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Concorsi truccati. Le cure miracolose sono state inutili

Dopo anni di cure miracolose somministrate all’università italiana la magistratura di Firenze ha certificato che l’università italiana è ancora gravemente malata.

29/09/2017
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ROARS

Alberto Baccini

Dopo anni di cure miracolose somministrate all’università italiana la magistratura di Firenze ha certificato che l’università italiana è ancora gravemente malata. Le cure somministrate dai governi post-Gelmini sono tutte e sole quelle suggerite dagli economisti che avevano gridato agli scandali negli anni 2008-2010. Mi auguro che la notizia dell’inchiesta aiuti a prendere atto che in questi anni è stata seguita una strada sbagliata. Cambiare direzione significa adottare meccanismi che permettano la piena trasparenza e controllabilità di tutte le decisioni, dai concorsi alla distribuzione delle risorse alle università. Significa individuare sempre e precisamente di chi è la responsabilità delle decisioni. Significa restituire dignità e autonomia al docente universitario a cui deve competere la responsabilità delle scelte. Significa togliere potere ai piccoli gruppi di professori che si affollano intorno ai palazzi romani del MIUR e dell’ANVUR, redistribuendolo alla intera comunità universitaria. Significa aprire l’Italia al dibattito internazionale in corso su scienza aperta ed etica della ricerca.

E’ un vero peccato vivere in un paese senza memoria a breve termine. Sette professori universitari arrestati; 59 indagati: per una storia di concorsi truccati. Ovviamente tutto da confermare e verificare da parte della magistratura. Nel frattempo si alzano grida indignate contro i professori universitari corrotti e il familismo. Molti di coloro che ora gridano, sono gli stessi che negli ultimi 5-6 anni hanno raccontato al paese che la nuova organizzazione dell’università prevista dalla legge Gelmini avrebbe reso più efficiente il sistema; che l’istituzione dell’agenzia nazionale di valutazione (ANVUR) e la riforma dei concorsi universitari avrebbero “tagliato le unghie ai baroni”; che il nepotismo sarebbe stato sconfitto a colpi di meritocrazia, grazie all’uso generalizzato di “dati oggettivi”.

La vicenda riguarda, a quanto è dato capire, l’abilitazione scientifica nazionale (ASN) del 2012, il processo attraverso cui si è giudicati idonei al ruolo di professore universitario. Nel giugno 2014, l’allora presidente dell’ANVUR, Stefano Fantoni, in una audizione alla Camera dei deputati, garantiva che il cambio di rotta era ormai avvenuto:

“l’’abilitazione scientifica nazionale ha svolto un ruolo rilevante nel selezionare i futuri docenti  sulla base del merito … Questa operazione … è andata contro le baronie … Rispetto al passato. …noi siamo stati più trasparenti di tutto ciò che è avvenuto prima di noi”.

La notizia dell’inchiesta di Firenze, qualsiasi sia l’esito giudiziario finale, rappresenta, a seconda del punto di osservazione, la fine di un’illusione e la certificazione di una sconfitta.

Rappresenta la fine dell’illusione che per contrastare la corruzione, si debba ridurre al minimo l’intervento discrezionale umano nelle decisioni. Tutti i provvedimenti di legge sui concorsi universitari hanno avuto come logica di fondo la sostituzione delle scelte “soggettive” dei professori con parametri “oggettivi”. Le norme prevedono, ad esempio, che per diventare commissari di un concorso, i professori debbano superare alcune soglie numeriche stabilite dall’ANVUR, dimostrando di aver pubblicato almeno un certo numero di articoli scientifici. Ma è sufficiente che tutti i membri delle commissioni siano scelti in questo modo per garantire che il concorso verrà svolto in modo corretto? Sia permesso di dubitarne.

La notizia certifica anche la sconfitta dell’idea che sia sufficiente fare ricorso a dati “oggettivi” ed algoritmi per far funzionare il sistema universitario e combattere storture e nepotismi. L’uso di algoritmi e dati ha semplicemente cambiato i termini dell’usuale gioco accademico. La crescente concentrazione delle decisioni nelle mani di ANVUR ha spostato verso il centro le operazioni di controllo del territorio accademico, che hanno assunto forme meno riconoscibili. Nel sistema precedente spesso bastava guardare la composizione della commissione per provare a indovinare chi avrebbe vinto un concorso. Adesso per comprendere cosa accade, si devono osservare cose incomprensibili per i non addetti ai lavori, come i nomi dei direttori delle riviste scientifiche di “classe A”, o il numero di citazioni ed autocitazioni di commissari e candidati. La sostanza non cambia, solo che ora tutto avviene all’ombra dei dati oggettivi prodotti dall’ANVUR per conto del MIUR, come si legge nelle cronache di questi giorni.

Chi scrive questo articolo è tra coloro che in questi anni hanno alzato ad ogni occasione la voce contro la deriva centralizzatrice e numerologica del governo delle università. Scrivo questo commento con un profondo senso di prostrazione; la retorica della “meritocrazia” e dell’oggettività degli indicatori non bastano per risolvere i problemi.

Mi auguro che la notizia dell’inchiesta aiuti a prendere atto che in questi anni è stata seguita una strada sbagliata. Cambiare direzione significa adottare meccanismi che permettano la piena trasparenza e controllabilità di tutte le decisioni, dai concorsi alla distribuzione delle risorse alle università. Significa individuare sempre e precisamente di chi è la responsabilità delle decisioni. Significa restituire dignità e autonomia al docente universitario a cui deve competere la responsabilità delle scelte. Significa togliere potere ai piccoli gruppi di professori che si affollano intorno ai palazzi romani del MIUR e dell’ANVUR, redistribuendolo alla intera comunità universitaria. Significa aprire l’Italia al dibattito internazionale in corso su scienza aperta ed etica della ricerca.


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