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Emoticon invece di voti, una rivoluzione?

Ben vengano le iniziative di sperimentazione sulla valutazione, purché siano rigorose, documentate e realmente innovative.

21/02/2020
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di Enrico Bottero
https://www.enricobottero.com

In ogni attività umana la valutazione è una necessità. Senza una valutazione, implicita o esplicita, non si può progredire. Il problema è che la nostra società è stata colta da una vera e propria frenesia valutativa.

Si parla di valutazione nei sistemi educativi, nelle imprese, nelle agenzie governative e nelle amministrazioni, nelle organizzazioni internazionali. Il dovere di valutare si sta trasformando in un vero e proprio delirio valutativo. Nella scuola la febbre della valutazione impone l’onnipresenza di valutazioni e controlli, spesso con esiti di classificazione attraverso voti o “crediti formativi”.
Paulo Freire l’aveva chiamata pedagogia bancaria.
Nello stesso tempo nella scuola continuano pratiche antiche come il voto, i cui limiti sono stati già ampiamente dimostrati. Ci si adegua ad una modernità ma non si abbandonano le vecchie pratiche selettive. È la soluzione migliore per conquistare il consenso. Nell’epoca della sondocrazia cercare continuamente il consenso è diventata l’ossessione delle elites politiche.
Se è così si devono salutare positivamente tutti i tentativi delle scuole di sperimentare nuove modalità di valutazione.
È il caso dell’istituto comprensivo Rodari di Modena che, a quanto leggo, utilizzerebbe in alcune classi schede autovalutative. In queste schede i bambini esprimerebbero un’autovalutazione attraverso un emoticon.

 La notizia è rimbalzata sui media proprio per l’utilizzo degli emoticon, una scelta che avvicinerebbe la valutazione al mondo dei ragazzi di oggi. Dalle informazioni in mio possesso non sono in grado di esprimere una valutazione sull’esperienza.
Non so, infatti, in che misura e in che modo la sperimentazione coinvolga la valutazione formativa (in itinere) e/o la valutazione sommativa /certificativa (il documento di valutazione, quello che i media, evidentemente mal informati, continuano a chiamare “pagella”).
Se, come pare, coinvolgesse anche la valutazione certificativa sarebbe interessante sapere come è stato superato l’obbligo del voto numerico attualmente previsto dalla legge.
Non conosciamo molto neppure sul merito dell’esperienza. Sui media si parla infatti, di uno strumento, e non del processo che sta dietro di esso: come si definiscono le attese? Le attese sono individualizzate (almeno nei tempi brevi) o sono uguali per tutti? I bambini vengono coinvolti nella loro definizione? Come viene svolta l’osservazione? Gli insegnanti utilizzano indicatori e criteri di osservazione? Possiamo però dire che è positiva l’intenzione di percorrere vie alternative al voto coinvolgendo i bambini stessi nella valutazione.
La funzione principale della valutazione, infatti, è quella formativa ed autoregolativa.
Si tratta di un’attività che può essere svolta solo con la partecipazione diretta da parte degli allievi. Dagli articoli pubblicati sappiamo che nelle schede dell’Istituto di Modena le domande poste ai bambini sarebbero “mi piace” e “so fare”. Qui c’è un po’ di confusione: una cosa che piace non necessariamente si è in grado di farla. Essere in grado di farla, poi, non significa che si sia appreso (si può fare bene un’attività senza aver appreso nulla).
Si deve anche ricordare che l’autovalutazione espressa con queste modalità non è affatto una novità.
L’autovalutazione da parte dei ragazzi è da molto tempo uno dei cardini della pedagogia Freinet, tutta centrata sulla costruzione dell’autonomia individuale. In un testo del 1948 dedicato al tema Célestin Freinet racconta come avesse previsto nel quadro orario un tempo quotidiano dedicato al piano di lavoro individualizzato. In queste ore ogni allievo svolgeva alcune attività da lui scelte insieme all’insegnante a inizio settimana. A fine settimana si faceva il punto delle attività svolte attraverso un’autovalutazione e una valutazione dell’insegnante.
Le due valutazioni venivano poi messe a confronto al fine di promuovere l’autoregolazione degli apprendimenti.
Per ogni attività l’autovalutazione era espressa attraverso giudizi in scala ordinale: molto bene, bene, abbastanza bene, passabile, male, molto male. Si costruiva anche un grafico che univa i livelli raggiunti in ciascuna attività da parte di ogni alunno.
Nelle classi a pedagogia Freinet il piano di lavoro continua ad essere utilizzato come dispositivo fondamentale. Sono naturalmente state introdotte variazioni, una delle quali è appunto l’utilizzo di emoticon per esprimere la valutazione. Nelle classi Freinet la valutazione sommativa non avviene attraverso una scala ma con l’utilizzo di “unità di valore” non compensabili tra loro.
Mi riferisco ai brevetti e alle cinture. I ragazzi decidono se e quando passare un brevetto che corrisponde ad alcune competenze. È un sistema semplice e rigoroso (ci lavorano anche insegnanti italiani) che lascia spazio a diverse possibilità di organizzazione didattica. Mi chiedo perché nessuno ci abbia mai pensato a livello istituzionale.

Ben vengano, dunque, le iniziative di sperimentazione sulla valutazione, purché siano rigorose, documentate e realmente innovative. In questo senso, credo che l’informazione superficiale condotta dai media su questi argomenti non faccia loro bene. L’attenzione nei confronti di nuove pratiche valutative ci ricorda poi quanto sia urgente una formazione degli insegnanti sulla valutazione. Lo strabismo di un Istituzione che centra sempre più i suoi processi su valutazioni istituzionali ma non si impegna a formare gli insegnanti ad una corretta valutazione pedagogica potrebbe costarci caro.

https://www.gessetticolorati.it/dibattito/


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