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Covid e scuola, i presidi italiani i più pagati: ma i meno soddisfatti

Dal dossier dell'Ocse su ruoli e stipendi dei capi di istituto di 27 Paesi i nostri dirigenti sono ai ai primi posti. Ma mole di lavoro e stress si fa sentire. E durante la pandemia l'impegno richiesto si è enormemente dilatato

24/02/2021
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la Repubblica

Salvo Intravaia

I più pagati e i meno soddisfatti al mondo. Sono i presidi italiani che, con l'aiuto degli insegnanti, hanno condotto fino in fondo lo scorso anno scolastico e avviato quello attuale. Il tutto, tra lockdown, didattica a distanza e altri mille problemi da risolvere spesso in tempi brevissimi. Ad occuparsi dei dirigenti scolastici di mezzo mondo l'Ocse (l'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) con un recentissimo dossier.

"Quali sono i ruoli e gli stipendi dei capi di istituto?", si sono chiesti gli esperti dell'organizzazione che sottolineano come, in questi 12 mesi di emergenza sanitaria per la diffusione del Covid-19, siano stati sottoposti a un vero e proprio superlavoro.  

"Sebbene - scrivono nello studio - i contratti e le norme diano un'idea della responsabilità che i capi di istituto potrebbero essere stati tenuti ad assumere durante la pandemia, queste potrebbero non riflettere sempre ciò che è accaduto nella pratica. Durante questa crisi senza precedenti, i capi di istituto hanno anche assunto compiti non dovuti e che non hanno mai affrontato negli anni precedenti". Lo studio ha preso in considerazione i capi d'istituto di 27 Paesi: dall'Inghilterra all'Italia, dall'Australia al Cile. In generale, per un lavoro che in tempi normali li tiene impegnati attorno alle 7/8 ore giornaliere, i presidi non sono soddisfatti dei loro stipendi. E durante la pandemia l'impegno richiesto si è enormemente dilatato.

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Ma quanto guadagnano i presidi? La media Ocse è di 73mila dollari Usa equivalenti, convertiti secondo il potere d'acquisto delle singole monete nazionali. La media nell'Unione europea e di poco inferiore: 72mila dollari annui, ovviamente lordi. I capi d'istituto italiani, con oltre 107mila dollari, si piazzano soltanto dopo Australia e Regno Unito. Ma, guardando il differenziale con i loro docenti, sono i più pagati al mondo. Un preside australiano guadagna l'85% in più di un proprio insegnante, nel Regno Unito si sale al 136%: quasi due volte e mezzo. In Italia si sale ancora: siamo al 160%, pari a oltre due volte e mezzo lo stipendio medio di un docente in cattedra. 

Si tratta di una retribuzione che tradotta in euro (in base al potere d'acquisto in Italia) sfiora i 72mila euro lordi annui. Una cifra che non li soddisfa affatto. Già prima del coronavirus si dichiaravano contenti della loro retribuzione soltanto in 10 su cento. E risultavano i meno soddisfatti in assoluto. La media Ocse dei presidi appagati per quello che guadagnano è del 42%, i colleghi francesi soddisfatti calano al 40%. Sale ma di poco la gratificazione per il contratto di lavoro: in Italia siamo al 22% dei dirigenti scolastici intervistati, contro una media Ocse del 64%. I dati si riferiscono al periodo ante pandemia, ma secondo l'Ocse sono ugualmente indicativi. Fare confronti tra realtà molto diverse non è semplice: in alcuni Paesi i presidi hanno la possibilità di assumere, licenziare e formare i docenti, in altri no.  

E ancora: in alcuni Paesi, i capi d'istituto sono obbligati a dedicare una parte del proprio tempo all'insegnamento in classe, ma non è il caso dell'Italia. L'Ocse indaga anche i motivi che inducono i dirigenti scolastici a dichiararsi insoddisfatti del proprio lavoro. Il 71% punta il dito sul lavoro amministrativo, come fonte di "un bel po'" o "molto" stress. Circa la metà dei capi di istituto ha anche segnalato altri compiti come fonti di affaticamento mentale: tenersi al passo con le mutevoli esigenze delle autorità locali, comunali/regionali, o nazionali/federali (il 55%); essere ritenuti responsabili del conseguimento dei risultati degli studenti (il 46%) e fronteggiare le richieste o le preoccupazioni dei genitori, fonte di stress per il 47%. E nel corso della pandemia c'è da credere che i motivi di preoccupazione siano aumentati.


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