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Geometri o falegnami si diventa (in ateneo)

Al via le lauree professionalizzanti

02/10/2018
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la Repubblica

Corrado Zunino

Da quest’anno a Napoli, all’ex Istituto regio superiore navale Parthenope, da tempo università statale, ci si può laureare in "conduzione navale". Laureare. Sessanta crediti all’anno, tre anni di studio: ufficiale di macchina e di coperta non sarà più conseguenza di un semplice diploma al Nautico.

All’Alma Mater di Bologna è stato allestito, invece, il corso di Laurea in Ingegneria meccatronica (classe L-8): si lavorano insieme meccanica, elettronica, informatica. L’Università di Firenze si occuperà di Tecnologie per il legno d’arredo mentre la Libera università di Bolzano ha chiamato una disciplina simile "Ingegneria del legno". Con l’imminente anno accademico 2018-2019 partono a ore — Napoli Federico II è partita già ieri mattina — i nuovi quattordici corsi delle nuove quattordici lauree professionalizzanti. Uno per ateneo, già accreditati dall’Agenzia di valutazione nazionale Anvur. Il nuovo istituto di alta formazione, la laurea professionalizzante appunto, si porta dietro un’ultraventennale discussione (con Confindustria, per esempio). Due sono gli obiettivi: portare negli atenei italiani, penultimi in Europa per numero di laureati, i diplomati degli istituti tecnici e professionali. Quindi, offrire al mercato del lavoro ragazzi di ventidue anni che abbiano dedicato almeno una stagione su tre ai laboratori in facoltà e almeno una su tre ai tirocini in azienda, on the job. Questi studenti saranno formati in Tecniche della formazione del territorio (corso della Politecnica delle Marche e anche di Padova) e Agribusinees (l’Università di Siena). Non saranno laureati ortodossi, no. Né triennali (servono comunque gli stessi crediti) né magistrali. Saranno "laureati in discipline professionalizzanti": all’ottanta per cento pronti all’assunzione.

Una ricerca svolta nel 2016 dal consorzio universitario Almalaurea dimostrò che il 43 per cento dei laureati italiani non aveva avuto esperienze di lavoro durante gli studi. Una distanza enorme dalla Germania, che con le sue Fachhochschule — università-scuole, altrimenti dette istituti superiori di qualificazione professionale — nei tre anni coinvolge ottocentomila giovani lavoratori tecnico-professionali (e poi li conta nelle statistiche universitarie). Qui da noi, al solito, il travaglio per migliorare il mondo formativo professionale è stato acuto. Nel 2010 si è riusciti a far partire gli Istituti tecnici superiori, post-diplomi biennali per formare quadri in sei aree tecnologiche. Occupazione a dodici mesi: 79,1 per cento. Oggi sono cento gli Its, venti dei quali in Lombardia. Sono pochi.

Post-diplomano diecimila studenti all’anno e nel 2018 hanno ricevuto un finanziamento aggiuntivo di 5 milioni. Con le "professionalizzanti" si è proceduto su questa strada, ispirandosi alla Francia: corsi biennali in capo alle scuole, e ora i triennali in capo alle università.

Rischiando di offrire ai diciottenni del tecnico e del professionale un messaggio confuso e di cannibalizzare gli stessi Its.

Le prime quattordici università che adesso partono sono situate per oltre la metà al Sud.

Ospiteranno settecento ragazzi a numero chiuso, ma potranno salire fino al dieci per cento dell’offerta globale. «Il prossimo anno prevediamo trenta corsi in più», dice il presidente della Conferenza dei rettori, Gaetano Manfredi. I docenti possono arrivare direttamente dalle aziende. E gli standard qualità sono più laschi: sei docenti nel triennio invece dei nove degli atenei tradizionali. Il titolo di studio — nonostante solo i periti industriali abbiano stretto sette accordi — al momento non è abilitante. Non vale per accedere agli ordini professionali.