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Contratti e turn over fermi gli statali perdono 8 miliardi 5000 euro in meno a testa

I dati dell’Istat e della Cgil fotografano gli anni dal 2010 al 2013: la spesa dello Stato per il personale giù del 4,5% Ridotte al minimo le speranze per la riapertura della contrattazione, l’8 novembre i sindacati in piazza a Roma

06/10/2014
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la Repubblica
LUISA GRION
ROMA .
Otto miliardi di spesa in meno in soli tre anni: la crisi ha picchiato duro sul settore pubblico e fra blocco del contratto e blocco del turn over, dal 2010 ad oggi lo Stato ha “risparmiato” un bel po’ di soldi in stipendi ai travet. Negli ultimi anni la voce si è andata via via sgonfiando, passando dai 172,5 miliardi del 2010 ai 164,7 del 2013: così certificano le ultime tabelle sulla contabilità nazionale prodotte dall’Istat secondo le nuove regole europee.
Il taglio è pesante, il 4,5 per cento in meno in tre anni: in pratica la voce di spesa è tornata ai livelli del 2007. Una «ibernazione » dei redditi che, tradotta in potere d’acquisto delle singole famiglie, corrisponde ai 5 mila euro medi che ogni statale, secondo i calcoli della Cgil, avrebbe perso dal 2010 ad oggi. Anni di blocco dei contratti — fermi per quanto riguarda la parte economica da cinque anni a questa parte — e di blocco del turn over. La tanto contestata misura che ha fatto lievitare il numero di precari nello Stato (300 mila) e che innalzato fino a 57 anni l’età media della categoria.
Ma la corsa al ribasso non è finita: se la riforma della pubblica amministrazione modello-Madia prevede un ammorbidimento del blocco del turn over, altrettanto non si può dire per la riapertura della parte economica dei contratti pubblici. I soldi, ha detto il ministro della Funzione Pubblica non ci sono, e con buona probabilità il rinnovo non scatterà nemmeno nel 2015, salva la possibilità di far invece ripartire gli scatti d’anzianità e le progressioni in carriera. Legge di Stabilità permettendo. Né per gli statali è previsto l’eventuale anticipo del Tfr in busta paga (misura sulla quale il governo sta discutendo), che non va confusa con un aumento o recupero di stipendio — visto che si tratta di soldi che sono già dei lavoratori — e che comunque riguarderebbe solo i dipendenti del settore privato (per la Uil di Antonio Foccillo «anche questa è una discriminazione»).
Secondo le tavole Istat, che il taglio alle buste paga ha colpito più gli enti locali (meno 6,7 per cento di reddito) che quelle centrali (meno 2,8 sempre nei tre anni presi in considerazione). Sia per via di un blocco del turn over più pesante, sia in virtù degli ulteriori tagli praticati dai comuni in dissesto sui fondi per la contrattazione.
Scivolate di reddito che, secondo il governo, sarebbero state mitigate dal bonus di 80 euro distribuito da maggio: un’idea di «scambio» che i sindacati non prendono in considerazione. Tanto che Cgil, Cisl e Uil — questa volta assieme — protesteranno l’8 novembre a Roma contro il blocco delle buste paga e contro la riforma della pubblica amministrazione, sulla quale per altro le tre sigle non sono mai state convocate. Né è partito il confronto sulla mobilità, previsto da un articolo dello stesso decreto che l’ha introdotta.
«Se il blocco dei contratti dovesse essere riconfermato anche al 2015 per il sesto anno consecutivo si aprirebbe un problema costituzionale — avverte Michele Gentile, responsabile del settore pubblico per la Cgil — tanto più che le ripercussioni di tale blocco si faranno sentire anche sull’entità delle future pensioni. I soldi per riaprire i contratti ci sono: nel Def il Tesoro ha messo in conto un miliardo. Cifra non sufficiente, perché calcolata solo tenendo conto delle esigenze delle amministrazioni centrali, ma anche di quel miliardo non si sa cosa il governo voglia fare». Secondo Giovanni Faverin, segretario generale della Cisl Funzione Pubblica, i dati dell’Istat «confermano il fallimento del governo come più grande datore di lavoro del Paese». «La riduzione del costo del personale — ha detto — non ha nemmeno liberato risorse per gli investimenti e la spesa pubblica è comunque in aumento ». Di fatto, sempre secondo dati Istat, fra il 2010 e il 2013, la spesa pubblica nel suo totale è passata da 811,5 a 827,1 miliardi. Gli investimenti pubblici periodo sono diminuiti, passando dai 66,6 ai 57,6 miliardi. La crisi e la perdita di posti di lavoro hanno assorbito le risorse recuperate dai sacrifici del settore pubblico: nei tre anni in questione la spesa per pensioni (comunque in calo dopo la riforma Fornero) e per ammortizzatori sociali è passata dai 298,6 miliardi del 2011 ai 319,6 del 2013

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