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Da Internet agli orari flessibili, superiamo le vecchie rigidità

Intervista a Stefania Giannini, vicedirettore generale dell'Unesco con delega all'Educazione

02/06/2020
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Il Messaggero

Stefania Giannini, vicedirettore generale dell'Unesco con delega all'Educazione, la scuola in Italia non riparte. Era proprio necessario finire l'anno scolastico in questo modo? 
«Stiamo affrontando un panorama globale molto complesso, con una crisi sanitaria imprevedibile che interessa tutti. Voglio ricordare che 192 Paesi nel mondo hanno deciso di chiudere il sistema scolastico tradizionale e trasferirlo su piattaforme online oppure su radio e televisione. Non solo l'Italia dove il Governo ha fatto il possibile in circostanze straordinarie. Ora che l'anno scolastico è praticamente finito, il dibattito è e deve essere un altro».
Quale?
«Questo è il momento del coraggio e della visione: servono strumenti per prevedere diversi tipi di scenari e i sistemi educativi devono farsi trovare pronti. Le indicazioni dell'Unesco vogliono tutelare prima di tutto la sicurezza sanitaria degli studenti, degli insegnanti e dell'intera comunità educativa e per farlo abbiamo bisogno di coinvolgere il personale scolastico che non deve subire decisioni dall'alto. Per poi far partire la fase di implementazione legata alle scuole, per creare un sistema efficace di comunicazione e verifica con i dirigenti scolastici anche perché l'Italia ha un territorio molto diversificato. Dalle Nazioni unite è stato preparato un manuale agile e semplice, spero venga tradotto presto anche in italiano»
La visione della scuola del futuro dove deve guardare?
«Dobbiamo superare quelle rigidità della vecchia scuola. Penso all'orario, ad esempio, a settembre si dovrà entrare scaglionati? Teniamoci pronti a farlo. Un'altra riflessione da fare è sull'uso della tecnologia: in questi mesi è stato un aspetto fondamentale ma ha dato i suoi problemi».
Molte famiglie erano impreparate.
«Quasi una su due, nel mondo: il 43% degli studenti non ha accesso ad internet da casa, la percentuale sale all'80% in Africa e scende al 14% in Europa. Ma non solo, abbiamo capito che la tecnologia non può sostituire la componente interattiva sociale. Inoltre, secondo un nostro rapporto, il 73% di insegnanti di 60 Paesi non era preparato a passare dall'insegnamento in classe a quello online. Quindi va fatta una riflessione anche sulla formazione della comunità educante».
L'Italia peggio di altri, in Europa?
«Credo che solo la Cina sia riuscita a passare automaticamente dalla didattica in presenza a quella online, perché in realtà era già pronta da anni. In Europa lo hanno fatto solo i Paesi del Nord, che sono poi quelli che non hanno chiuso la scuola come gli altri».
In Italia le difficoltà sono state tante.
«Innanzitutto è emerso il rischio di vedere crescere le disuguaglianze sociali, sono emerse anche le difficoltà di far legare il telelavoro con le lezioni a casa e questi sono aspetti che vanno studiati. E servono dei fondi in più».
Arriveranno?
«Il Governo deve farsi sentire in Europa: ci sarà la diffusione di fondi europei straordinari sul digitale e mi aspetto che il settore education sia privilegiato visto che, dopo quello sanitario, è il settore che ha sofferto più di tutti».
Investire sul digitale: il suo Governo lo fece con la riforma della Buona Scuola.
«Sì, investimmo molto sul piano digitale: un miliardo di euro da fondi nazionali e poi con un'integrazione tramite fondi strutturali europei arrivammo a qualche miliardo di euro destinati esclusivamente alla digitalizzazione. Sono passati 5 anni, era il 2015, e oggi la strada da fare è ancora moltissima. Una scuola agile deve passare per una digitalizzazione vera, che raggiunga tutti con una connessione che copra tutto il Paese. Altrimenti le fasce dei più deboli restano escluse».
L'obiettivo qual è?
«Non solo tornare in presenza ma anche dare agilità nuova alla scuola, deve essere pronta ad affrontare diversi scenari possibili, dalla riapertura totale a quella parziale. Dobbiamo investire quindi in idee e in innovazione, servono ovviamente dei finanziamenti: abbiamo tre mesi di tempo, mettiamoli a frutto».
La maturità deve essere il primo banco di prova, però mancano i presidenti di commissione. Forse per paura.
«Sono tre le parole fondamentali: consultare, coordinare le azioni nelle difficoltà ma anche comunicare bene con messaggi chiari, univoci e non contraddittori. I cittadini sono stati sommersi da messaggi di allerta ora sta al governo dare un messaggio di chiarezza: il diritto alla salute è un pilastro della nostra società ma lo è anche il diritto all'educazione. E non devono trovarsi in contrasto».
L.Loi.


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