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“E noi ingegneri spaziali siamo volati in Brasile”

Chantal Cappelletti, 35 anni, è volata in Brasile con il marito Simone Battistini: lui si occupa di razzi. Ora aspettano un figlio e sono in Italia per evitare la Zika

15/02/2016
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la Repubblica
KATIA RICCARDI
VOLEVANO fare ricerca. Magari diventare professori. Lo stanno facendo, in Brasile. Non avevano ancora trent’anni quando sono partiti, ma lauree in Ingegneria aerospaziale, tesi su stelle e satelliti, progetti, e almeno un dottorato a testa. Sono andati via tutti, con una frase in testa: «In Italia diventerete professori fra una ventina d’anni».
Visto dallo spazio, però, il mondo non è poi così grande. Devono averlo pensato i sei ingegneri italiani partiti per l’Universidade de Brasilia a cercare il loro, di spazio. Si sono passati parola e prospettive, hanno imparato il portoghese in cuffia e affrontato i concorsi. In due tempi sono entrati tutti nel dipartimento d’Ingegneria aerospaziale, e ora insegnano lì. Con loro ci sono un francese, un coreano, due cittadini ucraini e diversi brasiliani. I colleghi li chiamano “mafia italiana”, ma intendono squadra e forse, purtroppo, Italia. Tre professori tra loro non hanno ancora quarant’anni. Nessuno supera i 50.
Brasilia vista dall’alto ha la forma di un aereo, raccontano. Si vive nelle ali. L’università (UnB) ha 26 facoltà, 105 corsi di laurea, 18 centri per la ricerca specializzata, quattro campus. È il quarto migliore ateneo in Brasile e l’undicesimo in America Latina.
«La domanda più difficile che mi ha fatto la commissione al concorso è stata: “Perché stai venendo in Brasile?”», racconta Cristian Vendittozzi, 38 anni. La risposta è che qui c’era il lavoro che voleva fare. «Quello che ero preparato a fare. Il nostro Paese ci dà un’ottima formazione, ma poi ci costringe ad andare all’estero», continua. «Ho disegnato il satellite Lares, mi sono specializzato nella progettazione di materiali e strutture intelligenti durante il PhD». E ha preso anche un Mba al Politecnico di Milano.
Dal 2015, il giovane professore vive in Brasile; la moglie e il figlio di un anno e mezzo sono ancora in Italia. Li vede tre volte all’anno per un paio di settimane, e prima o poi lo raggiungeranno. Quel giorno, con un viaggio di sola andata, il nostro Paese perderà un ingegnere aerospaziale, una donna avvocato, e un bambino col suo futuro. «È talmente abituato a vedermi su Skype che quando torno mi guarda in modo stranissimo, la sua realtà è un tablet, io sono di “materia” diversa...», racconta. «Ma è in Brasile che, come gli altri colleghi, sto investendo. Non mi sento solo un cervello in fuga, ho guardato oltre il mio Paese perché non ho avuto altra scelta». In Italia, conclude, «se fai il dottorato non sei considerato un lavoratore », perché qui la prima ricerca da fare è quella di finanziamenti e sponsor per la ricerca.
Cristian è arrivato insieme a Giancarlo Santilli, 41 anni, l’unico del gruppo proveniente dall’industria e il solo a scegliere di partire anche se un lavoro fisso già lo aveva, a Telespazio. Adesso è professore di Telerilevamento. Insieme a loro è partito anche Domenico Simone, 48 anni, dieci passati a fare ricerca in Italia, ma «mi mancavano tre mesi e poi sarei stato disoccupato». Ora è propulsionista. Il primo ad arrivare in Brasile però è stato Paolo Gessini, 49 anni, coordinatore del corso Aerospaziale. Quando l’Universidade ha cominciato a investire, era già lì, è stato lui il primo anello della catena, e lui a guardare gli ingegneri dell’università la Sapienza di Roma. Ora ne è felice: sono la sua squadra, la sua famiglia. Sa di avergli dato un’opportunità.
Il concorso del 2014 è slittato di un mese a causa dei mondiali di calcio. Impossibile che un brasiliano perdesse il fischio d’inizio della storia. «Adesso, sotto Carnevale, è tutto chiuso», spiega Simone. Sorride. Il Brasile che attira i nostri cervelli con le sue cattedre ha voglia di investire, ha spazio da offrire a chi lo spazio lo studia, «ma soprattutto non perde tempo», continua. Per questo guarda all’estero. Siamo noi, per loro, “l’estero”. «Ora abbiamo contratti a tempo indeterminato e un visto permanente. Stipendi che ci consentono una vita dignitosa e l’insegnamento. Ho passato tanto tempo a fare ricerca per il mio Paese, ho dato tutto: l’unico rammarico resta l’esser stato costretto ad andare via».
In Brasile, un progetto della squadra azzurra è un misto di creatività italiana, solidità ex sovietica, serietà coreana, ingegnosità brasiliana. Un gioco di squadra che attutisce il rancore per le opportunità negate. Per «sportellate in faccia e tagli alla ricerca», conclude Simone. Troppi sogni, qui da noi, per troppo pochi posti.
Chantal Cappelletti (35 anni) e Simone Battistini (31) si sono sposati dopo aver vinto il concorso nel 2013, prima di partire e cambiare vita. Lei si occupa di piccoli satelliti, ha lanciato il primo brasiliano, Serpens, che raccoglie dati. Lui è specializzato in guida, navigazione e controllo di razzi. Aspettano un figlio, ma per evitare la Zika sono tornati in Italia. «Mi hanno consigliato loro di andare via per un po’», racconta Chantal. «Siamo cervelli in fuga perché la situazione in Italia è ferma. L’ultimo concorso nel mio campo è stato nel 2012, il prossimo forse sarà tra vent’anni. Ma non dite che con questo governo è diverso, a noi sembra tutto come sempre. La solita storia italiana». Brasilia ha poche ore di differenza con l’Italia. Abbiamo perso altri sei cervelli. Ma non sono scappati, sono andati via.

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