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Corriere: Il Sud non è una battaglia persa

Risposta a Galli della Loggia

19/09/2008
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Corriere della sera

di CARMINE DONZELLI

Caro direttore, contro il silenzio del Sud, Ernesto Galli della Loggia ha lanciato il suo grido, dalle pagine del Corriere del 14 settembre scorso. Di fronte ai dati delle indagini Ocse- Pisa, che rivelano un deficit di rendimento gravissimo della scuola nel Mezzogiorno, nessuno tra gli intellettuali del Sud — questa è l'accusa — ha sentito il bisogno di prendere la parola. Tutti a nascondersi dietro le facili critiche demagogiche al ministro Gelmini, o peggio dietro un silenzio assordante, che attesta la fine storica niente di meno che del Meridionalismo: «La cultura meridionale non si sente più tenuta a rappresentare quella coscienza esploratrice, quella funzione critica che dall'Unità in avanti avevano costituito un tratto decisivo della sua identità».

L'accusa è pesante. Il tono è perentorio. Mi sento chiamato in causa. Tra la metà degli anni Ottanta e la metà degli anni Novanta ho contribuito, insieme a un gruppo di intellettuali e di studiosi, a destrutturate l'idea di Mezzogiorno, così come ce la consegnava la tradizione del meridionalismo. Dalle pagine di Meridiana conducemmo allora una battaglia contro l'idea del Sud come un tutto unico, votato all'arretratezza. Ci rifiutammo di guardare al Mezzogiorno come a un altro mondo, e cercammo di studiarlo, con gli strumenti d'indagine più rigorosi, alla stregua di un qualunque pezzo di mondo. Tutto questo, ovviamente, non per negare l'esistenza dei problemi di quelle regioni, talvolta drammatici. Al contrario, per favorirne la soluzione. Sostenemmo che proprio il meridionalismo era parte integrante del problema; che la rappresentazione aggregata dell'arretratezza meridionale finiva con l'essere perfettamente funzionale alla perpetuazione della sua alterità. Soprattutto, che in quel modo il Mezzogiorno — unica, indistinta macchia nera — veniva inevitabilmente consegnato nelle mani di un ceto politico (di destra, di centro o di sinistra) che si dimostrava abilissimo nell'adoperare quella alterità come una risorsa mediatoria, costruendo su di essa le sue fortune.

La nostra battaglia era contro un approccio ideologico alla «questione meridionale », e insieme contro l'assistenzialismo, contro lo spreco delle risorse erogate solo per perpetuare l'esistenza dei problemi. Era una battaglia su due fronti. Da un lato l'autocommiserazione dei meridionali, e dall'altro l'opinione «settentrionale », sempre più insofferente nei confronti di ogni forma di solidarietà territoriale.

A un certo punto ci sembrò che la battaglia avesse dato i suoi frutti. Un approccio meno ideologico al Mezzogiorno cominciò a farsi strada nell'opinione e nel senso comune. Complice qualche dissenso interno, il gruppo di Meridiana si disperse. Fu un errore, abbandonare quel presidio? A leggere le cose che scrive oggi Galli della Loggia, mi verrebbe da dire di sì. Animato da una passione forte, che gli va riconosciuta, il suo ragionamento rischia di riportare la discussione indietro di trent'anni.

Prendiamo ad esempio proprio il tema della scuola. Il deficit di qualità nell'istruzione che in moltissime realtà del Mezzogiorno si realizza è una bella vergogna per l'intero Paese. E siccome nessuno, mi pare, sostiene che sia alle viste una scissione territoriale, questo si traduce in un danno gravissimo anche per le regioni più ricche. Ma perché la scuola «meridionale» funziona peggio, nel suo complesso, di quella «italiana»? Perché i suoi studenti sono meno dotati? Perché i suoi professori sono più ignoranti?

È evidente che, se si cercano spiegazioni un po' più serie, subentrano altre risposte possibili. Perché le dotazioni scolastiche sono meno efficienti. Perché le disponibilità di beni per la cultura (biblioteche, librerie, ecc.) sono più scarse. Perché le famiglie non danno il valore dovuto all'istruzione dei loro figli, preferendo fare riferimento, per la loro «sistemazione», a risorse di tipo clientelare. Perché l'istruzione in sé ha un valore basso, nella scala delle cose che contano. Tanto, trovare lavoro è difficilissimo lo stesso, anche se ci si è diplomati a pieni voti. In questo quadro, tra l'altro, si inseriscono le esagerazioni in termini di valutazione che Galli della Loggia giustamente denuncia: alzare i voti finisce — a torto — col sembrare a molti professori meridionali un modo plausibile per abbassare le barriere d'accesso dei loro allievi all'università o al lavoro.

Tutte queste spiegazioni, nel loro insieme, potrebbero portare a sostenere che la battaglia per la riqualificazione della scuola meridionale è una battaglia persa in partenza. Solo quando fossero risolti tutti gli altri problemi strutturali di quelle regioni si potrebbe sperare in un miglioramento della scuola del Sud… Quindi, lasciamo perdere, risparmiamo un po' di soldi, e aspettiamo tempi migliori.

Fuori dalle nebbie di tanti discorsi, sembra questo l'approccio vero del ministro Gelmini: qualche grembiule in più e qualche miliardo in meno. Mi chiedo: Galli della Loggia condivide questo approccio? Io penso che invece l'investimento nella scuola pubblica, ovviamente qualificato e controllato, sottoposto a rigorosi criteri di verifica e valutazione dei risultati, selezionato e mirato quanto più possibile, debba crescere e non diminuire. E non solo per rispettare i parametri di Lisbona. Ma perché altrimenti è lo Stato che rinuncia alla sua vitale funzione egualizzatrice delle opportunità. Cosa dovremmo fare allora, per continuare a «rappresentare la coscienza dei meridionali»? Dovremmo battere le mani al ministro Gelmini? Oppure dovremmo sciacquarci la bocca con un bel po' di discorsi sulle tare ataviche del Mezzogiorno?

La verità è che il nodo essenziale sta ancora una volta in quel deficit di qualità della politica e del ceto politico, nazionale e meridionale, che è alla radice dei problemi di questo Paese. Farò un esempio che mi sembra emblematico. Tra i vecchi sodali di Meridiana vi è un economista che insegna all'Università di Arcavacata. Esperto di economia regionale, da un decennio a questa parte ha deciso di «sporcarsi le mani », di non stare più a guardare. Ha contribuito dapprima, nel ruolo di tecnico, a ideare quel Piano regionale della Calabria che ebbe nel 2000 una valutazione di eccellenza da parte dell'Unione europea. Successivamente, gli esponenti del centrosinistra — la sua parte politica — hanno messo più volte il veto al suo coinvolgimento in incarichi amministrativi e di governo. Solo l'incipiente disfacimento del sistema politico calabrese ha fatto sì che il veto si allentasse, e che gli fosse offerto l'incarico di vicepresidente della giunta regionale, con una delega alle politiche per l'istruzione. Naturalmente, a questo signore si è posto un dilemma difficile: stare lontano dal disastro della politica calabrese, continuando a sviluppare dall'esterno la sua (equanime) critica civile, o provare ad assumersi la responsabilità del fare?

Quel signore ha scelto la seconda strada. Il suo progetto si è trasformato in un serrato piano d'azione, che ha sortito, nei mesi scorsi, i seguenti effetti: 7.400 borse di studio assegnate ai ragazzi calabresi per l'apprendimento delle lingue all'estero; 28.000 buoni ai professori e agli studenti meritevoli per acquisto di libri; corsi di potenziamento delle competenze scientifiche, frequentati fin qui da non meno di 7.000 studenti universitari; 3.900 buoni per la partecipazione a campi scuola estivi. L'investimento complessivo per queste politiche ammonta a 101 milioni di euro. Una domanda a Galli della Loggia. Quel signore ha tradito la «coscienza del meridionalismo»?

La scuola manca di efficienza e le famiglie di interesse, ma la radice dei problemi di questo Paese sta ancora una volta in quel deficit di qualità della politica e del ceto politico, nazionale e meridionale.


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