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Come trasformare la tecnologia in strumento didattico utile ai ragazzi

L'evidenza della ricerca internazionale suggerisce che, ad oggi, la disponibilità di reti, lavagne interattive multimediali e dispositivi digitali (pc, tablet o smartphone) in aula non ha fatto ancora alcuna differenza significativa sugli apprendimenti degli studenti

11/12/2019
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La Stampa

Andrea Gavosto

Andrea Gavosto*

In questa era digitale molte famiglie si stanno domandando se sia giusto che i loro figli utilizzino le nuove tecnologie, soprattutto gli smartphone, in classe. Messa così, la risposta è scontata: la scuola non può isolarsi dalla società e nella società gli strumenti digitali sono ormai pervasivi, soprattutto fra i giovani. Quindi gli studenti devono utilizzare la rete e i cellulari a scuola, così come fanno durante il resto della giornata: ovviamente lo scopo è avere una risorsa in più per imparare, non farsi gli affari propri su Instagram. Dirò di più: se si vuole insegnare un uso consapevole di internet – che combatta le fake news, diminuisca i rischi del cyberbullismo o semplicemente insegni a usare le fonti in modo critico - dove farlo se non innanzitutto a scuola? Vietare l'uso dei cellulari e di internet in classe non ha dunque senso. Docenti e genitori che lo propongono – certo non nativi digitali - somigliano a quegli Amish che, ostili a ogni forma di progresso, continuano a viaggiare sui calessi e a illuminare con le lampade a olio.
Naturalmente, la questione vera e difficile è come trasformare la tecnologia in uno strumento didattico utile. L'evidenza della ricerca internazionale suggerisce infatti che, ad oggi, la disponibilità di reti, lavagne interattive multimediali e dispositivi digitali (pc, tablet o smartphone) in aula non ha fatto ancora alcuna differenza significativa sugli apprendimenti degli studenti. Non è così sorprendente: difficile immaginare che le tecnologie di per sé abbiano un effetto rilevante su quel che imparano gli studenti e su come si formano le competenze; quello che conta è la loro interazione con le caratteristiche degli studenti, la qualità dei docenti e le strategie didattiche. Banalmente, una lavagna interattiva usata nel contesto di una tradizionale lezione frontale, avrà più o meno lo stesso effetto di una lavagna d'ardesia. Per contro, le tecnologie, a partire dai nuovi software di apprendimento, possono offrire grandi opportunità, a condizione che siano accompagnate da nuove forme di didattica.
Come ci dicono i confronti internazionali, in Italia prevalgono invece strategie didattiche vecchie, basate sulla lezione frontale e trasmissiva, che mal si sposano con gli strumenti digitali per loro natura interattivi. La facilità di reperire materiali in rete consente, invece, di impostare lavori in classe per rispondere a domande e problemi, rispetto ai quali l'insegnante ha il compito, ben più gravoso della semplice trasmissione di nozioni, di insegnare a selezionare le informazioni, analizzarle con uno sguardo critico, discuterne con i compagni, comprendere se rispondono al quesito posto, formulare nuove ipotesi, ecc. Così oggi si impara e si lavora, così i ragazzi dovranno continuare a fare da adulti.
Pur con tutti i limiti legati alle risorse pubbliche, la scuola italiana oggi è in linea con gli altri paesi avanzati per la dotazione e l'uso delle tecnologie a scuola. Però, l'indagine Ocse Pisa 2018, uscita pochi giorni fa, ci dice che i nostri quindicenni hanno molte difficoltà a ricercare le informazioni e a comprendere i testi, in particolare, sulla rete. Evidentemente non sono stati formati in modo adeguato a usare le risorse digitali e la spiegazione è che gli insegnanti italiani a loro volta non ricevono un'adeguata formazione alle didattiche innovative e all'interazione di queste con le tecnologie. Mettere la testa sotto la sabbia non può essere la risposta giusta alla sfida che le nuove tecnologie pongono alla nostra scuola. —
*Direttore della Fondazione
Giovanni Agnelli
© RIPRODUZIONE RISERVATA

In questa era digitale molte famiglie si stanno domandando se sia giusto che i loro figli utilizzino le nuove tecnologie, soprattutto gli smartphone, in classe. Messa così, la risposta è scontata: la scuola non può isolarsi dalla società e nella società gli strumenti digitali sono ormai pervasivi, soprattutto fra i giovani. Quindi gli studenti devono utilizzare la rete e i cellulari a scuola, così come fanno durante il resto della giornata: ovviamente lo scopo è avere una risorsa in più per imparare, non farsi gli affari propri su Instagram. Dirò di più: se si vuole insegnare un uso consapevole di internet – che combatta le fake news, diminuisca i rischi del cyberbullismo o semplicemente insegni a usare le fonti in modo critico - dove farlo se non innanzitutto a scuola? Vietare l'uso dei cellulari e di internet in classe non ha dunque senso. Docenti e genitori che lo propongono – certo non nativi digitali - somigliano a quegli Amish che, ostili a ogni forma di progresso, continuano a viaggiare sui calessi e a illuminare con le lampade a olio.
Naturalmente, la questione vera e difficile è come trasformare la tecnologia in uno strumento didattico utile. L'evidenza della ricerca internazionale suggerisce infatti che, ad oggi, la disponibilità di reti, lavagne interattive multimediali e dispositivi digitali (pc, tablet o smartphone) in aula non ha fatto ancora alcuna differenza significativa sugli apprendimenti degli studenti. Non è così sorprendente: difficile immaginare che le tecnologie di per sé abbiano un effetto rilevante su quel che imparano gli studenti e su come si formano le competenze; quello che conta è la loro interazione con le caratteristiche degli studenti, la qualità dei docenti e le strategie didattiche. Banalmente, una lavagna interattiva usata nel contesto di una tradizionale lezione frontale, avrà più o meno lo stesso effetto di una lavagna d'ardesia. Per contro, le tecnologie, a partire dai nuovi software di apprendimento, possono offrire grandi opportunità, a condizione che siano accompagnate da nuove forme di didattica.
Come ci dicono i confronti internazionali, in Italia prevalgono invece strategie didattiche vecchie, basate sulla lezione frontale e trasmissiva, che mal si sposano con gli strumenti digitali per loro natura interattivi. La facilità di reperire materiali in rete consente, invece, di impostare lavori in classe per rispondere a domande e problemi, rispetto ai quali l'insegnante ha il compito, ben più gravoso della semplice trasmissione di nozioni, di insegnare a selezionare le informazioni, analizzarle con uno sguardo critico, discuterne con i compagni, comprendere se rispondono al quesito posto, formulare nuove ipotesi, ecc. Così oggi si impara e si lavora, così i ragazzi dovranno continuare a fare da adulti.
Pur con tutti i limiti legati alle risorse pubbliche, la scuola italiana oggi è in linea con gli altri paesi avanzati per la dotazione e l'uso delle tecnologie a scuola. Però, l'indagine Ocse Pisa 2018, uscita pochi giorni fa, ci dice che i nostri quindicenni hanno molte difficoltà a ricercare le informazioni e a comprendere i testi, in particolare, sulla rete. Evidentemente non sono stati formati in modo adeguato a usare le risorse digitali e la spiegazione è che gli insegnanti italiani a loro volta non ricevono un'adeguata formazione alle didattiche innovative e all'interazione di queste con le tecnologie. Mettere la testa sotto la sabbia non può essere la risposta giusta alla sfida che le nuove tecnologie pongono alla nostra scuola. —
*Direttore della Fondazione
Giovanni Agnelli
ish che, ostili a ogni forma di progresso, continuano a viaggiare sui calessi e a illuminare con le lampade a olio.