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Coordinatore? Possibile dire no

Un tribunale ha smentito la prassi: nessuna norma prevede l'obbligatorietà dell'incarico

29/11/2016
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ItaliaOggi

Marco Nobilio

Fare il coordinatore di classe non è obbligatorio. Lo ha stabilito il giudice del lavoro di Cosenza con la sentenza 1830/2016. Con la quale ha anche annullato la sanzione disciplinare dell'avvertimento scritto, ingiustamente inflitta ad una docente che aveva legittimamente rifiutato l'incarico. «La mancata previsione legale del ruolo di coordinatore che pure può essere individuato da un atto interno», si legge nella sentenza, «esclude che le relative funzioni siano da ritenere doverose, con la conseguenza che, in difetto di una fonte normativa (legge, regolamenti, contratti collettivi, le circolari non sono fonti del diritto) l'incarico eventualmente attribuito può essere rifiutato».

La pronuncia costituisce un autorevole presupposto interpretativo per fare luce sull'incarico di coordinatore di classe. Che consiste in una delega che viene attribuita dal dirigente scolastico a un docente del consiglio di classe, per svolgere mansioni di coordinamento della didattica, per provvedere alla sintesi dei giudizi complessivi che vengono approvati in sede di consiglio e, spesso, per rappresentare l'intero consiglio davanti ai genitori. In pratica si tratta di mansioni dirigenziali che spetterebbero al dirigente scolastico. Che però vengono svolte, per prassi, da un docente da lui individuato. La prassi, però, non si fonda su una norma di legge specifica che imponga al docente interessato di accettare tale incarico. Oltre tutto, anche gli incarichi espressamente previsti dalle disposizioni di legge non comportano alcun obbligo di accettazione.

Trattandosi di incarichi aggiuntivi, infatti, le relative prestazioni comportano un aggravio dell'onerosità della prestazione ordinaria per lo svolgimento della quale i docenti percepiscono la retribuzione. Dunque, per essere considerati validi, tali incarichi devono fare seguito ad uno scambio di proposta e accettazione tra il dirigente e il docente interessato e, soprattutto, previa indicazione della retribuzione spettante. Il tutto pattuito in un accordo scritto e sottoscritto dalle parti. Nella prassi, però, questi incarichi aggiuntivi vengono attribuiti d'ufficio e, il più delle volte, senza prevedere alcun compenso, nella convinzione che tutto ciò sia dovuto. Sintomatico di questa diffusa convinzione è il fatto che un docente, per essersi rifiutato di svolgere l'incarico, sia stato fatto oggetto, addirittura, di una sanzione disciplinare. Sebbene molto blanda (l'avvertimento scritto). Pertanto, il docente interessato, per far valere il suo diritto a non essere sanzionato per avere rifiutato ciò che non è obbligatorio ha dovuto investire della questione un giudice togato. Che gli ha dato ragione.

Il principio della connotazione non autoritativa degli atti di gestione del rapporto di lavoro nella pubblica amministrazione è ormai assodato. Ed è spiegato chiaramente anche in una sentenza del Tribunale di Catanzaro (sentenza 29 aprile 2003) che si rifà alla giurisprudenza delle Sezioni unite: «Ed infatti», spiega il giudice, «nello svolgimento del rapporto, assoggettato alla disciplina del codice civile e dalle leggi speciali per i rapporti di lavoro nell'impresa privata, ai sensi dell'art. 2 c. 2, d. lgs. 30-3-2001 n.165, la pa agisce con i poteri del privato datore di lavoro e i suoi atti di gestione del personale, svuotati di ogni contenuto autoritativo, sono atti di diritto privato».


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