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Cultura scientifica, una nuova sfida per la scuola

Silvio Garattini

18/08/2014
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Il Messaggero

Il mondo della scuola che precede l’Università sembra non aver pace. Anche in questi giorni circolano voci riguardanti altri cambiamenti. Secondo quanto riportato dalla stampa si tratta di modifiche circa lo status degli insegnanti, un aspetto fondamentale per ottenere una scuola di alto livello. Si parla molto di supplenze e precariato mentre mancano precise indicazioni per la formazione degli insegnanti. Per quanto riguarda gli insegnamenti si vuole inserire fin dalle primarie l’inglese, la geografia, storia dell’arte, musica e programmazione informatica. Tutto certamente utile, ma con una gravissima carenza: non si menziona il termine scienza e in particolare le scienze della vita. Come è possibile che non si voglia colmare una lacuna essenziale nella formazione dei giovani che si ripercuote poi sui comportamenti e sulle decisioni che riguardano problemi di tutti i giorni? Sembra proprio che la cultura regnante di tipo letterario-filosofico-giuridico non voglia recepire la cultura scientifica come parte ormai essenziale per comprendere il mondo dei viventi.Come dovrebbe essere articolato l’insegnamento nei primi 10 anni di formazione giovanile? Occorre anzitutto non limitarsi ai contenuti della scienza, ma approfondirne i principi e la metodologia. I giovani studenti non hanno un’idea della complessità del più semplice organismo vivente mentre dovrebbero conoscere i meccanismi che sottintendono alle funzioni biologiche. Se sapessero le difficoltà nello stabilire i rapporti di causa ed effetto forse, a differenza degli attuali adulti non crederebbero agli indovini, all’omeopatia, agli oroscopi come pure alle terapie miracolose inclusa Stamina. Dobbiamo evitare che le prossime generazioni siano così credulone come le attuali, proprio perché educati dalla scuola saranno in grado di avere un metro di giudizio scientifico capace di far distinguere le evidenze dalle impressioni. Avere un’adeguata percezione del rischio e dei fattori che lo determinano è un’altra importante conoscenza a cui non vengono educati i giovani. La prossima possibilità di conoscere per intero il genoma dei singoli richiede un minimo di capacità critica per evitare errori di interpretazione, ma soprattutto per effettuare comportamenti adeguati. Così l’attuale insegnamento manca di tutta una serie di conoscenze che hanno a che fare con la prevenzione. Una migliore comprensione dei danni che derivano dall’abuso di alcol, tabacco e droghe illecite potrebbe evitare molti “drogati” particolarmente nell’età evolutiva, quando il cervello è ancora in fase di maturazione. Analogamente migliori conoscenze scientifiche sul ruolo dell’alimentazione in senso qualitativo e quantitativo, sull’importanza dell’esercizio fisico avrebbero un grande significato per tutta la vita, perché ridurrebbero il peso di tutte le malattie che non piovono dal cielo, ma dipendono dalla nostra adesione ai principi della prevenzione. Avere una cultura scientifica in campo biomedico significa anche in prospettiva essere più attenti nel selezionare ciò che offre il complesso mercato consumistico della medicina. Un altro insegnamento oggi quasi inesistente riguarda l’organizzazione del mondo sanitario con particolare riferimento al Servizio sanitario nazionale, un bene straordinario di cui non ci si rende conto e che andrebbe invece sostenuto da tutti.
Per attuare un programma del genere bisogna anche disporre di insegnanti adeguati che abbiano avuto una specifica formazione per insegnare scienze della vita. Potrebbe essere una nuova area universitaria che aprirebbe anche importanti spazi occupazionali perché questo insegnamento dovrebbe estendersi, con linguaggi adeguati su tutto l’arco della formazione scolastica. Ci si augura che il ministro della Pubblica istruzione non perda anche questa occasione per dare alle scienze della vita l’importanza che merita


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