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Combattere la jihad a scuola

Alcuni dei giovani che hanno colpito in Europa negli ultimi mesi avevano da poco lasciato gli studi: è nelle aule che si possono intercettare i primi segni di cambiamento. Per questo il ruolo di insegnanti e professori è fondamentale

24/08/2017
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la Repubblica

Renzo Guolo

Prevenzione culturale: l’espressione chiave quando si parla di prevenzione della radicalizzazione jihadista è questa. Il senso della frase è chiaro: se si vuole impedire che il radicalismo faccia proseliti, occorre predisporre interventi di contrasto, laddove - scuole, nuovi media, carceri- quel rischio appare concreto. Ma come?

Tra qualche settimana anche l’Italia avrà una legge che risponde a questo interrogativo: saranno infatti varate misure di prevenzione della radicalizzazione jihadista non tanto sul terreno tipico delle forze di polizia e intelligence ma, ed è la prima volta nel nostro Paese, anche su unpiano più vasto.

LA LEGGE

La legge che sarà approvata a breve ha un raggio di azione molto ampio. Prevede progetti che vanno dalla diffusione della conoscenza sulla realtà culturale e religiosa di una società plurale, alla valorizzazione di una contronarrazione che consenta ai giovani musulmani di percepire la natura e i caratteri della propaganda jihadista. Ma non solo: fra le novità previste, c’è quella dell’ingresso nelle carceri di figure che consentano di demistificare le distorsioni teologiche prodotte dal messaggio radicale e contribuiscano a de-radicalizzare quanti potrebbero aver già fatto il salto. Di fatto, si tratta della presa d’atto che il contrasto a un fenomeno come la radicalizzazione deve essere fatto soprattutto sul terreno della battaglia delle idee.

LA SCUOLA

La legge pone molta attenzione sulla scuola e sulle Seconde generazioni (i figli degli immigrati) che la frequentano: lo fa finanziando interventi e formazione nel campo della conoscenza e della didattica interculturale e sollecitando le reti scolastiche a servirsi di esperti forniti da università o altri enti. Qui il motore è l’Osservatorio nazionale per l’Integrazione degli alunni stranieri e per l’Intercultura, che definisce linee guida e modalità d’intervento in coerenza con gli obiettivi fissati dal Piano varato dal CRAD, il Centro nazionale per la radicalizzazione, che è il motore di tutto il piano.

Per progetti, attività di formazione e aggiornamento del personale sono previsti finanziamenti per 20 milioni di euro in due anni. In questa visione, dunque, la scuola viene concepita non solo come luogo della diffusione del sapere ma anche come produttrice di cittadinanza attiva.

Anche l’università è chiamata a svolgere un ruolo. Fornendo saperi frutto della sua attività di ricerca e, come vuole la legge, promuovendo la formazione accademica di figure professionali specializzate nel campo della radicalizzazione. Per queste funzioni sono previsti finanziamenti per 5 milioni di euro a partire dal 2017.

Basterà tutto questo? Ed è pensabile che la scuola italiana, con tutti i suoi problemi riesca a svolgere un simile compito? Per evitare che l’Italia colmi presto il prezioso ritardo nella comparsa di aspiranti jihadisti tra le Seconde generazioni, la strada sembra obbligata.

IL MECCANISMO

Il “cervello” di tutto il dispositivo è il CRAD. Una cabina di regia, collocata presso il dipartimento per le Libertà civili e l’Immigrazione del ministero dell’Interno, nella quale dovrebbero essere presenti rappresentanti dei diversi ministeri, esponenti di istituzioni, enti e associazioni, membri della Consulta per l’Islam italiano.

Esplicito segnale, quest’ultimo, della volontà di coinvolgere leadership musulmane ritenute affidabili in un percorso che non può prescindere dal loro contributo.

E’ il CRAD a varare il Piano strategico nazionale di prevenzione, approvato dal Consiglio dei ministri, su proposta del ministro dell’Interno, la cui attuazione è demandata a centri regionali (CCR), gemmati sul modello della struttura centrale nel territorio. Funzionerà? Molto dipenderà dalla volontà di chi si troverà a applicare la legge: un esecutivo formato da forze politiche convinte che sia preferibile insistere sul solo terreno del contrasto repressivo la svuoterebbe di fatto.

LA FORMAZIONE

Quello delle competenze è uno dei cardini della legge. E’ previsto che i ministeri istituiscano attività di formazione per il personale di polizia, delle forze armate, dell’amministrazione penitenziaria, dei corpi di polizia locale, di docenti e dirigenti delle scuole e delle università, di operatori dei servizi sociali e socio-sanitari.

L’obiettivo è la diffusione di conoscenze che consentano di valutare eventuali processi di radicalizzazione ma che permettano anche di non scambiare l’esercizio di diritti garantiti costituzionalmente, come la libertà di culto con manifestazioni di jihadismo.

Insomma, il terrorismo di matrice islamista impone di conoscere meglio cultura e religione di quanti vivono stabilmente nella società italiana, per evitare di produrre stigmatizzazioni collettive.

( 2. continua)