FLC CGIL
Contratto Istruzione e ricerca, filo diretto

https://www.flcgil.it/@3930667
Home » Rassegna stampa » Rassegna stampa nazionale » E se leggessimo "merito e valutazione" nella scuola con gli occhi di Gramsci?

E se leggessimo "merito e valutazione" nella scuola con gli occhi di Gramsci?

di Domenico Pantaleo.

17/03/2016
Decrease text size Increase text size
L'Huffington Post

In una delle pagine più celebri dei Quaderni del carcere, Antonio Gramsci pose in modo decisivo la questione del senso dell'istruzione e della scuola pubblica. Le pagine furono scritte tra il 1930 e il 1932, ma il loro valore è assoluto e attuale, e possono essere intese come una sorta di bussola di senso soprattutto quando a proposito di scuola si parla di "meritocrazia" e di "premio meritocratico", come accade spesso ai giorni nostri, e dall'alto di molti pulpiti. La straordinaria intuizione di Gramsci, sul tema della funzione sociale della scuola "unitaria", fu quella di costruire un valore di civiltà che riuscisse a prescindere dalle richieste tecniche, anche pressanti, del mondo dell'industria e del capitale. Per il grande sardo, la civiltà della scuola pubblica si misura non secondo gradazioni di merito, ma secondo la costruzione della verità, e in quest'ultima non si può fare differenza tra licei e istituti tecnici o professionali.

C'è un passaggio folgorante in Gramsci, che qui citiamo, sulla scuola creativa: "Scoprire da se stessi, senza suggerimenti e impulsi esterni, una verità è creazione... Si entra nella fase intellettuale in cui si possono scoprire verità nuove, poiché da se stessi si è raggiunta la conoscenza".

Perché citare Gramsci nell'epoca della spinta ideologica verso la retorica della meritocrazia? Perché quando si guarda la luna della scoperta della verità, quale funzione e senso principali della scuola pubblica e per tutti gli allievi, si dimentica di espellere sempre dalla scuola ogni spinta alla selezione e esclusione. La ragione è che il termine "merito" ha assunto oggi, almeno in Italia, un valore sociale positivo soprattutto per effetto delle distorsioni nel sistema di reclutamento del personale pubblico e più in generale nell'accesso al lavoro e alle carriere.

Il "merito", perciò, viene assunto come una sorta di panacea che risolverebbe alla radice l'enorme questione della corruzione e della corruttibilità, oppure delle forme di nepotismo più o meno presenti in enti e istituzioni pubbliche, oppure, infine, dell'abituale tendenza a promuovere più secondo legami e relazioni piuttosto che secondo il valore dell'individuo. Ma sul concetto di "merito" da introdurre nella scuola occorrerebbe maggiore rigore intellettuale e meno dipendenza da un malinteso senso comune, nella interpretazione del termine. Soprattutto, nel sistema di valutazione nella scuola occorrerebbe tantissima cautela. Chi, come, che cosa si valuta e per quale fine? Sono domande che restano inevase perché in realtà il governo pensa ad un sistema nel quale le persone e le scuole devono competere e solo i migliori devono essere premiati.

Manca dunque l'obiettivo di un miglioramento qualitativo dell'intero sistema di istruzione. Si rimette in discussione la scuola come organo costituzionale che deve garantire a tutti il successo formativo e contribuire a superare le disuguaglianze sociali. La logica della legge 107 e del governo appare radicalmente diversa: solo i migliori devono andare avanti. Gli altri, meglio che vengano inseriti il più rapidamente possibile nel mercato del lavoro. Il pilastro ideologico della 107 è esattamente l'assunzione acritica di quel modello.

Che nesso c'è tra la lezione di Gramsci e la costituzione dei Comitati di valutazione introdotta dalla legge 107 del 2015 per volontà della ministra Giannini? Se Gramsci ha ragione, ed ha ragione, sul senso e sulla funzione sociale della scuola come "scoperta autonoma della verità" per tutti gli allievi, emerge un valore di civiltà che investe la classe docente, ovvero quella di educare alla verità della scoperta del mondo, in modo equo e democratico, senza discriminazioni. Il valore di civiltà e la funzione culturale non si possono misurare con un banale voto o con i test Invalsi. Anzi, addirittura la legge 107 della ministra Giannini fa dipendere da questa "misurazione" impossibile, da questa incredibile valutazione, un "premio in denaro", gestito quasi interamente dal dirigente scolastico al di fuori di ogni necessaria partecipazione e consenso.

Con l'effetto deleterio di smarrire il senso e la funzione sociale dell'insegnamento, ma anche di limitarne profondamente la libertà. Così, anche la contrattazione collettiva diventa un intralcio e non una opportunità per coniugare qualità del lavoro e miglioramento dell'offerta formativa. "Ti pago una mancia in più perché sei bravo, secondo il senso che io dirigente attribuisco all'aggettivo", si rivela perciò un metro di giudizio del tutto inaffidabile e insensato e arbitrario, se pensiamo alle parole di Gramsci, che dovrebbero essere scolpite nella mente di chiunque abbia una qualunque responsabilità in una scuola qualunque. Inoltre, tra le conseguenze di questa legge e delle funzioni assegnate al comitato di valutazione vi sarà una maggiore competizione tra docenti, snaturando il valore collegiale e collettivo dell'insegnamento e dell'organizzazione dei progetti educativi. Chi ha scritto quella norma, o non sa di cosa parla, perché mai ha messo piede in una scuola, oppure vuole ideologicamente proprio questo, trasformare la scuola da luogo di civiltà a luogo della competizione sociale tra pari.

Inoltre, il personale Ata viene completamente ignorato dalla legge quasi fosse invisibile e invece è fondamentale per garantire il funzionamento delle scuole e il piano dell'offerta formativa. La mancia da valutazione, ne siamo certi, non stimola, non motiva, non induce un docente a "fare meglio", ma procede con spirito competitivo a forme di sottrazione, secondo la logica "quel che faccio io, non devi e non puoi farlo tu, che sei mio collega". Il rischio è che ogni Collegio dei docenti si trasformi in una sorta di felliniana "Prova d'orchestra", un tutti contro tutti, a danno degli studenti e dell'equilibrio stesso dell'istituto scolastico. E si sbaglia a pensare che la "corsa al merito" possa diventare col tempo una sorta di "corsa verso le grazie del dirigente"? No, non è così che si premia il prezioso lavoro dei docenti e del personale Ata. E non è così che si premiano neppure le fatiche organizzative dei dirigenti scolastici. Occorre ben altro.

Occorre, ad esempio, procedere al rinnovo dei contratti, tanto del personale della scuola, quanto di quello dell'intero personale del Pubblico impiego. È quella la sede per valorizzare competenze e professionalità. Occorre, ad esempio, restituire alla classe docente il valore pubblico che merita, senza sottoporla a continui stress legislativi sulla formazione, il reclutamento, le forme di precariato, la promessa di mance, o "bonus", come si dice con parola infelice. E occorre tornare a una considerazione che divenga senso comune, a partire da chi svolge mansioni e responsabilità pubbliche e di governo, per cui la funzione e il senso della scuola è di fare in modo che ogni alunno o studente "raggiunga da se stesso la conoscenza" garantendo a tutti l'accesso all'istruzione e il successo formativo. Proprio come scriveva Gramsci.