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Cosa c’è così di speciale nella ricerca?

La prestigiosa rivista Science ha pubblicato un’interessante “Presidential address”, rivolto a Barack Obama, in cui si discute estesamente dell’utilità del finanziamento della ricerca di base

23/02/2014
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ROARS

La prestigiosa rivista Science ha pubblicato un’interessante “Presidential address, rivolto a Barack Obama, in cui si discute estesamente dell’utilità del finanziamento della ricerca di base. Poiché questa discussione è completamente assente in Italia, dove i vincoli di bilancio, i tagli alla spese pubblica e la limitazione dei diritti dei lavoratori sono visti come gli unici fattori di sviluppo, vediamo di ripercorrerne i punti salienti. Negli ultimi 130 anni il prodotto interno lordo (PIL) pro capite degli Stati Uniti (ovvero il reddito medio lordo per individuo) è cresciuto esponenzialmente: questo non significa che il reddito di un cittadino è cresciuto esponenzialmente perché bisogna considerare il fondamentale problema, anch’esso completamente ignorato nel dibattito attuale ma pericolosamente connesso agli squilibri generati dalla crisi economica, di come il reddito è distribuito.

Una crescita esponenziale può essere esemplificata dalla storiella del riso sulla scacchiera: si metta un chicco di riso sulla prima casella, due chicchi sulla seconda, quattro chicchi sulla terza, e così via. Si arriva velocemente a un milione di chicchi sulla 21ª casella per arrivare a quantità enormi sulla 64ª casella. Dato che il lavoro non può crescere esponenzialmente e neppure il capitale o le terre da coltivare, cosa ha prodotto una crescita del genere?  La crescita esponenziale deve provenire  da un reazione a catena positiva, in cui la produzione di qualcosa consente di produrre ancora di più: ovvero qualcosa di prodotto deve essere stato esso stesso un fattore di produzione. Questo qualcosa non può che essere il progresso tecnico.

Non è un caso che i paesi che investono la maggior percentuale del loro PIL in ricerca e sviluppo, oltre ad avere una maggior frazione di scienziati o ingegneri, sono quelli che sono appunto identificati come i leader tecnologici (l’Italia, ahinoi, è tra i paesi in via di sviluppo). Il problema dell’investimento nella ricerca di base è che i rendimenti sono ad alto rischio e si hanno generalmente su scale temporali che non sono interessanti per il singolo individuo: ma questo investimento rappresenta una condizione necessaria anche per convertire la crescita esponenziale, non sostenibile in un contesto di risorse finite, in una sviluppo più in armonia con il pianeta Terra.

Per questo è lo Stato che si fa carico di questo investimento e proprio negli Stati Uniti, il paese paladino del libero mercato, la ricerca di base è foraggiata dal governo federale per 40 miliardi di dollari all’anno. Dato che nel nostro paese l’investimento in ricerca è molto più basso sia in termini assoluti che percentuali rispetto al PIL, il fatto che gli scienziati italiani riescono ancora ad essere al livello di quelli americani è un aspetto importante,  mai abbastanza riconosciuto, che fa capire che il problema italiano non sia quello della formazione, della carenza di competenze pratiche da parte degli studenti, ma quello di una classe politica incapace di riconoscere e sfruttare le potenzialità della ricerca di base e cieca di fronte all’elaborazione di qualsiasi politica industriale e di una classe imprenditoriale senza ambizioni e prospettive che vede nell’università una scuola di formazione professionale a costo zero.


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