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«Così il rilancio dell’Italia dagli atenei d’eccellenza»

Abravanel: puntare su conoscenza e merito. Bertoluzzo e il caso Nexi

02/03/2021
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Corriere della sera

Giuliana Ferraino

Per competere nell’economia della conoscenza, che è fatta di idee, innovazione e scienza, l’Italia deve ripensare profondamente il suo sistema universitario e di ricerca, puntando «su 3 o 4, al massimo 5 università di eccellenza», sostiene Roger Abravanel, tornato ieri al Politecnico di Milano, dove si è laureato nel ‘68 in ingegneria chimica. «A noi italiani questa idea non piace, ma solo l’eccellenza crea ricchezza», argomenta. «Le università di eccellenza fanno ricerca e insegnamento, le altre preparano al lavoro, ma a molti docenti non piace. Vuol dire saper insegnare skills per la vita». Perché «la meritocrazia di massa è finita» e la pandemia ha accelerato questa tendenza.

In un mondo dove la competizione è globale, vince il modello americano. «Stanford ha creato 40 mila aziende e 3 trilioni di valore. Negli ultimi 25 anni è esploso il rapporto tra università di eccellenza e grandi corporation. La pandemia ha accelerato una tendenza già in atto», dice Abravanel. In Italia? Il politecnico di Milano, guidato da Ferruccio Resta, padrone di casa del dibattito in streaming, è la migliore università in Italia, eppure resta molto indietro nel mondo. E il ranking è importante per attrarre i migliori ricercatori e studenti. Gli alumni del PoliMi condividono. «Dietro il successo di Nexi, azienda leader dei pagamenti digitali, cresciuta nell’economia della conoscenza? Scala, tecnologia e competenze», sostiene Paolo Bertoluzzo, che in 4 anni ha «assunto 500 persone con competenze nuove». L’alumna Elena Bottinelli, cita il caso del San Raffaele, ospedale privato che dirige insieme al Galeazzi: «Ha avuto la grande capacità di creare un ecosistema favorevole per accelerare la crescita, puntando su ricercatori di altissimo livello e clinici di eccellenza, inseriti in un ambiente universitario propizio. Il risultato in un anno difficile come questo sono due startup sulla terapia genica ». Però basta sentire l’alumno Alberto Sangiovanni Vincitelli, docente a Berkeley dal ‘75, per capire il problema: due aziende che ha co-fondato «sul Nasdaq capitalizzano 80 miliardi contro i 43 miliardi di Fca e Psa insieme», dice. «Per creare eccellenza serve ricerca insieme a insegnamento. Nelle top university non si bada a spese per avere i migliori».

E’ una delle ragioni per cui, secondo Abravanel, le università eccellenti rinunciano al finanziamento pubblico, preferendo l’autogestione. Perfino la pubblica Berkeley riceve solo il 14% dei fondi dallo Stato «In Italia siamo molto indietro. In parte è colpa dei mancati investimenti privati, ma le nostre università hanno responsabilità pesantissime», ribadisce. Addossando «molta colpa» ai professori, che «rifiutano le valutazioni o non vogliono i corsi in inglese, 200 anche al Politecnico».


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