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Deleghe Buona Scuola: sul sostegno «la famiglia è stata messa al centro»

La relatrice, Simona Malpezzi (Pd): «Accolte le proposte delle associazioni: si torna a un massimo di 20 alunni per classe. Potenziata la formazione e garantita la continuità didattica»

17/03/2017
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Corriere della sera

Antonella De Gregorio

In dirittura d'arrivo un’altra delle deleghe attuative della legge 107/2015, una delle più tecniche e delicate, quella che riguarda l'inclusione degli alunni con disabilità. Dopo che le associazioni, nei mesi scorsi, avevano denunciato criticità e richiesto alcuni cambiamenti, le commissioni Cultura e Affari Sociali hanno licenziato un testo «che mira a costruire una scuola il più inclusiva possibile», dice Simona Malpezzi, deputata Pd, membro della Commissione Cultura alla Camera e relatrice insieme a Elena Carnevali (Pd).

Le modifiche

Tante le modifiche proposte. Riguardano, tra l'altro, la procedura per il riconoscimento della disabilità, il funzionamento dei gruppi territoriali per l'inclusione, il meccanismo per l'attribuzione dell'organico di sostegno alle scuole, la formazione dei docenti. «Il testo finale - dice l'onorevole Malpezzi - punta a costruire una scuola capace di formare, insieme alle famiglie, ragazzi pronti a entrare in una società che accolga e faccia crescere tutti». «Tra le nostre preoccupazioni c'è stata quella di togliere l'innalzamento del numero massimo di alunni per classe, in presenza di un alunno con disabilità gravi certificato: si torna a 20, mentre la delega presentata a gennaio lo fissava a 22. Abbiamo accolto la richiesta che nell'assegnazione del personale Ata si rispetti il genere di appartenenza del bambino o della bambina con disabilità: un segno di delicatezza importante. Ma, soprattutto, viene potenziata la formazione dei docenti di sostegno. E si rimette al centro la famiglia, che partecipa a tutte le fasi: dalla formulazione del profilo di funzionamento dell’alunno (che sostituisce la valutazione diagnostica funzionale, come chiesto dalle associazioni, ndr), alla quantificazione delle risorse da assegnare. Su richiesta delle famiglie, poi, il Piano educativo individuale (Pei) entra a far parte del profilo di funzionamento».

Il decreto sull’inclusione scolastica punta a dare ai ragazzi con disabilità «pari dignità e opportunità», sottolinea la parlamentare. Con «un cambio di rotta rispetto alla legge 104: il sostegno va non alla classe, ma alla scuola». Passa inoltre, per quanto riguarda lo schema di decreto n. 377 (formazione iniziale e di accesso nei ruoli di docente nella scuola secondaria), la richiesta delle associazioni di una reale formazione iniziale sulle didattiche inclusive per tutto il personale scolastico e di una formazione specifica per gli insegnanti di sostegno: che dovranno cumulare 60 crediti formativi universitari relativi alle didattiche dell’inclusione, oltre a quelli già previsti dal corso di laurea. I crediti «specifici» saranno in tutto 120: 60 prima della frequenza del corso di specializzazione, altri 60 durante. E per garantire la continuità didattica, gli insegnanti di sostegno non potranno più passare automaticamente, solo facendo domanda, a insegnare una materia, ma dovranno sostenere esami specifici. Questo eviterà lo svuotamento delle graduatorie per il sostegno. I contratti a tempo determinato potranno poi essere reiterati «il più possibile», dice Malpezzi, in caso di fruttuoso rapporto docente-alunno.

«Vergognoso» per il M5S

Di «provvedimento vergognoso» parla il M5S, che ha presentato una proposta alternativa e denuncia «diritti non garantiti». I pentastellati criticano, tra l’altro, la mancanza di un piano di assunzione straordinario degli insegnanti di sostegno e l’attribuzione della funzione di valutazione sulla qualità dell’inclusione scolastica all’Invalsi.

Decreto promosso dalle associazioni

Positivi invece commenti delle Associazioni di e per le persone con disabilità: «Bene le classi con 20 alunni, disposizione che recepisce quanto già previsto dagli art n. 4 e 5 del DPR 81 del 2009 e contrasta il proliferare delle “classi pollaio”, che noi consideriamo deleterie per gli studenti disabili», commenta Gianluca Rapisarda, direttore scientifico dell’Istituto per la Ricerca, la Formazione e la Riabilitazione (I.Ri.Fo.R.) dell’UICI. Bene anche la formazione iniziale specifica sulle singole disabilità, dei futuri docenti per il sostegno e alla formazione in servizio sulla didattica inclusiva e sulla pedagogia speciale di tutto il personale scolastico prevista nel neonato Decreto sull’inclusione, «purché - avverte - si faccia veramente loro obbligo di osservarla». «A tal proposito - continua - il recente “Piano Triennale di Formazione Obbligatorio” per i docenti curricolari e di sostegno in servizio ci sembra un ottimo strumento e una preziosa opportunità da cogliere da parte di tutte le Istituzioni scolastiche. La Formazione estesa a tutto il contesto, infatti, potrebbe finalmente ridurre e contenere il più triste e perverso fenomeno dell’attuale modello dell’inclusione scolastica del nostro Paese e cioè la delega al solo docente specializzato dell’alunno/studente con disabilità, con la conseguente emarginazione e ghettizzazione di quest’ultimo nella famigerata “aula di sostegno”.

«Passare da organico di fatto a organico di diritto»

Qualche ombra rimane: «Il fatto che più del 40% degli attuali docenti per il sostegno sono supplenti e hanno incarichi precari “in deroga” - sostiene Rapisarda -: per ovviare bisognerebbe rivedere i criteri degli organici dei docenti specializzati, che dovrebbero poter transitare dal presente organico di fatto a quello di diritto delle scuole e prevedere un serio e strutturale Piano di assunzione attraverso appositi Concorsi». E il mancato riferimento esplicito all’art 24 della Convenzione Onu del 2006 sui diritti delle persone con disabilità, che invita a considerare finalmente il diritto all’istruzione come un insopprimibile diritto umano da garantire a qualsiasi cittadino, a prescindere dalla sua limitazione funzionale, e non un semplice e “generico” diritto da tutelare, non promuove quel «cambio di mentalità e di approccio» auspicato, per passare una volta per tutte dalla vecchia dimensione “integrativa” alla nuova prospettiva culturale dell’inclusione.


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