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Due strade per salvare i Neet, giovani “senza”

Più orientamento e formazione professionale

10/10/2013
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La Stampa

Idati dell’indagine Ocse sulle competenze della popolazione adulta ci forniscono un’immagine drammatica: il livello di competenze linguistiche e matematiche degli italiani è fra i più bassi nel novero dei Paesi avanzati. Non si tratta di una novità assoluta: l’Ocse fotografa la popolazione di tutte le età e negli Anni 50 la metà degli italiani raggiungeva a malapena la licenza elementare. Non a caso, il divario nei confronti degli altri Paesi si manifesta nella fascia d’età superiore ai 55 anni. Semmai, può apparire sorprendente come, partendo da un simile ritardo, l’Italia del dopoguerra sia riuscita a raggiungere livelli di benessere elevati e abbia quasi recuperato il gap nei tassi di scolarizzazione dei giovani. Quasi, appunto. Anche nella misura delle competenze di coloro che hanno meno di 25 anni, il nostro Paese rimane nelle posizioni di rincalzo. La rincorsa italiana ai Paesi più avanzati è quindi ben lungi dall’essersi completata: si ripropone il tema della qualità della scuola e dell’università, nonché l’assenza pressoché totale di un sistema di formazione e aggi o rnament o per gli adulti. La reazione politica a questi dati si è concentrata su un sottoinsieme della popolazione giovanile: i «Neet », ossia i giovani che non studiano, non si formano professionalmente e non lavorano. L’Istat stima che siano 2milioni e 250mila: di questi però solo 900mila sono impegnati nella ricerca di un impiego e possono essere definiti disoccupati; per gli altri - soprattutto donne del Sud o immigrate - la rinuncia allo studio e la mancata partecipazione al mercato del lavoro possono essere dettate da una scelta economica o culturale oppure dall’assenza di realistiche prospettive di occupazione. L’indagine Piaac mostra come fra i «Neet» ve ne siano moltissimi che hanno livelli di competenza minimi. Del resto, è evidente che chi abbandona gli studi precocemente - oltre il 17% della popolazione giovanile - o non ha ricevuto un’adeguata formazione, difficilmente può sperare di ottenere un impiego ed è sospinto ai margini del mercato del lavoro. I 900mila «Neet» sono quindi il sintomo di un fallimento del sistema educativo. Come intervenire? Una strada è quella di migliorare i percorsi di orientamento, soprattutto nella scuola media: questo permette agli studenti e alle famiglie di fare le scelte più adatte ai ragazzi e di contrastare i troppi abbandoni. Oggi, con poche eccezioni, l’orientamento al termine delle medie è considerato una formalità e le scuole non riescono a indirizzare efficacemente gli studenti nella scelta fra licei, istituti tecnici e formazione professionale. Il secondo intervento riguarda l’istruzione e la formazione professionale, che dovrebbe raccogliere coloro che sono interessati a costruirsi un bagaglio di competenze di tipo pratico. In Italia la competenza spetta alle Regioni, che la esercitano a volte (Trentino, Lombardia, Emilia Romagna) in modo eccellente, in altri in modo disastroso. Per estendere le pratiche migliori occorre che tutti siano messi in grado di monitorare cosa viene fatto a livello regionale: il primo passo è il superamento dei coni d’ombra locali.

Andrea Gavosto - *Fondazione Giovanni Agnelli


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