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da Fuoriregistro-Gli intellettuali, presidio della democrazia

Per un nuovo 'j'accuse' degli intellettuali contro il blocco potere-denaro-media e in difesa della democrazia di Federico Repetto - 25-02-2002 Gli intellettuali, presidio della democrazia ...

26/02/2002
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Fuoriregistro

Per un nuovo 'j'accuse' degli intellettuali contro il blocco potere-denaro-media e in difesa della democrazia
di Federico Repetto - 25-02-2002

Gli intellettuali, presidio della democrazia

Il temine 'intellettuale' nacque nella Francia dell'affaire Dreyfus, quando gran parte della comunità degli uomini di lettere, degli artisti e degli scienziati insorse a favore dell'ufficiale ebreo accusato di spionaggio a favore della Germania. In questa occasione i professionisti della cultura sentirono il dovere, di fronte alla parzialità della giustizia, al silenzio della politica e al conformismo generale, di levare la loro voce in difesa della verità, che è uno dei valori fondanti della democrazia liberale. Il 'j'accuse', impegno personale diretto in un caso sociale e giudiziario, fu lanciato proprio da Emile Zola, che a suo tempo aveva teorizzato il distacco completo dell'artista verista, il cui compito era osservare dal di fuori la società. Incoerenza? Mutamento completo di posizione? In realtà, come ha teorizzato più tardi Julien Benda, è proprio il distacco dagli interessi mondani, la fedeltà ai valori puri della verità, della giustizia e della bellezza, che spinge l'intellettuale, nelle situazioni estreme, ad entrare nell'agone dell'opinione pubblica, e a impegnarsi nella difesa dei principi fondamentali. Chi ha il ruolo istituzionale di tale difesa, in condizioni normali, è il ceto politico dei partiti liberali, intendendo con questo termine tutti quei partiti, di destra e di sinistra, che accettano i metodi della democrazia procedurale e dello Stato di Diritto. Ma quando questo ceto politico è latitante o corrotto, spetta agli intellettuali ricordargli i suoi compiti ed invitare i cittadini a reagire, o farsi portavoce dei cittadini. O anche opporsi al conformismo o all'intolleranza dei cittadini stessi.
Gli intellettuali, tuttavia, hanno spesso tradito questo loro ruolo di ruota di scorta della democrazia, come ha sottolineato Julien Benda nel suo famoso pamphlet La trahison des clercs. Perché 'chierici'? Proprio perché per Benda il loro potere non è di questo mondo, come quello dei politici. Non spetta a loro costruire i compromessi e gli adattamenti di cui la politica reale ha inevitabilmente bisogno. Essi stanno invece a guardia di quei valori comuni che sono sacri per l'umanità. Il tradimento dei chierici di cui parla l'autore è soprattutto quello dell'imperialismo nazionalista e guerrafondaio, del fascismo e del bolscevismo. La prima guerra mondiale è il momento in cui questo tradimento '#8211; e insieme l'abbrutimento dell'opinione pubblica occidentale - si manifestano per la prima volta in modo massiccio dopo la lenta affermazione del sistema dell'opinione pubblica nel corso dell'Ottocento. Durante la prima guerra mondiale quasi tutti gli intellettuali si impegnano a favore dell'interesse nazionale-imperiale, tradendo gli ideali umanisti e pacifisti.

Intellettuali 'alti' e intellettuali 'bassi'.

La forza 'mondana' degli intellettuali sta naturalmente nella loro capacità di entrare in relazione con l'opinione pubblica. Se risaliamo all'Inghilterra del Settecento, con la nascita dei quotidiani e la diffusione del dibattito aperto nell'opinione pubblica, troviamo già qui un correttivo del potere separato e autonomo del Parlamento eletto da pochi ricchi: la libera circolazione e la concorrenza illimitata delle idee tra soggetti critici, liberi e informati, capaci di esercitare una pressione sulle sue decisioni, facendo uso (tra l'altro) di argomentazioni razionali.
Nella fase democratica dello Stato moderno, quando il suffragio si diffonde, la concorrenza tra le testate giornalistiche e quindi tra le idee diventa limitata, imperfetta, a causa delle 'grandi organizzazioni' moderne (trust giornalistici privati e giornali di partito), mentre il nuovo pubblico di massa, di recente alfabetizzazione, ha minori capacità critiche.
Tuttavia non mancano certo istanze critiche nella democrazia contemporanea di massa: le organizzazioni sindacali, di categoria, locali, etniche, di genere, ecc., e in genere l'iniziativa propositiva dei cittadini associati nella società civile nei confronti dello Stato.
Lazarsfeld, uno dei pionieri della ricerca sulle comunicazioni, fece uno studio sugli opinion leaders di base - quegli intellettuali di base, dal parroco al farmacista, dal veterinario all'autodidatta accanito lettore di giornali che hanno una capacità di informazione autonoma sugli eventi politici e che mediano le notizie ufficiali in modo critico alla gente comune. Egli constatava che gli opinion leader di base erano in grado di contrastare l'influenza dei media dell'epoca.
Ciò sembra particolarmente vero per la democrazia angloamericana o nordeuropea, mentre nella travagliata storia europea continentale talora gli opinion leader di base sono stati coinvolti in movimenti diretti dall'alto e anche in regimi totalitari. Ma è difficile pensare che, nei lunghi periodi di regime democratico, questi intellettuali da osteria, da parrocchia e da casa del popolo non abbiano avuto una importante funzione di filtro tra i media, espressione dei vertici del potere sociale, e il grande pubblico.
Quali possono essere le radici della fiducia negli opinion leader 'da osteria'? L'accettazione della loro interpretazione delle informazioni da parte della gente comune del loro ambiente è per certi versi una scelta legata ad una comune appartenenza identitaria o ideologica, e questo è un aspetto talora deteriore: right or wrong - my country (my class, my religion, my party, etc.). Ma è anche una scelta legata ad una comune mentalità di sfondo razionalistica: l'opinion leader è visto come uno che ha una seria competenza, sa calcolare gli interessi, ha una visione d'insieme, e si dedica con passione al sapere e al bene pubblico. Ed è infine una scelta di saggezza (sapere di non sapere e affidarsi a chi sa) che però presuppone l'esistenza di un'autorevolezza degli opinion leader stessi. Si tratta dell'autorità intellettuale di uomini liberi su altri uomini liberi, un'autorità attribuita da chi vi si sottomette, non originaria, tradizionale e data per scontata da sempre. Essa nasce dalla credibilità dell'interlocutore in un rapporto face to face, in un rapporto in cui l'uomo comune può esercitare la sua saggezza pratica ('di questo mi posso fidare').

I presupposti comunitari della democrazia liberale: la tradizione della critica delle tradizioni e l'autorità paterna degli uomini liberi.

Popper, parlando delle società democratiche, ha detto che in esse opera una tradizione critica e autocritica, una tradizione aperta, la cui regola è quella che ogni idea preconcetta puo' essere messa in discussione. Ma ogni tradizione ha bisogno di comunità: anche il razionalismo individualistico, che promuove l'autonomia dell'individuo, ha bisogno di un contesto comunitario capace di far nascere uomini liberi, autonomi e responsabili: essi, almeno in massa e su base stabile,non si generano da soli, per autogenerazione.
A partire da un momento dato, ogni generazione di uomini liberi ha fatto nascere e formato un'altra generazione di uomini liberi: noi abbiamo imparato a diventare liberi subendo il comando paterno e materno. E se non avessimo subìto l'autorità genitoriale, non avremmo appreso l'autonomia.
L'autorità paterna, la tradizione critica e l'esistenza dei grandi intellettuali e degli opinion leader di base sono tutti prodotti della società civile. Lo Stato liberale, che non ha un'ideologia ufficiale, tuttavia non può lasciare che la società civile e gli ambiti comunitari e familiari siano corrosi da fattori disgreganti ed esauriscano la loro capacità formativa, e deve aiutarli a conservarla, favorendo ufficialmente e sistematicamente non solo il 'patriottismo costituzionale' e l'etica pubblica, ma in genere tutti i processi che portano alla formazione dei soggetti autonomi razionali, capaci di discorso e di dialogo.
Presupposto di tale formazione non è certo un qualche modello tradizionale e intangibile di famiglia, ma tutta una gamma di entità comunitarie che necessitano di protezione e assistenza (i diritti sociali del resto sono strettamente collegati a quelli politici e civili). Queste agenzie di formazione sono grosso modo: le famiglie tradizionali e non-tradizionali, le associazioni culturali, religiose, ricreative ecc. della società civile e, infine, le istituzioni scolastiche - anche quelle pubbliche, che, data la libertà di stampa, di insegnamento e di discussione, sono di fatto in una certa misura organi della società civile.

La società senza padre: l'individuo crea se stesso?

La teoria liberale e libertaria ha spesso confuso l'autonomia razionale dell'individuo con una sua titanica autogenerazione dal nulla e la critica delle comunità oppressive con la critica di qualunque forma di autorità interna alla società civile. L'esito della rivendicazione libertaria di una 'società senza padre' ai tempi dello Stato Sociale fu quello di deresponsabilizzare, giuridicizzare e medicalizzare le comunità e la famiglia e di sottoporre i nodi vitali della società civile all'intervento amministrativo continuo dello stato. Intervento il cui scopo non è stato quello di rafforzare la capacità di formazione educativa e la produzione di autorevolezza all'interno della società civile '#8211; contestate dai movimenti degli anni sessanta e settanta - ma invece di sostituire l'autorità e la responsabilità genitoriale con interventi amministrativi. Il permissivismo, nei limiti dello Stato Sociale, non potendo diventare anarchia pura, induce lo Stato a camuffare l'intervento coercitivo da intervento terapeutico, moralmente del tutto neutrale.
Ma l'autorevolezza dei genitori, degli insegnanti e degli opinion leader di base è altresì minata dallo sviluppo della tv e di altri media. Secondo lo straordinario saggio di Joshua Meyrovitz Oltre il senso del luogo, la contestazione nelle scuole americane negli anni sessanta e il femminismo del periodo successivo hanno un nesso significativo con la diffusione capillare della tv nel breve periodo tra la fine della guerra e la metà degli anni cinquanta, che ha aperto una nuova 'finestra' nelle mura della casa delle famiglie dei ceti medi, svelando i retroscena degli adulti e dei mariti, i quali persero allora quell'autorevolezza che derivava loro dal quasi monopolio dei rapporti con lo spazio esterno.
Sotto lo Stato neoliberista odierno, ridotto a Stato Minimo dalle forze potenti della globalizzazione, il sistema formativo pubblico è in declino e l'assistenza alle comunità è ridotta ai minimi termini. La risposta alla perdita di autorità e di capacità formativa della società civile è la criminalizzazione e la segregazione degli individui non ben formati, dei devianti. Se lo Stato Minimo riesce ad ottenere comunque l'obbedienza con la coercizione, non sembra che la sua autorevolezza e il suo carisma nei confronti dell'insieme della popolazione sia cresciuto rispetto al permissivo Stato Sociale: secondo Meyrowitz, il piccolo schermo dà una dimensione quotidiana ai leader politici e ne abbassa la statura (li riduce a familiari 'mezzi busti'). In sostanza, il trend dominante è quello per cui l'individualismo razionalistico e acquisitivo, prodotto dalla scuola e dalla famiglia tradizionale, è sostituito da un 'Io minimo', dotato di un'identità debole e di una scarsa propensione a progettare il futuro, e alieno dall'assumersi responsabilità.

La politica centrata sul denaro e sui media e il declino degli opinion leader da osteria

La società postindustriale ha progressivamente eroso il senso di appartenenza delle masse, per cui le campagne elettorali usufruiscono sempre meno dell'apporto gratuito dei militanti di base. Lo Stato Sociale del resto aveva già da tempo messo sotto il controllo dei politici somme ingenti, che permettevano loro di fare progressivamente a meno dei militanti, diminuendone l'influenza politica. Le spese delle campagne elettorali, per un trend generale che riguarda anche la pubblicità commerciale, sono venute aumentando progressivamente negli ultimi decenni, rafforzando il potere del denaro all'interno del mondo della politica.
Tuttavia si poteva sperare che il declino della militanza fosse controbilanciato dalla scolarizzazione di massa e dall'aumento generale della cultura, oltre che dalla presenza degli opinion leader da osteria. In realtà il protrarsi nel tempo dell'istruzione è compensato negativamente dal suo peggioramento qualitativo e dall'effetto destrutturante del 'curriculum tv' che si impone sul curriculum formale della scuola. Quanto agli opinion leader da osteria, essi, non meno degli insegnanti e dei genitori, vedono la loro autorevolezza diminuire a causa del discorso in prima persona che la tv rivolge al suo utente. Il rapporto 'diretto' (in realtà elettronicamente mediato) tra leader e elettore rende poco attraente la discussione da osteria tra elettori e leader di base.
In conclusione, l'elettore medio della democrazia occidentale oggi non solo non sa valutare tecnicamente l'informazione, ma non è nemmeno conscio dei suoi stessi limiti, né si accorge di aver bisogno degli opinion leader da osteria: l'informazione televisiva appare come autoevidente, lo schermo rende presente a noi la realtà, per cui non sentiamo il bisogno di intermediari. D'altra parte il leader tv non assomiglia al grande leader popolare di una volta '#8211; l'uomo che parla dal palco: il leader televisivo non è un condottiero, un duce, un patriarca o un padre (redivivo), ma uno 'zio' (come disse una volta Umberto Eco di Berlusconi) e ha un'autorevolezza limitata e provvisoria, o piuttosto una capacità seduttiva. Per cui difficilmente un leader politico televisivo può essere avvertito come un pericolo per l'autonomia del telespettatore e destare delle opposizioni di principio.

Minacce alla democrazia liberale.

La sindrome per cui politica-capitale-tv costituiscono tendenzialmente un unico blocco di potere costituisce una minaccia alla moderna liberaldemocrazia, basata su di una pluralità di poteri politici, economici e sociali, e animato dal dibattito critico tra soggetti autonomi razionali.
Una minaccia al discorso razionale e critico dei grandi intellettuali è costituita dall'invadenza del campo giornalistico (in cui il successo è basato oggi sulle regole della notorietà e dell'audience di massa) nel campo scientifico, ancora basato su regole di competenza e di autorevolezza di tipo professionale.
D'altro canto, la demolizione progressiva dello Stato Sociale e l'indebolimento del sistema pubblico di istruzione rende più problematica la formazione degli opinion leader di base, e colpisce economicamente in particolare gli insegnanti e i lavoratori intellettuali non direttamente collegati al sistema produttivo e mediatico.
La diffusione della rete internet ha indubbiamente contribuito alla nascita delle nuove comunità virtuali, di nuove forme di informazione e di comunicazione razionale e, in ultima analisi, di nuove opportunità per la democrazia, instaurando quel dialogo attivo tra soggetto e soggetto, che ai tempi del monopolio esclusivo della tv generalista e, prima ancora, della grande stampa di massa, era possibile solo nel piccolo e chiuso mondo dei salotti o delle osterie.
Tuttavia Internet non costituisce '#8211; presa da sola '#8211; una liberazione tecnologica, ma resta un fenomeno ambivalente. Essa potenzia ulteriormente le capacità di quanti hanno già una formazione critica e razionale, e crea nuove opportunità di espansione dell'immaginazione e dei rapporti umani per una élite, seppur abbastanza vasta. Al grande pubblico che ora si affaccia al mondo multicolore del web (le generazioni già formate dalla tv), Internet si presenta già colonizzata dalla pubblicità. Né per ora è riuscita a scalzare la tv nei ceti popolari, che spesso usano la rete come un potenziamento dello zapping di evasione, o come una fonte di videogiochi e gadget di ogni tipo.
Ma mentre questo nuovo potenziale alleato del dialogo democratico comincia a fare le sue prove, nuove minacce '#8211; ancora più gravi '#8211; derivano oggi dalla militarizzazione della democrazia in seguito ai fatti dell'11 settembre 2001. La limitazione delle garanzie democratiche e la sorveglianza statale sul sistema informativo attuata negli USA dopo gli attentati sembra destinata a far scuola.

Per un nuovo j'accuse: gli intellettuali si devono levare in difesa della democrazia.

E' tuttavia possibile ed auspicabile che, nell'attuale società globale dell'informazione, ci sia una ripresa dell'opposizione sociale da parte delle nuove forme di lavoro dipendente, o dei consumatori, o dei giovani. Ma gli intellettuali, 'grandi' o 'piccoli' possono e devono prendere coscienza dell'attuale crisi della democrazia e reagire energicamente contro di essa, perché sono in gioco con essa la loro l'identità, il ruolo e talora i loro mezzi di vita.
Le loro risorse principali, benché oggi svalutate, sono la conoscenza e l'autorevolezza. Rivalutare l'autorevolezza dipende anche dagli intellettuali stessi - che devono superare l'idea liberale-libertaria della morte del padre. Al posto di un pensiero debole, di un 'liberalismo fiacco', abbiamo bisogno di una sorta di 'fondamentalismo della ragione', di un'etica o di una religione laica dell'antifanatismo e della tolleranza, come quella proposta all'inizio del Novecento da Zola e da Benda. Gli intellettuali '#8211; in nome dell'oggettività e avalutatività scientifiche - non possono più essere eticamente neutri nei confronti della democrazia: devono proporla e proclamarla pubblicamente con autorevolezza, perché ne conoscono il valore, perché essa è parte integrante della loro professione e della loro esperienza di vita. L'uso del linguaggio e del dialogo, della parola scritta e parlata, costituiscono l'oggetto stesso del mestiere dell'intellettuale. Se esso deve necessariamente rinnovare i suoi strumenti di lavoro e di comunicazione, confrontandosi con la sfida del mondo dell'immagine e dell'informatica, è però impensabile che rinunci alla difesa dei valori della critica e dell'autonomia di fronte al nuovo blocco politica-capitale-tv, che sta avanzando ovunque, e con particolare forza in Italia.
La difesa della scuola pubblica e dell'assistenza pubblica a tutte le agenzie formative (associazioni e comunità familiari) ne costituisce un momento indispensabile. Ma la difesa dei diritti sociali concreti non può disgiungersi da quella '#8211;senza compromessi'#8211; dei valori etico-politici della legalità democratica costituzionale, perché la missione dell'intellettuale riguarda proprio i principi primi, al di là delle contingenze.


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