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“Così possiamo ribellarci a un sapere utilitaristico”

Parla lo storico Marc Fumaroli: “Le conoscenze letterarie, artistiche e filosofiche assicurano stabilità, compensando le continue trasformazioni di scienza e tecnica”

02/03/2014
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la Repubblica

Fabio Gambaro

PARIGI
«La cultura umanistica e quella tecnico- pratica devono essere complementari. Il loro equilibrio è vitale per la nostra esistenza e la nostra felicità». Marc Fumaroli replica alle minacce che pesano sull’insegnamento della filosofia e più in generale agli attacchi cui è sottoposta la tradizione umanistica in nome del primato della “ragion pratica”. «La vera cultura, quella che forma uomini liberi, dotati di capacità critiche e inventive, è la cultura che si confronta in maniera intelligente, ma anche sul piano delle emozioni, con i grandi capolavori della letteratura, delle arti e del pensiero », spiega lo studioso francese, specialista del XVI e XVII secolo, autore di numerosi saggi, tra cui il recente Parigi-New York e ritorno: viaggio nelle arti e nelle immagini (Adelphi). «I giovani che hanno ricevuto una solida cultura umanistica, che io però chiamerei cultura generale, non sono individui formattati o ridotti alla semplice espressione di uno specialismo. Hanno un’immaginazione più libera e uno spirito critico più sviluppato, doti che consentono loro di riuscire in qualsiasi ambito, compresi quelli più tecnici».
Perché oggi l’eredità della cultura umanistica viene rimessa in discussione?
«Siamo dominati da una concezione utilitaristica del sapere, accompagnata da un’idolatria del denaro. Tutto deve produrre una rendita immediata, altrimenti appare inutile. Ci si illude che i nuovi mezzi di comunicazione siano più che sufficienti ad affrontare la vita. La cultura umanistica appare arcaica e superata, e tutti gli sforzi fatti in passato per trasmettere una cultura che ci aiuti ad essere un po’ più umani e un po’ meno barbari non sembrano più necessari».
È così?
«Assolutamente no. Sarebbe un grave errore sacrificare questa tradizione, poiché essa può compensare le mancanze di un universo dominato dalla tecnica, dall’economia, dalla comunicazione che tende a sacrificare il ragionamento e la capacità di giudizio. Oggi abbiamo più che mai bisogno di esercitare le facoltà critiche e razionali, che nascono anche dalla frequentazione della cultura umanistica».
La cultura umanistica come crogiolo dello spirito critico?
«Lo spirito critico è solo una delle diverse facce del rapporto con le opere letterarie, artistiche e filosofiche, e più in generale con la realtà. Non bisogna dimenticare la dimensione emotiva e sensuale, che implica un’educazione della passioni e del cuore. Da questo punto di vista, non saranno i luccicanti schermi di internet
né i meravigliosi algoritmi che ci aiuteranno a crescere. Serve invece un sistema educativo che compensi le tendenze eccessivamente astratte, utilitaristiche e specialistiche del mondo tecnico- pratico».
L’umanesimo è sempre stato tradizionalmente legato alla cultura scritta. Oggi però la società è dominata dalle immagini. Nasce da qui la diffidenza nei confronti dell’eredità umanistica?
«Penso di sì. Le immagini, che sono al centro di tutto un dispositivo comunicativo e pubblicitario, hanno un potere straordinario, che però ci allontanano dal mondo reale, condannandoci all’universo dell’astrazione. Ci privano del rapporto sensibile e intuitivo con il reale e con gli altri, rischiando di prosciugare la nostra immaginazione e la nostra sensibilità. Le nuove tecnologie – per molti versi utili e ammirevoli – rischiano di atrofizzare le nostre coscienze e impoverire le ricchezze che sono in noi. Per fare da contrappeso a questa deriva, occorre fare appello alla cultura umanistica o, come la definisce Schiller, all’educazione estetica. Ma anche alla bildung cara ai tedeschi, che chiamano così l’apprendimento dell’inutile, che però è più utile di ciò che solitamente è considerato utile. Insomma, l’universo umanistico e il mondo tecnico-pratico devono essere complementari, correggendosi l’un l’altro».
Può fare un esempio concreto?
«La cultura umanistica possiede una certa stabilità. Oggi possiamo leggere l’Eneidetraendone la stessa felicità e lo stesso beneficio educativo che in passato. La scienza è invece in continuo movimento e in continua trasformazione. Questa instabilità ha bisogno di essere compensata dal rapporto con un universo più stabile come quello umanistico, che presenta una continuità di valori e idee non correggibili dall’evoluzione dei tempi. Senza dimenticare, che le nuove tecnologie possono essere un alleato formidabile per un’educazione di tipo umanistico, motivo per cui occorre immaginare ogni forma di dialogo tra i due ambiti».
Per continuare a pesare sulla società, la cultura umanistica ha bisogno di reinventarsi?
«Naturalmente la cultura non è mai immobile. Oggi non insegniamo e non leggiamo le opere come nel secolo scorso. Ogni generazione reinventa la cultura, pur traendone le stesse sostanze e gli stessi benefici. Che sono tali anche sul piano civile, visto che la cultura umanistica, come tutto ciò che ci rende più intelligenti, ci rende anche migliori cittadini. La democrazia ha bisogno di capacità di riflessione e di giudizio critico, altrimenti rischia di lasciarsi andare alle reazioni più immediate ed epidermiche».​