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Donne e lavoro: felici a metà

di Chiara Saraceno

01/08/2017
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la Repubblica

Il 

 piccolo aumento dell’occupazione femminile (meno di un punto percentuale in un anno), unito alla diminuzione del tasso di inattività, sempre femminile, è una buona notizia. Dopo gli anni della crisi che hanno visto rallentare fino a fermarsi il progressivo aumento dell’occupazione femminile nel nostro paese avviato a metà degli anni Novanta del secolo scorso, anche un piccolissimo aumento può essere considerato un segnale incoraggiante. C’è tuttavia poco da entusiasmarsi, perché si tratta di un aumento, appunto, minimo e non (ancora) consolidato. Le donne occupate in Italia continuano ad essere meno della metà (48,8%) della popolazione femminile in età lavorativa, con una differenza ormai stabile da diversi anni di 12 punti percentuali rispetto alla media Ue (60,8%) e grandissima rispetto non solo alle percentuali scandinave, ma anche a quelle tedesca (70%), francese (60,8), spagnola (55%). A ciò si aggiunga che il tasso di inattività, ancorché in lievissimo calo, continua a riguardare il 44,4% della popolazione femminile in età lavorativa.

Ci sono anche altri motivi per cui è meglio non entusiasmarsi troppo. Il primo è che oltre due terzi dell’aumento riguardano contratti a tempo determinato, i più rischiosi per tutti, uomini e donne, ma soprattutto per queste ultime, soprattutto se hanno o desiderano avere figli. Contrariamente alla dichiarazione della sottosegretaria Boschi che vede nell’aumento dell’occupazione femminile la prova che il jobs act funziona, questo dato suggerisce che neppure il contratto a tutele crescenti, per quanto rischioso per i neo-assunti, riesce a competere con i contratti di lavoro a termine resi più facili e appetibili (ai datori di lavoro) proprio prima dell’approvazione del jobs act. Certo, è meglio avere un contratto a termine piuttosto che nessun contratto, ma è difficile fare progetti e persino investire sul lavoro se ci si sente sempre di passaggio, in bilico. Il secondo motivo di cautela è che una buona parte dell’aumento dell’occupazione femminile con buona probabilità è dovuta alla permanenza al lavoro di lavoratrici anziane, che prima della riforma Fornero sarebbero andate in pensione. I dati Istat, infatti, mostrano che tutto l’aumento dell’occupazione che c’è stato nell’ultimo anno ha riguardato non solo le donne, ma gli ultracinquantenni, laddove c’è stato un calo nelle altre classi di età e soprattutto in quella più giovane. Anche se il dato per età non è disaggregato per sesso (come sarebbe stato opportuno), è facile dedurre che si tratta in larga misura di ultracinquantenni donne. Verrebbe da pensare che, più che il jobs act, a fare aumentare l’occupazione femminile sia stata la riforma Fornero, nella misura in cui, alzando l’età e i requisiti per andare in pensione, ha fatto crescere l’occupazione delle lavoratrici in età anziana in misura molto maggiore di quanto non sia avvenuto per i lavoratori maschi, stante che la modifica nell’età pensionabile è stata maggiore per le donne, in particolare nel settore privato.

Non intendo qui aprire il dibattito su questa riforma, sulle sue virtù e le sue rigidità. Mi interessa piuttosto segnalare che il grande aumento nel livello di istruzione delle donne più giovani rispetto alle generazioni più anziane, incrociandosi con la crisi da un lato e con le trasformazioni del sistema pensionistico dall’altro non riesce, come ci si sarebbe aspettati negli anni pre-crisi e pre-riforma pensionistica, a diventare automaticamente un forte volano per l’aumento dell’occupazione femminile, anche se l’istruzione continua a mantenere per le donne un ruolo ancora più importante che per i loro coetanei maschi per l’accesso al, e permanenza nel, mercato del lavoro.

Se questa lettura è corretta, quel piccolo aumento, allora, rischia di apparire ancora più modesto, nella misura in cui non tocca sostanzialmente le giovani donne che si affacciano oggi con speranza sul mercato del lavoro, spesso con un buon capitale umano ed hanno bisogno di un orizzonte minimo di certezze per fare qualche progetto a medio termine. In maggioranza più istruite e con maggiori aspettative di essere occupate lungo tutto il corso della loro vita adulta delle donne delle generazioni più anziane, le donne giovani oggi continuano a trovare più difficoltà a entrare e rimanere nel mercato del lavoro dei loro coetanei, nonostante anche per questi ultimi le difficoltà siano aumentate rispetto alle generazioni maschili più anziane. Rischiano così di venire a mancare le risorse per la tanto necessaria rinegoziazione dei ruoli e rapporti di genere, tra uomini e donne.