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Dipartimenti di eccellenza, gli atenei del Sud corrono con la ruota bucata

Il premio da un milione per i dipartimenti migliori e le super cattedre Natta. Stefano Semplici, docente a Tor Vergata: «Premiati soprattutto gli atenei del Nord. Ma così la retorica del merito finisce per tradire il diritto allo studio garantito dalla Costituzione»

27/05/2017
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Corriere della sera

La Ministra Fedeli ha annunciato con toni quasi trionfalistici l’avvio delle procedure di selezione di 180 Dipartimenti «eccellenti», che riceveranno un super-premio di oltre 1.000.000 euro l’anno per cinque anni. La Ministra promette anche che ripartirà l’iter per l’assegnazione delle 500 cattedre Natta ad altrettanti studiosi che, sempre per la loro eccellenza, otterranno un trattamento significativamente diverso, non solo dal punto di vista economico, rispetto a quello dei loro colleghi. Il comunicato stampa (del 12 maggio) si conclude citando l’Agenda 2030 dell’ONU per lo sviluppo sostenibile: provvedimenti come questi – secondo la Ministra – corrispondono agli obiettivi di educazione e formazione di qualità «che ci siamo prefissati aderendo all’Agenda».

La dura legge del merito

È proprio guardando agli obiettivi indicati dalle Nazioni Unite che questa corsa all’eccellenza, almeno in queste modalità, mi sembra invece francamente insostenibile, perché non aiuta lo sviluppo di tutto il paese e mette a rischio l’equità. Il goal n. 9 (Industria, innovazione e infrastrutture) fissa fra i suoi traguardi quello di «incrementare considerevolmente» il numero degli addetti e la spesa nel settore della ricerca, ma non è per questo che vengono stilate le classifiche di università e dipartimenti. Il loro scopo è quello di assegnare premi e concentrare progressivamente le risorse dove si pensa che possano essere spese meglio e il risultato, come è ormai chiaro da tempo, è un processo di progressiva redistribuzione che, con qualche isolata eccezione, toglie al Sud per dare al Centro-Nord. Basta scorrere l’elenco dei 352 dipartimenti ammessi alla tenzone per l’assegnazione del super-premio per rendersene conto. Molti diranno: che male c’è? La regola del merito può essere dura, ma è una garanzia per tutti. Chi perde oggi sarà stimolato a fare meglio per vincere domani.

La corsa al merito e la ruota bucata degli atenei meridionali

Gli algoritmi applicati per separare gli eccellenti dai mediocri sono contestati da molti di coloro che sono in grado di comprenderli, senza che ci sia mai stato un confronto pubblico fra addetti ai lavori e con un giudice terzo per dirimere la controversia. E faccio francamente fatica a considerare aperta una gara nella quale alcuni hanno almeno una bicicletta in discrete condizioni (per trovare l’auto bisogna continuare comunque a spostarsi in altri paesi), mentre ad altri, per il fatto di aver concluso in ritardo la prima tappa, non si garantisce neppure la sostituzione della ruota bucata. I primi continueranno a vincere e il distacco aumenterà. Ma perché dovrebbe esserci un problema di sostenibilità? Perché l’Italia non dovrebbe avere solo 5 o 6 vere università, nessuna delle quali nelle regioni del Mezzogiorno? La risposta viene proprio dall’ANVUR. Nel Manuale per la valutazione della terza missione, varato nel 2015, leggiamo quel che ai più appare probabilmente ovvio: la conoscenza produttiva circola «incorporata» nei ricercatori e le ricadute della conoscenza prodotta dalla ricerca sono caratterizzate da una ineliminabile dimensione territoriale. Uno dei compiti fondamentali delle università è quello di aiutare i territori a compiere «salti» per i quali non avrebbero altrimenti le risorse necessarie. Se questo è vero (come è vero), lo Stato ha la responsabilità di garantire che questi motori di sviluppo e anche di cittadinanza rimangano accesi in tutto il paese. Le università non possono essere considerate come le squadre del campionato di calcio, dove vincono quasi sempre Torino e Milano. E la scelta delle priorità e degli eventuali criteri di differenziazione tocca alla politica, che non può nascondersi dietro la magia di un algoritmo. Innovazione e infrastrutture – così io leggo l’Agenda 2030 – sono parte integrante dell’impegno, fissato dal goal n. 10, a ridurre le disuguaglianze all’interno delle nazioni e non soltanto fra esse.

Università di serie A, B e C

Alla Ministra Fedeli – e vengo così alla seconda ragione per la quale l’università italiana sta diventando a mio avviso sempre più insostenibile – mi permetto poi di ricordare che il goal n. 4 punta ad una istruzione che deve essere non solo di qualità, ma anche equa ed inclusiva. È arrivato il momento di decidere cosa fare di fronte ai flussi a senso unico che portano dal Sud verso il Nord tanti studenti in cerca della qualità promessa dalle classifiche dell’ANVUR. Almeno ai “capaci e meritevoli”, quale che sia la città nella quale è loro toccato di nascere e crescere, deve essere garantita la possibilità di accedere ai più alti livelli del sapere. L’università che vorrei (e prima ancora, ovviamente, la scuola) diffonde questo sapere e lo rende effettivamente disponibile in modo omogeneo in tutto il paese, facilitando proprio in questo modo la selezione delle punte di eccellenza che saranno poi inevitabilmente concentrate in un numero limitato di sedi, sempre senza perdere di vista l’obiettivo di una distribuzione equilibrata e abbandonando l’idea che le classifiche siano il modo più efficace per stimolare l’impegno e combattere l’inefficienza. Chi difende il sistema che si sta realizzando in Italia dovrebbe sentire almeno la responsabilità di non costringere alla serie B o C chi, semplicemente, non si può permettere il biglietto per le poche città che giocano in serie A, dalla laurea triennale al dottorato di ricerca e oltre. Questo problema non si risolve certo aggiungendo qualche altra briciola ai fondi per il diritto allo studio. Forse costerebbe meno far giocare tutti in serie A, almeno – lo ripeto – fino a un certo punto.

Tutti contro tutti

Si eviterebbero anche tutte le conseguenze, sul piano dei comportamenti e delle relazioni fra le persone e le istituzioni, della logica per la quale quel che davvero conta è stare davanti agli altri. Bologna ha 28 dei suoi 33 dipartimenti nella lista degli ammessi alla gara per il super-premio, ma solo 15 potranno aspirare ad ottenerlo. Secondo quanto stabilito nella Legge di bilancio 2017, dovrà essere l’università stessa a procedere a questa prima selezione. Non voglio neppure pensare a quel che accadrà fra i colleghi e nei dipartimenti della nostra più antica università e rimango convinto che siano altre le strade che conducono ad una istruzione di qualità, equa ed inclusiva. Quella di far crescere la qualità di pochi spingendo gli altri verso il declino è una pericolosa illusione, che ci allontana dallo spirito e dagli obiettivi dell’Agenda 2030. E che rischia a mio avviso, prima di tutto, di allontanarci dallo spirito e dalla lettera della nostra Costituzione.

Stefano Semplici - *Docente di Etica sociale a Tor Vergata


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