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Come nasce la disuguaglianza fra i bambini

Chiara Saraceno

02/06/2017
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la Repubblica

Le disuguaglianze sociali iniziano a dispiegare i propri effetti sulle chances di vita degli individui già prima della nascita. Le condizioni di salute dei genitori, e in particolare della madre, l’alimentazione di quest’ultima, gli stress cui è sottoposta a causa delle difficoltà economiche, incidono sulla salute prenatale e sulla mortalità infantile. Gli effetti della disuguaglianza, poi, continuano lungo tutto il processo di crescita se non sono adeguatamente contrastate da politiche che compensino gli effetti cumulativi degli svantaggi. Essere poveri da bambini e ragazzi, specie quando si combina con una bassa istruzione dei genitori, incide negativamente sulla salute e sullo sviluppo cognitivo. Ad esempio, una ricerca effettuata dall’Istituto Superiore di Sanità sui bambini della scuola elementare ha trovato che è obeso il 14,5% dei bambini i cui genitori hanno frequentato la sola scuola dell’obbligo, a fronte del 9,5% di quelli con i genitori diplomati e al 5,5% di quelli con i genitori laureati. I bambini sovrappeso e obesi sono inoltre molto più frequenti nelle regioni meridionali che in quelle centrali e settentrionali. Una distribuzione simile si trova per i bambini che non mangiano regolarmente frutta e verdura fresche. Secondo l’Indagine Istat sulla salute, i bambini e ragazzi che vivono in famiglie con scarse risorse economiche non effettuano neppure una visita pediatrica, oculistica o dentistica nel corso di un anno in percentuale molto maggiore dei loro coetanei che appartengono a famiglie con più risorse (e un terzo di tutti i bambini nel Mezzogiorno non va mai dal dentista). Rischiano perciò che ci si accorga tardi di eventuali disturbi che sarebbero facilmente correggibili se affrontati per tempo. I bambini e ragazzi (e ancor più le bambine e ragazze) che vivono nelle famiglie più disagiate e abitano nel Mezzogiorno fanno anche meno attività sportive. La povertà economica, una alimentazione inadeguata e la mancanza di attività sportive, unitamente all’assenza di attività di tempo libero, hanno un effetto negativo anche sullo sviluppo cognitivo. Il 47% dei quindicenni in famiglie svantaggiate non ha le competenze matematiche proprie della sua età, rispetto al 9% dei coetanei meno svantaggiati. Per la capacità di comprensione linguistica i dati sono rispettivamente 47% e 6%. I figli di stranieri e coloro che vivono nel Mezzogiorno sono in netto svantaggio. Difficile pensare che questo enorme svantaggio sia recuperabile successivamente, laddove un intervento precoce e continuativo sembra viceversa avere una significativa efficacia. Ad esempio, a parità di cattive condizioni economiche, l’aver frequentato almeno un anno di nido ha effetti positivi sullo sviluppo cognitivo a quindici anni. Lo stesso vale per il tempo pieno scolastico, come modalità per arricchire il curriculum della crescita dei bambini più svantaggiati, non solo intensificando l’apprendimento curriculare, e garantendo almeno un pasto al giorno nutrizionalmente adeguato, ma anche offrendo la possibilità di attività extracurriculari anche a chi ha genitori che non possono permetterselo e/o non ne vedono la necessità. Come ha documentato una ricerca di Save the Children sulla povertà educativa, partecipare ad attività extracurriculari (sportive, di volontariato, musicali, teatro, visite museali ecc.) a parità di condizioni economiche della famiglia migliora le competenze cognitive.

Appartenere a una famiglia a basso reddito incide anche sulla normale socialità dei bambini e ragazzi. Secondo i dati dell’Indagine europea sulle condizioni socio-economiche (EU-Silc), oltre il 10% dei minori (il 16% nel Mezzogiorno) non può partecipare a gite scolastiche o a eventi a pagamento organizzati dalle scuole, l’11% (il 15% nel Mezzogiorno) non dispone di uno spazio adeguato per studiare, il 7% non può invitare amici a casa propria per giocare e far merenda insieme o festeggiare il compleanno.

Queste disuguaglianze di condizioni di vita e opportunità di sviluppo tra bambini e ragazzi non sono solo le più ingiuste. Sono anche uno spreco di capitale umano. Per contrastarle occorrerebbero politiche di intervento precoce e continuativo su più fronti. Si dovrebbe investire di più e meglio — in dotazione di servizi sanitari, sociali ed educativi, scuole, infrastrutture sportive, ecc. — là dove le risorse, non solo economiche, famigliari sono più modeste e la povertà più diffusa. Purtroppo, invece, non è sempre così. La geografia disegnata dalle opportunità offerte dalle politiche pubbliche, ad esempio, mostra che queste troppo spesso si sovrappongono alle disuguaglianze invece che ridurle, trasformando così le disuguaglianze di partenza in disuguaglianze di destino.


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