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Coronavirus e scuole chiuse, in Europa rischiano di restare a casa 70 milioni di studenti

Dopo le decisioni di Francia, Grecia, Irlanda, Romania, Polonia di chiudere le scuole su tutto il territorio nazionale, i dubbi su quando sarà possibile davvero riaprire. Il «costo» di questa misura di emergenza

14/03/2020
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Corriere della sera

Gianna Fregonara

Prima Lombardia, Veneto, Piemonte, Liguria ed Emilia Romagna con i loro 3,3 milioni di studenti. Poi tutta l’Italia che conta quasi 8 milioni di bambini e ragazzi nelle scuole dai 6 anni, oltre un milione di universitari. Da lunedì anche la Francia con i suoi undici milioni di studenti, poi Danimarca, Norvegia, Belgio Lussemburgo che in questi giorni chiuderanno le scuole: tutti a casa, lezioni sospese per chi può ci saranno forme varie di didattica a distanza. E ancora, sono già a «riposo» gli studenti di Irlanda (1 milione di studenti), Grecia (1,3 milioni) Romania (3 milioni), Polonia (5 milioni circa), Danimarca, Austria, Slovenia, Repubblica Ceca, Croazia, Bosnia e Svizzera. In Spagna con la dichiarazione dello stato di emergenza hanno chiuso le scuole progressivamente in tutte le regioni (7 milioni di studenti). In Germania, dove il sistema è federale, hanno chiuso per ora in Baviera, e in Renania Settentrionale (la regione di (Dusseldorf), da lunedì chiuderanno anche a Berlino e in Bassa Sassonia. Ma l’elenco è destinato ad allungarsi di ora in ora.

La prima volta

E’ la fotografia del più grande esperimento sociale del dopoguerra nel nostro continente, da quando cioè la scuola è per tutti, diritto universale e costituzionale oltre che dovere di routine per oltre settanta milioni di bambini e ragazzi dai 6 ai 19 anni. E infatti la scelta di chiudere le scuole e le Università si dimostra una delle decisioni più difficili per tutti i governi europei. Non solo in Italia sono passate oltre due settimane dalla chiusura delle scuole del Nord prima di estendere il divieto al resto del Paese. Anche in Francia, finora l’altro grande Paese ad aver adottato la stessa misura complessiva, fino a giovedì mattina il ministro dell’Istruzione era convinto di non dover lo fare. Oltre alla questione politica e di principio, la chiusura del sistema scolastico porta con sé molte incognite. La prima è quella della riapertura: in Francia la chiusura è stata decisa per quindici giorni fino all’inizio delle vacanze di Pasqua (dal 4 aprile), Angela Merkel nei giorni scorsi ha ventilato l’idea per la Germania di anticipare la pausa di primavera a prima delle vacanze pasquali come soluzione per poter lasciare a casa gli studenti. Per ora anche gli altri Paesi europei si sono attestati sull’idea di riaprire ad aprile o comunque il prima possibile. Ma è difficile dire quando davvero le scuole potranno riaccogliere i loro studenti. E’ questa una delle ragioni che avrebbero spinto il premier inglese Boris Johnson a rimandare ancora la decisione sulla chiusura delle scuole: una parte non indifferente della comunità scientifica è convinta che servirebbe uno stop dai due mesi in su per rendere questa misura utile e il costo sociale di lasciare a casa, con i genitori che lavorano in smart working, oltre tredici milioni di bambini e ragazzi potrebbe essere, così ha spiegato Johnson nel suo discorso, insopportabile. E’ tuttavia indicativo il premier che si sia mantenuto aperta la possibilità di «rivedere» le decisioni nel futuro prossimo.

La durata della chiusura

Il problema della durata della chiusura, sta spingendo diversi Paesi, come avviene in Italia, a sperimentare forme più o meno evolute di compiti a distanza o didattica digitale. Ma, come ha spiegato nei giorni scorsi la dirigente del Miur che sta seguendo per l’Italia l’esperimento digitale, si tratta più di una «vicinanza» della scuola agli studenti che di una vera e propria attività. E’ un metodo per non lasciare i ragazzi soli e spaesati, non sostitutivo delle lezioni e della comunità scolastica. Loro, gli studenti sono preoccupati: a Milano, da un primo sondaggio dell’Osservatorio Adolescenza tra più di duemilacinquecento studenti, risulta che il 40 per cento dei ragazzi che sono a casa da scuola ha paura per la propria preparazione. «Sarà interessante capire , una volta finita l’emergenza, l’impatto che questa chiusura avrà avuto sui giovani europei - spiega Francesca Borgonovi della Ucl di Londra - Sui risultati certamente, ma ci aspettiamo anche un aumento del divario tra studenti di famiglie in condizioni economiche svantaggiate e gli altri: non solo per l’accesso al digitale ma anche per l’impegno che viene richiesto alle famiglie per seguire i figli in queste settimane. Chi svolgerà il ruolo delle scuole nel consentire agli studenti che hanno difficoltà a imparare e a concentrarsi? I più svantaggiati dalla chiusura delle scuole pensiamo che saranno gli adolescenti, e soprattutto i maschi».


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