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Coronavirus, Silvestri: "I bambini non sono untori, non serve tenere le scuole chiuse"

Il virologo della Emory University di Atlanta, invita il Comitato tecnico scientifico a prendere in considerazione i “dati rassicuranti” sul rischio basso di contagi. Andreoni, direttore scientifico della Società italiana di malattie infettive e tropicali (Simit): "Serve cautela

30/05/2020
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la Repubblica

Marta Musso

SI TORNA a parlare di bambini e scuola ai tempi del coronavirus. Nella sua rubrica Facebook “Pillole di ottimismo 2.0”, il virologo Guido Silvestri, italiano all’estero della Emory University di Atlanta, invita il Comitato tecnico scientifico a prendere in considerazione i “dati rassicuranti” disponibili in letteratura riguardo ai ragazzini e al loro basso rischio di contagio e trasmissione del Covid-19, in vista delle decisioni da prendere per l'avvio del prossimo anno scolastico. “Spero davvero che lo leggano i colleghi del Cts italiano. Non solo, ma che lo leggano da veri scienziati, cioè con sincero desiderio di imparare dai dati”, scrive l'esperto, introducendo un post di Sara Gandini, esperta di epidemiologia e statistica di valore mondiale e direttore di ricerca a Semm (School of Molecular Medicine) e Ieo (Istituto europeo di oncologia), in cui si discutono i dati disponibili sulle infezioni pediatriche da Covid 19 e l’inutilità di misure estreme come la chiusura delle scuole.
 
I dati rassicuranti

Nell'articolo l'esperto passa in rassegna gli studi sul tema, concludendo che i bambini sembrano avere una scarsa probabilità non solo di ammalarsi per il coronavirus, ma anche di contagiare coetanei e adulti. Inoltre, le evidenze suggerirebbero che la chiusura delle scuole produce uno scarso impatto sull'andamento dei contagi e in particolare delle morti. Una revisione sistematica pubblicata sulla prestigiosissima rivista The Lancet. Child & Adolescent Health, ad esempio, ha vagliato 16 studi sull’efficacia delle chiusure scolastiche e altre pratiche di distanziamento sociale all’interno delle scuole cinesi durante l’epidemia, arrivando alla conclusione che si tratta di interventi che non hanno contribuito in alcun modo al controllo della diffusione del virus.
 
“Tutti questi studi sono osservazionali, a volte non ancora sottoposti a Peer reviewed, possono quindi avere delle fonti di distorsione o essere di bassa qualità”, spiega Gandini. “Tuttavia, il fatto che siano coerenti e vadano tutti nella stessa direzione è molto rassicurante”. Numerosi scienziati, prosegue l'esperta, sono concordi nel ritenere che i politici devono tenere in conto di questa vasta rassicurante evidenza scientifica quando prendono decisioni che riguardano le chiusure scolastiche, soprattutto quando vengono attuate per lunghi periodi”. Secondo l’esperta (e Silvestri che ne ospita l’intervento sulla sua pagina Facebook) è insomma essenziale trovare al più presto strategie realistiche per far ripartire le scuole, perché i bambini non sintomatici non rappresentano una fonte sostanziale di diffusione del virus. E al contempo, la prolungata assenza dai banchi scolastici rischia di trasformarsi in una crisi educativa e sociale per i più piccoli, che potrebbe avere conseguenze difficili da prevedere su un’intera generazione di giovani italiani.

 
Il rischio per i più fragili

“Questa è un'affermazione fatta da persone di altissimo livello e come tale deve essere sicuramente tenuta da conto”, spiega Massimo Andreoni, direttore scientifico della Società italiana di malattie infettive e tropicali (Simit), più cauto sul possibile ritorno alla normalità per le scuole italiane. “Quella che è l'esperienza clinica che noi abbiamo maturato in questi mesi ci dimostra che in realtà alcuni bambini all'interno della famiglia hanno trasmesso la malattia e in alcuni casi questa malattia ha avuto anche gravi complicanze”. Sebbene oggi si sappiano in parte le ragioni per cui i bambini si ammalano di meno e potrebbero avere un impatto minore ai fini della trasmissione del virus, grazie alla capacità dell'immunità innata e all'espressione ridotta delle cellule del recettore Ace2 (la chiave di ingresso del virus), bisogna comunque avere estrema prudenza.
 
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“Procederei con cautela nel ritenere che un bambino possa essere considerato a basso rischio di trasmissione, anche perché dipende dalla situazione familiare in cui il bambino vive”, commenta Andreoni. “Stiamo parlando di un rischio ridotto che deve essere sempre soppesato da tante altre possibili considerazioni, come la presenza di persone anziane o con comorbidità”. Per questo motivo, aggiunge l'esperto, sebbene i dati riportati siano sicuramente interessanti e rilevanti, sarebbe meglio aspettare per procedere alla riapertura delle scuole. “Pur accettando che il bambino è a minor rischio di trasmissione del virus, che comunque non è zero, aspetterei una fase meno pericolosa, in cui l'epidemia sia molto ben controllata, e soprattutto porrei una serie di domande in relazione alla situazione familiare in cui vive il bambino”. Alcune cose, conclude l'esperto, devono passare dalla teoria alla realtà: “Quando parliamo di rischio di malattia e di rischio di morte per malattia, allora anche un rischio basso può in realtà portare a effetti negativi”.