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Come è andata dove le scuole non hanno chiuso

Pochissimi i Paesi dove le lezioni si sono svolte in modo regolare. Il modello danese. In Asia mascherine in aula

29/07/2020
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Corriere della sera

Irene Soave


Il 28 marzo l’emergenza Covid teneva a casa (dati Unesco) il 90% degli scolari e studenti del mondo: 184 Paesi avevano chiuso le scuole, e restava a casa più di un miliardo e mezzo di bambini e ragazzi di tutto il pianeta. Oggi l’istruzione in presenza è ripresa in 77 Paesi; altri sono in pausa estiva e pronti a riaprire a settembre; sono a casa in tutto 1,06 miliardi di studenti. Ma rientrare a scuola è pericoloso?

Per uno studio pubblicato dalla rivista Science «la ricerca sul tema ha poche certezze»; ma comparando alcuni Paesi dove la scuola ha riaperto «si notano ricorrenze rassicuranti». Serve, ad esempio, combinare «distanziamento, riduzione del numero di alunni, e mascherine».

Una «occasione persa» di studiare l’impatto del Covid sulle comunità scolari, protesta Science, è la Svezia: le scuole fino alle superiori sono rimaste aperte e l’obbligo scolastico — pena l’intervento dei servizi sociali — sempre in vigore. La legge sulla privacy dei ragazzi è molto stretta e così non ci sono focolai scolastici registrati. Ma la cronaca riporta la morte di un professore e il contagio di 18 adulti in una scuola di Skellefteå; e in una di Uppsala, dove un preside non ha comunicato a nessuno che un professore era positivo, sono morti due dipendenti. Un sondaggio sierologico su 1.100 svedesi suggerisce che il 4,7% degli studenti si sia contagiato.

In pochi altri Paesi le scuole non hanno mai chiuso: perlopiù grazie a governi negazionisti, come Nicaragua e Bielorussia. E a Taiwan, la cui «risposta modello» al Covid-19 ha compreso scuole aperte e tracciamento pervasivo.

La Danimarca, prima in Europa a riaprire le scuole il 15 aprile, ha visto calare i casi nazionali anche dopo. La strategia: dividere le classi in gruppi e fare, dove possibile, lezione all’aperto. Paesi Bassi: scuole riaperte dall’11 maggio, classi dimezzate per distanziare gli alunni, contagi generali rimasti stabili e poi calati. Finlandia: le classi sono rimaste le stesse, ma non si sono mescolate all’intervallo. Belgio e Austria: per settimane i bambini sono andati a scuola a turno. In nessuno di questi Paesi i contagi sono cresciuti.

Secondo «Science»

Una «occasione persa» di studiare l’impatto del Covid sulle comunità scolari è la Svezia

In Israele le scuole sono riaperte dai primi di maggio: classi da 30-40 studenti. A differenza di altri Paesi, non si è riusciti a dividerli né a distanziarli. «Abbiamo puntato sulle mascherine, obbligatorie dai 7 anni in su», racconta a Science Efrat Aflalo, una portavoce del ministero della Salute. In molti Paesi dove è abituale indossarle — Cina, Corea del Sud, Giappone, Vietnam — oggi le scuole le hanno imposte. Ma il timore è che i bambini finiscano per togliersele. «In realtà sono molto ligi», ha spiegato ancora Aflalo. Sembrava funzionare. Poi, a fine maggio, un’ondata di caldo: medie di 40°. Le autorità sollevano i ragazzi dall’obbligo. Due settimane dopo — proprio il tempo di incubazione del virus — i primi focolai nelle scuole. Il più famoso al ginnasio Rehavia di Gerusalemme: 130 contagi. A metà giugno 355 scuole avevano richiuso.

La maggioranza degli Stati americani ha chiuso le scuole; eppure ora, in vista di settembre, la rete dei Centers for Disease Control and Prevention in un documento chiede di riaprirle: al vaglio di una trentina di studi disponibili a oggi, c’è scritto, «il Covid-19 pone rischi bassi in età scolare, perlomeno in aree dove la trasmissione comunitaria non è alta».

Appelli simili sono stati firmati dai pediatri del Regno Unito (dove solo da settembre tornerà l’obbligo, e le scuole hanno riaperto finora in modo disomogeneo) e tedeschi. In Germania dopo la riapertura (fra maggio e giugno, secondo i Länder) la percentuale di bambini tra i contagi è passata da 10% a 20% ; ma è perché al contempo sono diminuiti i casi fra gli anziani.

Non c’è, infine, accordo totale circa il potenziale di contagio dei bambini: gli studi disponibili in materia sono appena cinque, pubblicati sulle riviste Lancet, Science e MedRxiv. Di questi, però, quattro lo considerano più basso che negli adulti; e uno lo ritiene «comparabile».