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Effetto-Covid sui neolaureati: occupazione giù del 5%

Università italiana a metà del guado. A una ripresa delle immatricolazioni nonostante il Covid, che fa sperare perché ci riporta vicini ai picchi di inizi anni Duemila, fa da contraltare un calo di quasi il 5% dell’occupazione dei neolaureati a un anno dal titolo

21/06/2021
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Il Sole 24 Ore

Eugenio Bruno

Università italiana a metà del guado. A una ripresa delle immatricolazioni nonostante il Covid, che fa sperare perché ci riporta vicini ai picchi di inizi anni Duemila, fa da contraltare un calo di quasi il 5% dell’occupazione dei neolaureati a un anno dal titolo (-0,9% a 5 anni), che è reso meno amaro dall’aumento delle retribuzioni per chi un lavoro ce l’ha già. A dirlo è il XXIII rapporto AlmaLaurea che è stato presentato ieri a Bergamo alla presenza del rettore Remo Morzenti Pellegrini, della ministra Cristina Messa e del presidente della Crui, Ferruccio Resta. Un documento che conferma anche i soliti divari territoriali e di genere tipici della nostra istruzione e comunica la voglia di tornare in aula dei ragazzi dopo oltre 15 mesi di didattica prevalentemente a distanza. Quasi l’80% degli intervistati, infatti, non vede l’ora di recuperare il rapporto “fisico” con docenti e compagni/e di corso.

Iscrizioni in aumento
Esattamente come gli altri anni il Rapporto del consorzio che raggruppa 76 atenei in tutta Italia si compone di due parti: una che investiga il profilo e l’altra che sonda la condizione occupazionale dei laureati. Nel primo caso sono stati coinvolti 291mila neodottori del 2020; sul secondo fronte, sono stati sentiti 655mila ragazzi e ragazze arrivati al traguardo nel 2019, nel 2017 e nel 2015, intervistati rispettivamente a 1, 3 e 5 anni dal titolo. Il valore aggiunto dell’indagine 2021 di AlmaLaurea è che vengono intercettati per la prima volta gli effetti nefasti della pandemia. Che, almeno sulle iscrizioni, non ci sono stati. La ripresa delle immatricolazioni prosegue e nel 2020/21 arriva a +21,3% rispetto al 2013/14 (e +14 mila matricole rispetto al 2019/20). Risultato: la perdita di matricole a partire dal 2003/04 si sta progressivamente riassorbendo (siamo ancora a -3,2%, che al Sud diventa18,9%). Buoni anche i segnali dall’area Stem che mostra un aumento del 15% rispetto al 2003/04.

Laureati sempre più giovani
Un’altra buona notizia, restando sempre al profilo dei laureati, arriva dall’età media con cui si ottiene il titolo che scende a 25,8 anni (era 26,9 anni nel 2010). Contestualemente migliora anche la regolarità negli studi: grazie anche alla proroga della chiusura dell’anno accademico concessa agli studenti per l'emergenza Covid-19 si laurea in corso il 58,4% degli studenti (contro il 39% del 2010).
Good news poi sul fronte della parità di genere visto che le laureate nel 2020 arrivano al 58,7% (non in tutti gli ambiti disciplinari) mentre sul fronte dei divari territoriali il Sud continua a perdere un quarto dei propri diplomati. nel confermare l’impatto positivo che una esperienza di studio all’estero (l’ha svolta l’11,3% dei laureati del 2020) o uno stage assicura sul fronte del lavoro, le rilevazioni di AlmaLaurea lanciano però un primo campanello d’allarme sulle conseguenze della pandemia. La fetta di dottori chee hanno svolto un tirocinio cala al 57,6% rispetto al 59,9% del 2019.
Tutto sommato i neolaureati giudicano postivamente la loro esperienza: il 90,8% è complessivamente soddisfatto del corso di laurea. Anche se quasi uno su due - e veniamo alla seconda cattiva notizia per un paese che ha visto i cervelli in fuga aumentare del 41,8% rispetto al 2013 (fonte Corte dei conti) - si dice disposto a cambiare paese; uno su tre addirittura continente. In un contesto in cui continuiamo a non attrarre talenti stranieri. Perché se è vero che i laureati stranieri sono il 3,9% del totale (nel 2010 erano il 2,9%) si tratta in gran parte di figli di immigrati già residenti lungo la penisola.

Giù invece l’occupazione
Le notizie peggiori, e non poteva essere diversamente, giungono però dal lavoro. Se è vero che laurearsi conviene - stando ai dati Istat nel 2020 il tasso di occupazione della fascia d'età 20-64 è del 78% tra i laureati contro il 65,1% dei diplomati, le porte per accedere a un impiego si fanno più strette per tutti. A un anno dal titolo risulta lavorare il 69,2% tra i laureati di primo livello e al 68,1% tra i laureati di secondo livello del 2019. Ciò significa che, rispetto all’anno precedente, i primi perdono il 4,9%, i secondi il 3,6. Più contenuto per fortuna l’impatto a 5 anni dalla laurea: è occupato l’88,1% dei laureati di primo livello (- 0,6% sul 2019) e l’87,7% di quelli di secondo livello (-0,9%) .
A pagare il prezzo maggiore sono, come accade troppo spesso, le donne e i giovani del Sud. Dal Rapportodi AlmaLaurea emerge che, a parità di condizioni, gli uomini (17,8% di probabilità in più di essere occupati a un anno dalla laurea rispetto alle donne) , specie se risiedono al Nord (+30,8% di probabilità di essere occupati a un anno dal titolo rispetto a quanti risiedono al Sud), hanno maggiori chance occupazionali. Con una lieve risalita dell’occupazione solo nell’ultimo scorcio del 2020, in coincidenza con la graduale riapertura delle attività economiche.
Va meglio infine sul fronte stipendiale. Nel 2020 la retribuzione mensile netta a un anno dal titolo è, in media, pari a 1.270 euro per i laureati di primo livello e a 1.364 euro per i laureati di secondo livello, In crescita, rispettivamente del 5,4% e del 6,4% rispetto ai 12 mesi precedenti. A cinque anni dal termine degli studi la paga media sale a 1.469 euro per i triennali e a 1.556 euro per i magistrali. Con un aumento che stavoltà e del 4,3% per il primo livello e del 4% per il secondo livello. Con il solito gender gap a complicare il quadro: a uguali condizioni di partenza le ragazze percepiscono in media 89 euro meno dei ragazzi. Un «differenziale» che la ministra Messa ha definito inaccettabile.

Eugenio 


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