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Emergenza Covid-19: mini-lauree e trasversalità, così dovrà cambiare l’università italiana

Una riflessione sulle priorità del mondo degli Atenei individuate nel piano Colao: diritto allo studio, interdisciplinarietà, rapporto con il mondo economico e poli di eccellenza

04/07/2020
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Corriere della sera

di MArino Regini *

E’ quanto meno dalla «agenda di Lisbona» del 2000 che anche in Italia si parla del ruolo cruciale che università e ricerca sono destinate ad assumere nella nuova economia e società della conoscenza. Ma nei 20 anni trascorsi la realtà italiana è stata di gran lunga più deludente. Le conseguenze socio-economiche della pandemia, che si preannunciano drammatiche, potrebbero però rivelarsi una «finestra di opportunità» per cambiare questa situazione. E’ su queste premesse che si sono basate le proposte su università e ricerca avanzate dal «piano Colao». Quali scenari socio-economici avranno un più forte impatto su università e ricerca e richiederanno risposte coraggiose, al di là dell’esigenza di aumentare drasticamente gli investimenti in quest’area per portarli almeno ai livelli della media dei Paesi Ocse?Un primo scenario è legato al recupero di legittimazione sociale delle competenze, delle professionalità e della conoscenza, che si è verificato durante la fase dell’emergenza sanitaria. Questo porta a sperare che un corretto apprezzamento del ruolo cruciale dell’università e della ricerca scientifica prenda finalmente piede anche in Italia. Ma la condizione è che esse dimostrino la loro effettiva capacità di contribuire alla soluzione delle “grandi sfide” (salute, sostenibilità ambientale, ecc.) che le nostre società devono affrontare. Questo renderà necessaria una decisa modernizzazione del sistema universitario e di ricerca italiano, lungo linee che sono state delineate in diverse proposte del piano Colao: un forte impulso a un approccio tematico e interdisciplinare, che superi gli steccati artificiosi che sono stati costruiti fra le discipline; la creazione di poli di eccellenza scientifica internazionale, valorizzando le differenze interne a ciascun ateneo, le cui strutture non possono svolgere ugualmente bene tutte le «missioni» che sono loro affidate; un rafforzamento della cooperazione fra università e imprese, per orientare ricerca e sviluppo verso le «grandi sfide» e per favorire la crescita di un sistema nazionale dell’innovazione.

Il secondo scenario è legato alla gravissima crisi economica che farà seguito all’emergenza sanitaria. Le misure più immediate del governo hanno puntato a mantenere in vita l’intero tessuto socio-economico italiano, compresa quella parte che negli ultimi 20-30 anni non è stata capace di innovare per aumentare la propria competitività. Ma nel medio periodo sarà molto alta la mortalità delle piccole e micro-imprese meno competitive e dei settori di produzione e servizi a bassa produttività, e sarà quindi forte la spinta a riconvertire, sotto la guida dello stato, l’apparato economico verso settori a più alto contenuto tecnologico e con capitale umano altamente qualificato. Le implicazioni sull’università saranno di grande portata, e a questo si orientano altre proposte del piano Colao. Da un lato, si porrà per la prima volta con forza il problema della sostanziale mancanza in Italia – unico fra i paesi europei – di un canale di formazione terziaria professionalizzante, ovvero in strettissimo rapporto con il mondo dell’economia e del lavoro. La mancanza di questo canale costituisce una strozzatura per le imprese tecnologicamente più avanzate ed è la causa principale – insieme all’inadeguatezza del sostegno finanziario agli studenti che provengono da famiglie più disagiate – della bassissima percentuale di laureati in Italia. Molti giovani diplomati negli istituti tecnici e professionali, infatti, non trovando un canale di istruzione terziaria più consono alle loro competenze ed esigenze, non si iscrivono all’università o ingrossano le file degli abbandoni e dei fuoricorso. Dunque le attuali «lauree professionalizzanti» dovranno essere drasticamente rafforzate, e alcune università andranno incentivate a specializzarsi in questi percorsi. Dall’altro lato, anche la formazione alla ricerca mediante il dottorato potrebbe ricevere un forte impulso al cambiamento. Il piano Colao prevede percorsi di Applied PhD accanto a quelli tradizionali orientati alla carriera accademica, con modalità di reclutamento e di formazione separati. Le imprese più innovative potrebbero essere interessate in particolare alle aree Stem, mentre una Pubblica Amministrazione che avrà l’esigenza di innovare profondamente le modalità di formazione e implementazione delle politiche pubbliche potrebbe guardare soprattutto alle aree socio-economiche.

Infine, è chiaro a tutti che la grave crisi economica produrrà un forte aumento delle disuguaglianze e della disoccupazione. Occorrerà quindi costruire un vero sistema di «diritto alle competenze» per sostenere le possibilità di accesso all’università dei giovani che provengono dalle classi sociali più disagiate. Inoltre gli atenei dovranno dare finalmente impulso a quel sistema di formazione permanente che rappresenta la cenerentola del sistema universitario italiano: percorsi brevi di riqualificazione e di acquisizione di nuove competenze per quegli adulti che, già presenti nel mercato del lavoro, rischiano di esserne espulsi in via permanente. Dunque, l’impatto di questa crisi sul ruolo e sul funzionamento dell’università rischia di essere epocale. Una strategia intelligente da parte dei governi e degli atenei, insieme a un investimento di risorse finalmente adeguato, possono però trasformarlo in un’occasione unica per portare il nostro sistema universitario su standard internazionali e per farne il fattore chiave di un nuovo modello di sviluppo economico e sociale del paese.

*membro della commissione Colao e professore emerito nel Dipartimento di Scienze sociali e politiche dell’Università degli Studi di Milano