anticipazione del diritto allo studio).

La stima delle risorse necessarie è possibile utilizzando la previsione del FMI sulla crescita del PIL e dell’inflazione e considerando un riutilizzo pari allo 0,2% per la scuola.


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