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Corriere: «L'Italia è sempre in mano ai baroni Venga all'estero chi vuol fare ricerca»

Parla lo scienziato che con la moglie lavora a New York dove ha scoperto le «super-proteine» per curare i traumi del midollo spinale

29/12/2006
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Corriere della sera

Iavarone: assumono i precari e la meritocrazia?

«I finanziamenti alla ricerca contano, eccome. Ma se poi bisogna distribuirli ai soliti "baroni", è meglio dimezzarli che raddoppiarli».
Vista dalle finestre della Columbia University di New York, l'Italia è solo un'ombra sul cuore, un ricordo dal sapore amaro che Antonio Iavarone non riesce ancora a digerire. Eppure negli Stati Uniti i suoi studi sul neuroblastoma, uno dei più terribili tumori infantili, hanno ricevuto la consacrazione della comunità scientifica internazionale: se un giorno (forse nemmeno lontanissimo) quella malattia potrà essere curata, sarà anche grazie alle scoperte di questo ricercatore, nato 43 anni fa a Benevento, e di sua moglie Anna Lasorella. E lo stesso vale per le lesioni al midollo spinale provocate da traumi e incidenti: le «super-proteine» create nei laboratori della Columbia University
dall'équipe del ricercatore italiano permettono di coltivare una timida speranza a chi oggi vive imprigionato su una sedia a rotelle.
Eppure, soltanto sette anni fa, questa coppia di scienziati fu costretta a lasciare l'Italia perché non volle pagare al potere universitario la tradizionale gabella (tu sgobbi in laboratorio, io firmo la pubblicazione) sugli studi compiuti. Il 20 febbraio 2001, la vicenda rimbalzò pure sulla prima pagina del Corriere della Sera, che ospitò una lettera con la quale i due oncologi spiegavano la decisione di rimanere a lavorare in America: «Dalla libertà di scelta e dalla valorizzazione del merito individuale germoglia l'eccellenza nella ricerca scientifica. Tutto questo negli Stati Uniti è regola... Invece in Italia non è così».
Parole superate dal tempo? «Purtroppo no, quella denuncia è ancora attuale. Anzi, forse la situazione è addirittura peggiorata — replica secco Antonio Iavarone —. Negli altri Paesi, la ricerca biomedica ha raggiunto livelli altissimi mentre da noi gli standard internazionali raramente vengono applicati: basterebbe pensare al divario che, in pochi anni, abbiamo accumulato con la Spagna. Il motivo? Semplice: altrove vince il merito, in Italia conta esclusivamente il potere personale dei "baroni" universitari».
Ma è così da sempre. «Certo, il guaio è che adesso il resto del mondo corre a velocità doppia rispetto alla nostra. In Cina, stanno costruendo una sistema che attira il meglio della ricerca internazionale. E lo stesso accade in gran parte dell'Europa. Senza parlare poi degli Stati Uniti, dove queste cose sono addirittura scontate. Noi, al contrario, continuiamo a imprecare contro la "fuga dei cervelli", come se la globalizzazione non esistesse e la scienza tenesse ancora conto dei confini nazionali. I "cervelli" devono
fuggire, vogliamo dirlo una buona volta? È giusto emigrare nei migliori laboratori per arricchire il proprio bagaglio di esperienze. Allo stesso modo, però, l'Italia dovrebbe attrarre scienziati di ogni nazionalità per offrire linfa vitale alla ricerca interna. Ma finché la meritocrazia sarà un miraggio, continueremo a foraggiare le rendite di potere individuale e resteremo un Paese marginale, capace al massimo di qualche sortita estemporanea».
Antonio Iavarone parla anche a nome di molti altri studiosi italiani che lavorano negli Stati Uniti. Nella passione che colora la sua voce si avverte l'eco di tante serate passate a discutere dei possibili rimedi, consumate fra rabbia e rimpianti per una situazione che lo scorrere degli anni ha peggiorato. «Sono cambiati i governi, ma non è cambiato il modo con cui viene affrontato il problema. Si continua a invocare l'aumento dei finanziamenti, ma nessuno poi spiega come impiegare i soldi. Allora meglio dirlo subito: se il sistema rimane lo stesso, è del tutto inutile perfino raddoppiare i fondi. Si blatera tanto di competitività e, come unico provvedimento, si propone l'assunzione dei precari, comprensibile per i problemi politici e sociali che risolve, ma del tutto priva di senso dal punto di vista meritocratico. Quanti di loro hanno fatto strada all'ombra del "protettore" di turno? Non lo sapremo mai... ».
Esisterà, tuttavia, una soluzione capace di restituire vigore ed efficienza alla nostra ricerca. «L'unica strada, lo ripeto, è creare dei centri internazionali che, sulla base di progetti scientifici dettagliati, competano per ottenere i finanziamenti disponibili, attirando così i migliori "cervelli" su piazza, italiani e non. In caso contrario, ascolteremo ancora a lungo l'invito che i "baroni" dell'università ripetono a chiunque rientri a casa dopo un'esperienza nei laboratori statunitensi: "Sei tornato? Bene, adesso dimentica tutto quello che hai imparato in America perché qui le cose funzionano diversamente"».


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