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Conoscere la musica per essere più liberi

di Giulio Giorello

04/07/2014
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Corriere della sera

La musica è «arte da abolire come fonte di liberazione e libertà» e per questo «pericolosa per lo Stato», scriveva nel Seicento l’inglese Thomas Hobbes, teorico dell’assolutismo. Ma se avesse avuto ragione l’ebreo di Amsterdam Baruch Spinoza, nel sostenere che l’unica giustificazione dello Stato è la difesa della libertà dei cittadini, a quell’arte spetterebbe un ruolo centrale nella formazione delle giovani generazioni.
 Le pagine riguardanti l’educazione musicale nella scuola primaria e secondaria sono tra le più appassionate del volume che Luigi Berlinguer ha dedicato al rinnovamento della didattica: Ri-creazione , scritto con Carla Guetti (Liguori, pagine XIV-229, e 19,90). Come osserva Giuseppe De Rita nella Prefazione: se «la vita è altrove» rispetto alla scuola, questa «deve avere il coraggio di guardare a qualcosa che non rientri nella sua ordinaria organizzazione».
Alla musica Berlinguer affianca la «cultura della tecnologia», ancora poco presente nelle scuole del nostro Paese. Nel volume si cita la Dichiarazione ministeriale di Riga, approvata all’unanimità dall’Unione Europea nel 2006, che esorta a seguire una strategia che miri a una società a un tempo dell’informazione e della democrazia. E non ci sono solo le tecnologie digitali.
 Berlinguer insiste sulla figura del tecnologo come «artigiano» che combina per scopi inediti strumenti emersi sotto altre costellazioni. Ricorre allo splendido La natura della tecnologia di W. Brian Arthur (traduzione di Davide Fassio, Codice edizioni, 2011), che sottolinea come la tecnologia sia un tratto dell’evoluzione culturale analogo al processo per cui l’evoluzione darwiniana consente che organi specializzati in una certa funzione vengano poi impiegati con successo in un’altra. Come le ali degli uccelli, che originariamente costituivano un regolatore dell’equilibrio termico, ma poi dovevano venire utilizzate… per spiccare il volo!
 Ci sono vicende affascinanti di innovatori tecnologici non meno «astuti» della natura: come quella di Frank Whittle, che negli anni Trenta per il volo ad alta quota escogitò un congegno che riprendeva la vecchia idea della turbina a gas, ma per produrre un «getto propellente» invece di azionare l’usuale elica.
 Ritrovare nella scuola la dimensione storica dell’ingegneria avrebbe un valore esemplare, non solo per le menti dei giovani, ma per le modalità di organizzazione: queste e altre innovazioni, scrivono Berlinguer e Guetti, finirebbero col cambiare i tempi e gli spazi dell’insegnamento. In una scuola ove «non solo si conta, ma anche si canta» facilmente viene meno la funzione centralizzatrice e autoritaria della cattedra, a vantaggio di una struttura non gerarchica che consente una maggior condivisione delle competenze di ciascuno.
 Infine, la Ri-creazione berlingueriana insiste sulle spinte dal basso per il cambiamento del sistema: ma difficilmente questa rivoluzione potrà svilupparsi se viene meno «l’intervento fattivo di politica, management, sindacati» per migliorare congiuntamente «cultura e società».
Berlinguer cita Bill Gates: «Baratterei tutta la mia tecnologia per una serata con Socrate». Molto bene, ma per riavere Socrate (o Giordano Bruno o Giambattista Vico o Carlo Cattaneo o chi volete voi) la tecnologia da barattare deve pur esserci!
 Questo sposta il discorso all’investimento del settore pubblico e di quello privato nell’istruzione; ma dubito che la maggioranza degli esponenti di politica, management e sindacati nel nostro Paese sia in grado di cogliere il punto. Forse il sospetto sfiora lo stesso Berlinguer, che viene da una tradizione che conosce l’accoppiamento giudizioso di Gramsci tra «ottimismo della volontà» e «pessimismo della ragione».