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Come scegliere (e valutare) i docenti bravi

il concetto di merito intende valorizzare, oltre alla necessaria eguaglianza dei punti di partenza, quello di diversità; e qui nascono i problemi

30/09/2017
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Corriere della sera

Vincenzo BArone

In Italia non vogliamo il merito. Se si volesse il merito, nel mondo accademico le Università virtuose potrebbero, per esempio, permettersi di pagare salari competitivi, per attirare i migliori professori a livello internazionale. Ma ci si guarda bene dal farlo. Potrebbero scegliere il proprio personale in base ad obiettivi da raggiungere e ai risultati ottenuti, e non a titoli pregressi. Invece tutte le Università sono obbligate a sottostare ai medesimi meccanismi. Ma il concetto di merito intende valorizzare, oltre alla necessaria eguaglianza dei punti di partenza, quello di diversità; e qui nascono i problemi.

Nell’indagine fiorentina sui concorsi per l’Abilitazione Scientifica Nazionale, emerge in modo indiscutibile, al di là degli aspetti penali e del giudizio etico, la stortura di una concezione formalmente garante del merito, ma che nella sostanza lo mortifica. Una norma teoricamente giusta, introdotta per garantire una preselezione prima della scelta vera e propria del candidato docente, non ha fatto che produrre un eccesso di burocrazia (e dunque ritardi sistematici e una pletora di norme e regolamenti in cui è impossibile districarsi) e ha di fatto favorito il moltiplicarsi di consuetudini clientelari.

Premesso che la magistratura ha ovviamente il diritto e il dovere di perseguire i comportamenti illegali, questa vicenda dimostra, a mio avviso, il fallimento di un’impostazione concettuale. Quella della valutazione ex ante , che rientra nell’obiettivo più generale di inquadrare il mondo accademico con regole e criteri che cancellano la diversità e si sforzano di definire parametri numerici che incasellino il merito e conducano a una definizione asettica e oggettiva del «migliore». Forse bisognerebbe avere la forza di capovolgere la prospettiva: la carriera universitaria non è fatta per tutti, ma solo per coloro che hanno il talento, la vocazione e la forza di volontà. Per valutare i più adatti a ricoprire un determinato ruolo, così come avviene in qualsiasi competizione, campionato, torneo, si giudica dopo che la competizione, campionato, torneo si sono conclusi, non prima. E così nel reclutamento bisogna avere il coraggio di introdurre criteri di valutazione successivi alla selezione. Le Università dovrebbero assumere nuovi docenti non perché «si rende vacante una cattedra» (o se ne crea una ad hoc per tizio o caio), ma perché hanno definito una visione autonoma, ma condivisa dalla maggioranza dei docenti, che preveda di investire su determinati progetti didattici e scientifici, possibilmente di livello internazionale, che necessitano di personale (e infrastrutture) adeguato. Quando un’Università sceglie un professore lo dovrebbe fare non per riempire un vuoto, ma in coerenza con la strada che vuole percorrere per gli anni seguenti. Se i matrimoni funzionano, vanno avanti. Se non funzionano, è inutile convivere. Tutto questo richiede una grande flessibilità e una selezione sulla base di una visione strategica e meritocratica. Esattamente il contrario delle misure che continuano a essere proposte, anche in seguito alle cronache degli ultimi giorni. Trovo francamente discutibile, per esempio, che l’ennesimo controllo preventivo che si intende adottare sia esercitato da un commissario di concorso «esterno al mondo universitario», come se tutto ciò che è «esterno» al mondo accademico fosse di per sé sinonimo di puro e specchiato, e «interno» volesse dire perverso e malato. Un membro esterno non è altrettanto corruttibile di un membro interno? Sulla base di quali competenze uno «scrittore» dovrebbe giudicare un saggio critico sulle fonti della Commedia o sulla metrica di Petrarca? E se il mondo al di fuori dell’Università è così buono, perché poi vigilare affinché si riducano o addirittura si annullino le consulenze esterne?

Cambiare la prospettiva di valutazione (prima quel che si vuol fare e successivamente i professori da chiamare; il contrario di quanto avviene adesso) rappresenterebbe una vera rivoluzione nella logica del reclutamento. L’ateneo ha tutto l’interesse a scegliere il candidato migliore per il proprio progetto di consolidamento e sviluppo, e il merito avrà modo di misurarlo in ogni momento del rapporto — dall’ingresso a tutta la durata del percorso da fare insieme; non solo all’inizio ma anche alla fine.

Alla Scuola Normale come selezioniamo il nostro personale docente? Una commissione quasi sempre completamente esterna valuta e sceglie il candidato indiscutibilmente migliore, se ce n’è uno solo. Se ci sono candidati che si equivalgono fornisce invece una rosa ristretta all’interno della quale gli organi di governo della Scuola si prendono la responsabilità di effettuare la scelta finale, ascoltando i candidati e valutandoli anche in base agli obiettivi scientifici e didattici dell’istituzione e tenendo conto degli aspetti connessi alla parità di genere. Può capitare anche che il posto non venga alla fine ricoperto. In ogni caso vengono fortemente scoraggiate le cosiddette «carriere interne», cioè tutti i docenti della Scuola, a partire dal Direttore (cioè il Rettore), hanno svolto parte della propria carriera presso altre istituzioni. È un modus operandi mutuato, per quanto possibile, dalla selezione dei nostri allievi per i quali, non essendoci vincoli burocratici, non viene preso in considerazione il curriculum degli studi, ma solo i risultati delle prove scritte (totalmente anonime) e orali effettuate presso la Scuola. E chi vince, viene poi continuamente chiamato a dar conto dei risultati che raggiunge, tant’è che è possibile perdere il posto se il livello di studio, di ricerca e dei risultati raggiunti non sono adeguati.

Il principio che sottende a tutto questo è, certo, totalmente meritocratico, ma è in questo modo che, come recita l’articolo 3 della Costituzione, si rimuovono «gli ostacoli di ordine economico e sociale» che limitano «di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini».

La valutazione e quindi la chiamata degli allievi alla Normale avvengono sulla base di criteri squisitamente democratici: se il candidato dimostra di avere le giuste capacità in sede di esame e dopo, rimane (e in maniera del tutto gratuita), altrimenti se ne va. È un modello che funziona da oltre due secoli. È perfetto? Ovviamente no. Ci sono casi in cui candidati non selezionati hanno dimostrato di valere di più di colleghi scelti al loro posto. Tuttavia anche le sconfitte possono essere molto formative se si riconosce la validità generale del sistema e non ci si autoassolve accusando tutto e tutti di comportamenti scorretti. Perché non deve essere possibile utilizzare un modello simile anche per le chiamate dei professori?


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