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Corriere-Non solo docenti, siamo anche educatori

Non solo docenti, siamo anche educatori" Vite di quattro insegnanti a confronto: "Dobbiamo sostituirci alle famiglie. La riforma? Alla scuola serve qualità" Le polemiche sulla riforma scolast...

04/02/2002
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Corriere della sera

Non solo docenti, siamo anche educatori"

Vite di quattro insegnanti a confronto: "Dobbiamo sostituirci alle famiglie. La riforma? Alla scuola serve qualità"

Le polemiche sulla riforma scolastica proseguono. L'ultima la solleva il mensile Tuttoscuola , secondo cui l'ingresso anticipato alle elementari potrebbe costare il triplo di quanto calcolato dal ministero: 210 milioni di euro invece di 66. Ma la riforma Moratti non avrà conseguenze solo sui percorsi di studio dei giovani italiani o sulle scelte delle famiglie. Coinvolgerà anche la formazione dei docenti. Spesso vittime dello scarso riconoscimento sociale se non di pregiudizi diffusi ("lavorano poco", "eterni insoddisfatti"...), maestri e professori sono i costruttori della società del futuro. Divisi fra una tradizione a volte mitizzata ("la scuola di una volta...") e un rinnovamento che tutti invocano. Chiamati a rispondere alle sollecitazioni di una gioventù sensibile alle novità tecnologiche ma sempre più emotivamente instabile. Deputati a correggere gli errori dei nostri figli e condannati, ironia della sorte, a correggere soprattutto se stessi, per adeguarsi alle esigenze di una civiltà che cambia di continuo. Chi sono? Cosa chiedono? Che cosa pensano dei nostri figli? Ecco quattro ritratti "esemplari" di maestri e "prof" al tempo della riforma Moratti.
PAVIA

"Genitori vittime del consumismo"

PAVIA - Marco Trevisani ricorda "i primi tempi fuori", in Lomellina e nell'Est Ticino. Ora però, a 53 anni, è contento di lavorare nella scuola elementare del Vallone, periferia di Pavia, accanto alle cascine e alle villette a schiera immerse nella campagna nebbiosa. Il maestro Trevisani, che i suoi bambini di prima chiamano Marco, insegna matematica, scienze e ginnastica ("educazione motoria"); legge Ellroy e Chomsky, cucina volentieri per gli amici, ama il cinema. La sua vera passione sono i numeri, ma da ragazzo, quando sognava la rivoluzione, avrebbe voluto fare il giornalista. Magistrale finita nel '68, poi pedagogia a Genova, la politica (che "ha connotato il mio umanesimo"). Un primo lavoro da cronista locale, subito interrotto dall'insegnamento.
"In trent'anni", dice grattandosi il cranio rasato alla Kojak, "non ho fatto carriera come hanno fatto tanti altri ex sessantottini. Il vantaggio di questo lavoro è che puoi farlo senza troppi compromessi".
Lavorare, per Marco, significa "divertirsi ancora ad ascoltare i bambini, vederli crescere". Momenti di stanchezza? "No, alle volte, negli anni scorsi, mi irritavano certi colleghi, ma io ogni tanto sono un po' intollerante...". Figlio di un macchinista ferroviere ("come diceva Guccini") e di una casalinga, divorziato ma senza figli, crede nella ricerca didattica, parla di "strategie di ingegneria scolastica" e di "impalcature contenutistiche". Il suo impegno, oggi, è questo. E ai due milioni e tre di maestro (poco più di 1.100 euro), aggiunge il guadagno che gli viene dal lavoro universitario, dalla scrittura di testi e schede, dagli interventi d'aggiornamento nelle scuole lombarde. "Anche la mia compagna insegna e possiamo permetterci una casina in affitto nel Tigullio, dove io coltivo l'orto per tirare il fiato".
Due cose da chiedere al governo? "Aggiornamento e maggiori mezzi economici. Noi, da parte nostra, dobbiamo garantire la qualità del servizio, altrimenti le famiglie spostano i loro figli e fanno bene". La legge del mercato anche nella scuola pubblica? "Bisogna evitare il rischio della ripetitività, di impoverirsi". Come cambia la scuola? "A cambiare sono i bambini: magari più veloci ma anche più fragili e passivi, meno sicuri, non abituati a riflettere, bruciano tutto e non assimilano; le famiglie delegano troppo a noi: educazione e vita pratica. La scuola ormai deve insegnare ad allacciarsi le scarpe e a stare a tavola. I genitori non hanno molti progetti educativi, si fanno sostituire dai media e dal consumismo". Famiglie divise e famiglie assenti? "No, anzi, vengono qui di continuo, si confidano, sono preoccupate: parlare con i docenti spesso è diventato un alibi. E' chiaro che per noi il rapporto affettivo con i bambini è importante, anche se alcuni colleghi mantengono le distanze. Però, non possiamo sostituire i genitori".
La chiave per una buona riuscita? "I miei bambini mi danno del tu, ma va mantenuto un livello di sopravvivenza. La chiave è passare dall'autorità all'autorevolezza".

CATANIA

"Oggi il nostro lavoro è molto più complesso"

CATANIA - "Per la donna è un buon lavoro, sicuro ed elastico". La prof Anna Maria Di Prima difende l'istituzione. Non solo l'insegnamento, ma anche il "suo" liceo scientifico, Galileo Galilei, "il migliore della città", in cui lavora da un decennio, nella periferia di Catania. Lunga carriera, dopo la laurea in matematica ottenuta nel '69. "A 23 anni avevo un allievo di 21". Da settembre è vice-preside. "Certo, mi manca la matematica". La matematica è sinfonia, concerto, armonia, dice. "E' una passione. Con un rimpianto: la musica. Suonavo il pianoforte e l'ho lasciato per stupidità giovanile".
Per fortuna c'è il Teatro Massimo, un abbonamento per tutta la famiglia: "Non saltiamo una sola serata, ci vengono volentieri anche le mie figlie". Agnese, 25 anni, Chiara, 18, Agata, 12. La maggiore non c'è più; undici anni fa, sedicenne, è stata investita da un camion mentre attraversava la strada. Un marito che lavora in Calabria, nelle proprietà di famiglia. La giornata della prof comincia prestissimo. Abita a Sant'Agata li Battiati. Alle 7 e mezzo esce di casa, poi è un turbinio di cose: controllare le giustificazioni e i ritardi, ricevere gli allievi, pensare alle sostituzioni, alle circolari, alla posta, al coordinamento degli insegnanti, alle molte attività speciali, dal teatro al coro. Soprattutto, ascoltare i genitori: "I problemi sono tanti: le separazioni, le malattie, il rendimento dei figli. L'altro giorno una ragazza mi chiede di uscire per l'onomastico del padre. Le dico: ma dov'è, tuo papà? E' al cimitero... Le ho detto: stai attenta e vai". Quanto pesa la responsabilità? "Prima un docente doveva pensare soltanto ai contenuti e alle nozioni, oggi è diverso, questi ragazzini sono insicuri, paurosi, arrendevoli. A volte sembrano alunni delle medie. Anche per questo a insegnare non ho più l'entusiasmo di un tempo". E i giovani colleghi? "In genere hanno grande passione e spirito di sacrificio. Si vede che lo fanno per scelta, non come certi avvocati che insegnano italiano o certi ingegneri che fanno matematica". La riforma? "Ci sono cose buone, come la commissione interna per gli esami".
"Io sono un cerbero", scherza la prof Di Prima, "non ammetto i ritardi, la maleducazione, la mancanza di rispetto, l'imprecisione del linguaggio. Non condivido il cameratismo diffuso tra docenti e allievi. Mi piacciono le regole e i genitori raramente ne impongono: quando ci sono problemi, pensano alle lezioni private per mettersi la coscienza a posto".
E la prof in veste di madre? "Latitante, purtroppo. Mio marito dice che in casa sono nevrastenica. E' vero, mi rendo conto che il lavoro mi occupa la mente, è un modo per lasciarmi dietro le angosce. Poi, il pomeriggio, a casa c'è la routine quotidiana, il pranzo, la pulizia, Paolo Limiti, qualche film, e ancora lavoro: le circolari da preparare, eccetera". E le figlie? "Non mi interessano i risultati, l'importante è che siano serene. Con gli alunni, invece, sono pignola, poco duttile. Poveri disgraziati... Ma poi alla fine se c'è da aiutarli...".

ROMA

"Questi ragazzi hanno bisogno di entusiasmo"

"Con il nostro stipendio per comperare un libro dobbiamo pensarci bene"

ROMA - Franco Arturo Allega, detto Frank. A Cleveland, nell'Ohio, fino a 8 anni, genitori abruzzesi emigrati negli Stati Uniti. Liceo classico dai Salesiani, vicino a Catania. Prima laurea in inglese alla Sapienza, seconda laurea in filosofia e teologia, all'Università Lateranense. Parole d'ordine? "Entusiasmo. E poi: i Salesiani mi hanno convinto che dignità e rettitudine non sono optional". Dopo gli studi, viaggi di specializzazione all'estero ed esperienze di insegnamento (inglese e religione), in molte scuole cattoliche. Il primo impiego statale è all'Istituto professionale di Velletri nel '99. "Due ore d'auto al giorno, avanti e indietro, anche con la neve, la nebbia e il ghiaccio, ma non ho chiesto io il trasferimento". Dal settembre scorso nell'Istituto tecnico agrario di Roma, succursale della Bufalotta.
Capelli corti, grigi, viso rotondo. Il destino di Frank è quello di non riuscire a mettere radici. "Cerco stabilità ma non posso mai seguire i miei allievi per più di due anni. Un giorno mi è arrivata una rettifica di titolarità e così non so ancora dove sarò da settembre. Piuttosto che perdere tempo in macchina, preferirei leggermi il Re Lear o l'ennesima biografia di Shakespeare. Anche se con lo stipendio che abbiamo, per comprare un libro bisogna pensarci".
Per il momento, Frank ha circa centoquaranta ragazzi, tra i 14 e i 19 anni. Più due: Fabio, di 11 anni e Maria Francesca, di 8, che sono i figli suoi e di una insegnante di educazione fisica, sua moglie. "Quando vado a prenderli a scuola, voglio che mi dicano tutto: cosa hanno fatto, quando, come. E loro rispondono volentieri. Bisogna esercitare l'ascolto. L'altro giorno un mio allievo mi ha detto: io è come se non avessi né padre né madre, nessuno sta ad ascoltarmi. A casa non hanno spazio e a scuola fanno di tutto per raccontarti la loro vita, persino in inglese".
Fragili. Così Frank definisce i suoi studenti: "Ho un diciottenne che se viene rimproverato, si chiude in se stesso; c'è gente che scoppia a piangere per niente...". Sono per lo più figli di operai, di impiegati, di piccoli imprenditori agricoli, i ragazzi della Bufalotta. "Hanno bisogno di entusiasmo e allegria, la rigidità non serve a niente. Quando arrivo a scuola la mattina, alcuni colleghi mi chiedono: ma com'è che sei sempre così frizzante? Sublimo. Non voglio certo far pesare le mie tristezze sugli alunni".
Frank ha lavorato per qualche anno con i drop out , ragazzi abbandonati dalla famiglia, barboni, emarginati. "Insegnare? Un chiodo fisso sin da ragazzo, guardavo i miei docenti e mi dicevo: voglio fare questo, trasmettere agli altri qualcosa di buono. Le Sacre Scritture mi hanno dato forza e convinzione". Quale convinzione? "Stare al passo dei giovani è dura, se li consideri dei selvaggi è finita: bisogna incoraggiarli anche se poi l'inglese che facciamo è un inglese sottoterra. Ma io insisto, insisto, insisto. Se sbagliano devono sentirsi dire: hai sbagliato, ma puoi fare meglio. Ci vuole una attenzione che rischia di prosciugarti".

MILANO

"C'è poco spazio per la didattica"

MILANO - Si chiama Norina Vitali, ha una figlia archeologa di 27 anni che abita a Berlino. Insegna italiano alla scuola media Rinascita del Giambellino. Il suo ex marito, manager nel settore alimentare, le ha sempre detto sorridendo: ma resta a casa, chi te lo fa fare a lavorare gratis? "Per lui stavo sulla pianta, ero un'idealista, diceva: puoi lavorare non pagata perché ci sono io... Ma non potrei fare altro". Norina Vitali non dimostra certo i suoi 53 anni avvolti in un ampio scialle colorato. Il suo attuale compagno insegna come lei, nella stessa scuola. Norina ci tiene a ricordare la tradizione dell'istituto, che nel dopoguerra è stato un convitto per giovani partigiani. Parla di "sperimentazioni", di "laboratori", di "attività di progetto", di un sistema con "tutor". Eppure siamo nella periferia della periferia metropolitana.
Dopo la laurea in filosofia alla Statale e il movimento, trent'anni di scuola: "Se voglio farlo bene, questo lavoro mi porta via minimo otto ore al giorno e spesso anche i sabati e le domeniche. La gente pensa che facciamo sempre la stessa lezione e basta". Invece? "Le correzioni, i genitori, il lavoro collettivo con i colleghi, la preparazione. Una volta forse potevi fare le tue ore, e scappare, ormai...". Ma gli insegnanti non hanno tutti una doppia attività? "Non c'è tempo. Al massimo fanno qualche lezione privata per arrotondare; io faccio formazione professionale". Con due milioni e nove (poco meno di 1.500 euro), non c'è da scialare: "Vivo nella casa dei miei in Porta Romana, però non posso permettermi di cambiare la mia Fiesta sgangherata, e neanche di viaggiare come una volta. Naturalmente, per fortuna, a mia figlia ci pensa suo padre. I sindacati dovrebbero chiedere per noi le 30 ore, anche le 35, timbrerei il cartellino pur di essere pagata per quello che lavoro".
Norina è stata per anni delegata sindacale, ma non ci crede più: "Ho lasciato la tessera. Troppi errori: abolito praticamente il diritto di sciopero. E poi le pensioni baby... Come si fa!". La riforma? "A tutto pensano tranne che alla qualità didattica della scuola".
Lavoro, casa, cinema una-due volte la settimana, i libri ("saggi di pedagogia, romanzi..."), la scuola di liscio, le serate con gli amici-colleghi: "Facciamo una vita un po' esclusiva. Tanti anni fa sono arrivata vicino all'esaurimento nervoso per i conflitti con i colleghi o con i presidi: chiusi, ignoranti. Lavorare insieme, con gli altri, per noi è fondamentale. Così, si diventa amici. Il mio ex marito si lamentava: frequentate sempre la stessa gente". Parla volentieri. Non si fermerebbe mai, Norina: "E' un mio problema, lo so, se fai discorsi troppo lunghi i ragazzi non ti seguono. Sono abituati ai messaggi brevi".
Come sono cambiati i ragazzi? "Spesso sono figli unici, quando sono a casa guardano la tv o giocano alla Playstation, che non ho ben capito cos'è. La scuola è l'unico posto in cui possono stare con gli altri, quindi si guardano sempre in giro, sono distratti. Bisogna capirli". E mamma Norina ha capito sua figlia? "Non me ne parli, ho avuto tanti di quei problemi. Fare i genitori è ancora più difficile".


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