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Dalla parte delle famiglie

La politica e la scuola

27/08/2020
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la Repubblica

Michela Marzano

Sembra un interminabile feuilleton.

Sono settimane che si discute, si analizza, si litiga, si tergiversa. Ma sulla scuola, ancora una volta, siamo punto e daccapo. Anche se ormai di giorni alla riapertura ne mancano davvero pochi. E le famiglie si spazientiscono, e hanno perfettamente ragione. Non se ne può davvero più di questa politica che non riesce a decidere. Certo, non è facile. Non è questo che sto dicendo. Anzi. Non esiste una palla di vetro che possa permettere di capire cosa succederà tra un mese o due, nessuno sa se, una volta aperte le scuole, poi alcune debbano essere di nuovo chiuse e sanificate, come sta accadendo in questi giorni in Germania. Nessuno sa se la soluzione alla francese di imporre a tutti l’uso delle mascherine a partire da 11 anni sarà o meno efficace. Nessuno sa nemmeno che fine faranno le lezioni in piccoli gruppi e en plein air della Norvegia ora che la bella stagione sta per finire. Ma in Germania, in Francia, in Norvegia e in molti altri paesi europei, le regole almeno ci sono: e le scuole riaprono o sono già aperte, e le famiglie possono tirare un sospiro di sollievo anche se, forse, solo momentaneo.

E allora perché, in Italia, non ci si riesce?

Perché nessuno si assume la responsabilità di decidere, una volta per tutte, quali debbano essere le regole da far rispettare affinché le scuole possano riaprire?

Non è facile. L’ho detto e lo ripeto. È estremamente difficile decidere quando i parametri su cui basarsi sfuggono e l’incertezza è enorme. Ma la capacità decisionale non è forse la caratteristica principale che dovrebbero avere le donne e gli uomini che si impegnano in politica?

Non è per questo che li si vota e li si elegge?

Non è per questo che proprio loro, tante volte, rivendicano la delicatezza del proprio ruolo e criticano gli intellettuali che — beati loro! — disquisiscono, parlano, scrivono, ma poi solo raramente agiscono?

In francese, c’è un termine molto efficace, sebbene sia quasi intraducibile in italiano, che si utilizza quando ci si trova di fronte a una scelta: "trancher", letteralmente "tagliare". Proprio come quando ci si trova di fronte a una torta, e la si deve dividere, magari senza sapere quanti siano esattamente gli invitati. Ebbene, quando si decide, prima o poi arriva il momento in cui si deve "tagliare".

Per dirla in termini filosofici, la decisione è il risultato di un processo deliberativo; solo che, a differenza dei sillogismi dimostrativi che portano a conclusioni teoriche, i sillogismi pratici, spiega bene Aristotele, hanno sempre come conseguenza un’azione. E quando si agisce, c’è una responsabilità da assumersi.

"Ma prima di decidere si delibera!"

obietterà senz’altro qualcuno. Ma il punto, oggi, non è questo. Il punto, parlando della scuola, è che sono mesi che si delibera (o si fa finta di deliberare) senza che nessuno abbia il coraggio di assumersi la responsabilità di scelte precise. Sono settimane che si parla di mono-banchi, di controllo della temperatura in famiglia o a scuola, di personale docente e non docente, di autobus e metropolitane, di entrate scaglionate e di test sierologici.

Sono settimane, dicevo, che si discute, ma le decisioni esatte e le regole precise quand’è che arrivano? Quand’è che lo Stato e le Regioni si metteranno d’accordo e la smetteranno di litigare? Ci potranno essere errori. Si potranno rivedere le regole via via che la situazione evolve. Le famiglie non chiedono d’altronde ai politici un’"obbligazione di risultati" — sarebbe d’altronde assurdo pretendere la certezza del risultato in una situazione di generale incertezza — ma un’"obbligazione di mezzi". E non c’è davvero più nessuna scusa, per i nostri politici, di tardare ancora prima di "trancher".


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