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Distanti, ma non troppo

In attesa del prossimo anno scolastico, le riflessioni di un'insegnate dell'IC Gandhi, scuola multiculturale alla periferia di Firenze, sull'esperienza didattica di questi mesi

24/07/2020
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Collettiva.it

Patrizia Salvadori

Durante il periodo di quarantena ho scritto alcune annotazioni su un diario di bordo, uno strumento di documentazione utilizzato nel nostro Istituto quantomai adatto al momento che stavamo vivendo: mi sentivo, infatti, come chi naviga in mare aperto, senza averlo mai fatto prima. Rileggendo adesso quelle note, non ho potuto fare a meno di chiedermi: cosa getterei a mare, di questo viaggio, cosa mi è servito durante la navigazione e, infine, cosa porterò con me quando torneremo sulla terraferma?

Insegno in un Istituto comprensivo nella periferia di Firenze, lungo la via che porta a Prato. Variegato e complesso è il  contesto sociale, culturale, linguistico ed economico in cui opera l’Istituto Gandhi, che grazie a questa complessità è cresciuto come centro di  ricerca educativa continua, intorno a un’idea di scuola che pone al centro l’inclusione e la valorizzazione delle diversità come valore aggiunto, per tutti.

Con l’attivazione della Didattica a distanza temevamo di trovare, nelle aule virtuali, le classi dimezzate. Rischiavamo di mettere su il famoso ospedale che cura solo i sani. Quindi, in una prima fase, abbiamo ristabilito i contatti con i nostri ragazzi attraverso i compagni, le famiglie, i centri territoriali che lavorano con noi, una rete costruita pazientemente nel tempo divenuta davvero preziosa. L’intento di noi docenti è stato quello di muoversi insieme, attraverso un percorso unico e condiviso,  per colmare almeno in parte la  disparità dei mezzi, provvedendo a fornire un tablet a coloro che si connettevano solo tramite il cellulare.

Ci siamo riusciti: alla fine in aula virtuale sono entrati praticamente tutti, anche ragazzi che non erano mai tornati in Italia e si collegavano dalla Cina. Un risultato importante, credo. Ma una volta dentro le aule, cosa potevamo fare? La Didattica a distanza è stato uno strumento d’emergenza, che ha insito in sé il rischio di discriminare chi non ha i dispositivi tecnologici, un sostegno familiare o le competenze necessarie per seguire le attività se si è soli a casa, se si condividono il computer e la stanza con i fratelli o altre persone.

Poi ci sono limiti oggettivi che difficilmente si possono superare. Abbiamo pochissimo tempo per vederci, organizzare il lavoro cooperativo o la didattica laboratoriale; la comunicazione è prevalentemente verbale, e quindi per gli alunni non italofoni è molto complessa; manca l’apprendimento fra pari: chiusi in quelle finestrelle, i ragazzi non possono comunicare tra loro, nel loro linguaggio segreto fatto  di gesti, disegni, sguardi. Alcune finestrelle pian piano si sono oscurate, e qualcuno, infine, se n’è andato. E per la scuola, perdere anche solo uno dei ragazzi è sempre una sconfitta.

Ma qualcosa ha funzionato e ha dato un senso alla nostra navigazione. Innanzitutto è stato prezioso ciò che abbiamo costruito nel tempo, la rete di relazioni tra la scuola, i ragazzi, le famiglie e i Centri territoriali che da sempre lavorano al nostro fianco e hanno continuato a farlo anche in questo frangente. Ci siamo adattati al cambiamento, abbiamo imparato velocemente, trovato soluzioni inaspettate a problemi nuovi. Abbiamo usato piattaforme, compresso file, creato tutorial. Siamo stati creativi e abbiamo imparato a risolvere i problemi insieme, scambiando le conoscenze, riflettendo anche sull’uso delle tecnologie e la didattica.

Naturalmente, nessuno strumento tecnologico può sostituire la relazione educativa, l’interazione in presenza e, come tutti, spero di ricominciare a settembre, in classe. Però voglio portarmi qualcosa di questo viaggio. Oltre la voce delle sirene tecnologiche, ascolterò la voce dei molti che hanno detto: “Non lo avrei mai creduto, ma la scuola mi manca!”. Da qui si deve ripartire: dall’importanza della scuola come comunità educante, che trasforma le difficoltà in opportunità e tesse reti di resilienza creativa, che non accetta di perdere nessuno e  per ognuno immagina un futuro.


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