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E il premier chiama i parlamentari pd “Ritocchi possibili senza stravolgere”

La linea: dialogo sul merito, l’obiettivo resta Oggi il summit di deputati e senatori dem

06/05/2015
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la Repubblica

Alessandro Bei

Dialogo sul merito e fermezza sull’obiettivo. O, più banalmente, la vecchia tattica del bastone e della carota. Matteo Renzi non cambia strada, deciso a portare a casa — «dopo la legge elettorale» — anche la riforma sulla “buona scuola”. Quello che si può fare e quello che sarà modificato, dopo le grandi manifestazioni in tutte le città d’Italia, verrà messo oggi sul tavolo in un summit a porte chiuse tra il premier e tutti i parlamentari del Pd delle commissioni cultura. Camera e Senato insieme, in modo da raccordare le modifiche e assicurare al provvedimento un iter spedito. Perché quella del cronoprogramma è un’altra fissazione del capo del governo, imporre delle date fa parte del suo metodo di lavoro. E dunque «entro il 19 maggio la delega sarà approvata dalla Camera, entro il 15 giugno sarà legge».
Fissati questi paletti, non c’è dubbio che Renzi si sia reso conto che non è conveniente andare allo scontro frontale con tutto un mondo che, in fin dei conti, costituisce ancora una delle architravi elettorali del Pd. Una delle sue “constituencies”, come dicono al Nazareno. Al dunque qualche apertura ci sarà. Sui contenuti ma anche, se si vuole, sullo stile. Il decisionismo renziano da qualche giorno si stempera infatti in un’apertura al dialogo, come avvenuto alla festa dell’Unità di Bologna, con l’incontro a sorpresa con i precari della scuola. E come si è potuto notare ieri nella tappa elettorale che lo ha visto rimbalzare in poche ore tra Bolzano, Trento e Rovereto per le amministrative del 10 maggio, accompagnato da Giorgio Tonini, Gianclaudio Bressa e Lorenzo Dellai. Lo stile conta. «So che proprio simpatico non sono… posso capire le proteste », dice rivolto ai ragazzi che fuori dall’auditorium universitario SanbàPolis lo contestano con uno striscione. O a quelli che in mattina a Bolzano gli avevano lanciato contro uova e pomodori (e una bottiglia da un litro e mezzo piena di terra, che ha mandato all’ospedale per trauma cranico un operatore di Skytg24). «Si può sbagliare, non credo di fare tutto bene. Ascolteremo le ragioni di queste manifestazioni», ripete ad alcuni professori che sono riusciti a entrare nel palazzetto. Poi assicura che nel governo e nel Pd si «continuerà a discutere nei prossimi giorni», con una disponibilità a modifiche sia «sull’organizzazione del sistema scolastico», sia su quali categorie di precari far rientrare nel conteggio dei 160 mila assunti.
La delega del resto ha già iniziato a cambiare. I dirigenti scolastici ad esempio dovranno farsi approvare il Piano dell’offerta formativa triennale, in sostanza quello che la scuola offre agli studenti, dal Consiglio d’Istituto con una votazione. E anche su quali precari assumere non è stata ancora presa una decisione. Tuttavia alcuni punti fermi restano. «Perché il cardine della riforma — spiega il sottosegretario Davide Faraone — non cambierà. Non torniamo indietro né sull’autonomia scolastica, né sulla facoltà dei presidi di scegliersi il “team”. Ovviamente selezionando gli insegnanti in base al curriculum, ma solo tra i vincitori di un concorso nazionale. Non chiameranno gli amici o i parenti». Un altro dei “caveat” imposti dal premier riguarda l’unicità del provvedimento. Perché a Palazzo Chigi si sono convinti che l’obiettivo dei sindacati, e in generale dei nemici della riforma, sia quello di arrivare a un decreto legge per l’assunzione dei precari, lasciando che il ddl di riforma finisca su un binario morto. «Invece le assunzioni e la riforma — osserva il senatore Andrea Marcucci — fanno parte dello stesso progetto. E chi proverà a far saltare la delega dovrà poi risponderne davanti a quei 160 mila precari che non saranno assunti».

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