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Dispersione, 4% del Pil in fumo

Intervita, Fondazione Agnelli e Cgil valutano l'impatto economico degli abbandoni

01/10/2013
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ItaliaOggi

Lasciano 2 studenti su 10, primato italiano in Europa


 di Emanuela Micucci  
 

Settanta miliardi di euro e 4 punti di Pil. Tanto costa all'Italia la dispersione scolastica, un fenomeno che attraversa la Penisola, da Nord a Sud, interessando quasi 2 studenti su 10. Da questa prima misurazione, effettuata da Daniele Checchi, economista dell'Università di Milano, sui dati dell'indagine Isfol Plus 2006, prende le mosse la Ricerca nazionale sulla dispersione scolastica che Intervita, Fondazione Giovanni Agnelli e l'associazione Bruno Trentin della Cgil lanceranno oggi al Senato.

Obiettivo: quantificare per la prima volta l'incidenza degli abbandoni scolastici sul Pil italiano e i relativi investimenti messi in campo dal Terzo Settore per contrastarla.

Nonostante le risorse stanziate e i progetti realizzati in questi anni per contrastare il fenomeno sia da parte del ministero dell'istruzione sia da parte del privato sociale, il 17,6% dei ragazzi minori di 16 anni lascia prematuramente la scuola, un tasso di abbandoni che tra i giovani maggiorenni fino a 24 anni tocca il 18,2%. Dati Eurostat,che collocano l'Italia in fondo alla classifica europea, dove la media degli abbandoni è il 14,1% dei ragazzi, che scende al 10,5% in Germania, 11,6% in Francia e 13,5% nel Regno Unito. Percentuale che allontana dall'obiettivo di Europa 2020 di ridurre la dispersione sotto il 10%.

Un ritardo di cui l'Italia paga un prezzo salatissimo: 70,7 miliardi di euro l'anno, pari a circa il 4% del Pil che si potrebbe guadagnare, spiega Checchi, «se per un incantesimo si riuscisse a portare l'intera popolazione italiana a conseguire un diploma di scuola superiore e se ci fosse un ipotetico mercato del lavoro in grado di assorbirla tutta». «Un calcolo che – sottolinea Alessandro Volpi di Intervita - dà l'idea dell'importanza di contrastare la dispersione scolastica in modo efficace e del potenziale economico che ha per il Paese».

Di qui la nuova ricerca lanciata stamattina non solo per valutare l'impatto economico della dispersione, ma anche per comprendere quali sono le migliori iniziative messe in campo sia del Miur sia del Terzo Settore, valutarne e ottimizzare le risorse. «I dati del Miur non ci tornano – prosegue Volpi -, perché c'è un sommerso non registrato.

Si pensi ai dopo scuola organizzati dagli studenti universitari o dalle parrocchie: realtà in alcun territori molto forti. O al mercato in nero delle ripetizioni.

Ai progetti delle associazioni no profit. Oltre ai fondi per bandi come quello della Legge 285 o il Por del Miur. Operando sul campo con il progetto Frequenza200 registriamo nuove forme di disagio che con la crisi si stanno affacciando non solo al Sud ma anche al Nord, nei quartieri bene e nelle periferie urbane, colpendo ragazzi provenienti da fasce sociali finora non a rischio, come le famiglie separate o con disoccupati». «I dispersi – sottolinea Gianfranco De Simone di Fondazione Agnelli – sono soprattutto i maschi, provenienti da un ambiente familiare con un livello di istruzione basso e/o d'origine straniera, soprattutto di prima generazione. Di solito ci si concentra sul biennio delle superiori, ma il meccanismo inizia alle medie. Un intervento più efficace, poi, dovrebbe contare su un sistema di monitoraggio integrato tra Miur, regioni e provincie».

L'anagrafe degli studenti del ministero infatti segue il percorso di ogni studente ma, se un ragazzo dopo le medie iscrive alla formazione professione per assolvere l'obbligo scolastico, risulta nell'anagrafe dell'ente locale che non è integrata con quella ministeriale. «Il rischio - precisa De Simone - è sovrastimare la dispersione, che tuttavia resta alta».


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