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Corriere-Italiani si diventa A cominciare dai banchi di scuola

Italiani si diventa A cominciare dai banchi di scuola Sergio Romano Parliamo di identità nazionale italiana come se l'espressione bastasse a evocare un concetto chiaro. Ma non appena cerchiam...

04/06/2002
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Corriere della sera

Italiani si diventa A cominciare dai banchi di scuola

Sergio Romano

Parliamo di identità nazionale italiana come se l'espressione bastasse a evocare un concetto chiaro. Ma non appena cerchiamo di afferrarlo, il concetto sfugge alle definizioni. Abbiamo una forte tradizione cristiana (provate a eliminare la croce dagli stemmi delle nostre città e vi accorgerete che una buona metà dei municipi avrà perduto il suo "logo"). Esiste tuttavia anche un'Italia atea, anarchica, libertaria, anticlericale. La nostra storia letteraria e artistica è fra le più antiche d'Europa, ma siamo ancora, nonostante il livellamento televisivo, il più "dialettale" e frammentato fra i Paesi del continente. Abbiamo grandi tradizioni pacifiste e umanitarie, ma siamo capaci di una straordinaria violenza politica e criminale. Siamo inclini alla retorica emotiva e ai buoni sentimenti, ma possiamo essere spesso brutalmente egoisti. Siamo familisti e corporativi, ma sappiamo esprimere forti generosità e solidarietà collettive. E siamo infine separati da una diversa lettura della storia nazionale. Ma abbiamo attraversato le stesse prove e condividiamo gli stessi ricordi. Esiste un altro problema. Siamo davvero certi che le identità nazionali restino, con il tempo, eguali a se stesse? Gli italiani che emigrarono in America tra '800 e '900 trovarono un Paese che si definiva "bianco, protestante, anglosassone". Per molto tempo ne rimasero ai margini, trattati con diffidenza. Erano "papisti", latini, mediterranei e quindi, per i padroni di casa, poco affidabili. Lo stesso accadde ai polacchi, agli slavi e agli ebrei. Oggi l'America è tutto fuor che prevalentemente "bianca, protestante, anglosassone". È anche afro-americana, latina, giudeo-cristiana, asiatica. Ma gli immigrati sono entrati in un condominio di cui i costruttori avevano già fissato i regolamenti civili, istituzionali, economici. Un fenomeno analogo si è verificato in altri Paesi. In Gran Bretagna alla fine degli anni Sessanta un conservatore, Enoch Powell, denunciò il pericolo dell'immigrazione e previde un'"onda di sangue". Oggi,
a dispetto di qualche scontro etnico, vi è ormai, accanto alla Old England , una Inghilterra indiana, musulmana, africana, caraibica. E il principe Carlo sostiene che il sovrano inglese dovrebbe modificare uno dei suoi titoli: da "difensore della fede" a "difensore delle fedi". Ma è il sentimento della continuità che ancora scandisce i tempi politici e culturali del Regno Unito.
Ecco perché il problema dell'identità nazionale italiana va trattato con delicatezza. Abbiamo una coesione politica recente, una storia nazionale controversa, forti divisioni culturali, migliaia di campanili e spiccate identità locali. Per molto tempo abbiamo compensato queste forze centrifughe con l'"autosufficienza" etnica. Oggi viviamo nel mondo e siamo un Paese d'immigrazione. Occorre evitare che le nostre debolezze storiche si sommino a una cattiva interpretazione del multiculturalismo e creino una Italia senza volto, una semplice "espressione geografica". Come? Accanto alle cerimonie ufficiali e alle memorie nazionali, ciò che maggiormente inciderà sul modo in cui gli italiani, vecchi e nuovi, giudicheranno se stessi, sarà la qualità della scuola e delle istituzioni. Prima che sugli altari della patria e negli alzabandiera, la patria nasce nelle aule scolastiche e si consolida nei rapporti tra il cittadino e lo Stato.