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Colao e la Scuola: slogan e numeri al retrogusto di supercazzola

Mai, neanche una sola volta, compare la parola ‘cultura’.  Se l’istruzione ha bisogno di cambiare paradigma – e dobbiamo intenderci su quale – lo deve fare a partire da una buona tradizione che, prima di esser tradotta e tradita, andrebbe conosciuta.

18/06/2020
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ROARS

Anna Angelucci Renata Puleo

«Già a 15 anni i nostri studenti mostrano livelli di apprendimento sistematicamente inferiori a quelli della media dei Paesi OCSE», rapporto Colao dixit. Ma siamo davvero sotto la media in tutte le prove principali, lettura, matematica e scienze? In Matematica, le cose vanno meglio di come le dipinge Colao. A pagina 59 del Rapporto PISA 2018, la Tabella I.4.2 spiega che nei test di matematica l’Italia, insieme ad altre quattro nazioni, risulta “Not statistically significantly different from the OECD average“. Sarà un caso, ma nella scheda di lavoro 78, tutta volta a mostrare il “ritardo” italiano” anche nelle materie STEM (dove la M sta per “mathematics”), viene omesso il dato PISA-OCSE sulla matematica, che vede l’Italia pericolosamente (per la tesi da dimostrare) in linea con la media OCSE. Ci si  limita a riportare il dato della literacy in scienze, alzando di due punti la media OCSE (per allargare l’impressione di divario con l’Italia?). In un altro passaggio, leggiamo che nei test  PISA l’Italia si posizionerebbe “in 34° posizione“, un dato di cui non si trova traccia nei rapporti ufficiali PISA 2018. La possibile fonte dell’errore potrebbe essere un articolo di Repubblica, risalente al 2016secondo cui l’Italia era al 34° posto di un’inesistente classifica globale dei test PISA 2015.  Forte di questi numeri, Colao disegna la neoscuola dell’era Covid: upskillingcrowdfunding, formazione aziendale high tech e gare hackathon: “tarapía tapióco come se fosse antani”. I paragrafi riservati all’istruzione sono interamente declinati all’insegna della modernizzazione, innovazione, semplificazione, flessibilità, competizione. Mai, neanche una sola volta, compare la parola ‘cultura’.  Se l’istruzione ha bisogno di cambiare paradigma – e dobbiamo intenderci su quale – lo deve fare a partire da una buona tradizione che, prima di esser tradotta e tradita, andrebbe conosciuta.

“Non sprechiamo una crisi” – una frase che ormai suona come un mantra – sottolinea e sottoscrive la task force di economisti guidata da Vittorio Colao per rilanciare il Paese dopo l’emergenza Covid. Ma per carità, e chi vorrebbe sprecarla questa crisi! Finita la conta dei morti che non abbiamo neanche potuto seppellire, una conta tanto dolorosa quanto in larga parte dolosa, ci resterebbe una preziosa occasione per individuare e correggere tutte le storture di un sistema che, a livello politico, economico, sanitario e sociale, questa crisi l’ha prodotta e aggravata. Nelle more di una riflessione politica lenta a venire, come sempre accade quando si deve fare molta autocritica e grande assunzione di responsabilità, sgombriamo il campo, se possibile, da mistificazioni e supercazzole.

Il Piano Colao ha l’ambizioso obiettivo “di accelerare lo sviluppo del Paese e di migliorare la sua sostenibilità economica, sociale e ambientale, in linea con l’Agenda 2030 e gli obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite e con gli obiettivi strategici definiti dall’Unione europea” nella sua roadmap for recovery. Non poteva certo mancare una sezione dedicata a istruzione e ricerca, da tutti considerate – a parole – fondamentale volano di crescita ma – nei fatti – sistematicamente marginalizzate.

Proviamo a leggere il lavoro di Vittorio Colao e della sua task force, le cui parole d’ordine sono capitale economicocapitale umanocapitale sociale e capitale naturale, ovvero il patrimonio e il profitto, come ci ricorda Thomas Piketty, ottenuti con l’immissione nella catena del valore e lo sfruttamento anche di educazione e istruzione. I paragrafi 75-87, ad essa riservati, sono interamente declinati all’insegna delle parole d’ordine del neoliberismo più sfrenato e sfrontato: modernizzazione, innovazione, semplificazione, flessibilità, competizione. Mai, neanche una sola volta, compare la parola ‘cultura’.

Per quanto riguarda la scuola, il problema principale è legato alle profonde differenze di qualità fra livelli di istruzione, percorsi formativi e aree territoriali. Già a 15 anni i nostri studenti mostrano livelli di apprendimento sistematicamente inferiori a quelli della media dei Paesi OCSE

esordisce Colao parlando di scuola.

Non è esattamente così. Se andiamo sul sito dell’Invalsi e leggiamo la sintesi dei risultati del rapporto OCSE PISA 2018 troviamo scritto che (l’evidenziazione in rosso è nostra):

Gli studenti italiani ottengono un punteggio di 476, inferiore alla media OCSE (487) [pag. 3]
[…]
l’Italia presenta una percentuale di studenti che raggiunge almeno il livello minimo di competenza in lettura analoga alla percentuale media internazionale. [pag. 6]

In matematica gli studenti hanno ottenuto un punteggio medio nelle prove PISA in linea con la media dei paesi OCSE (Italia 487 vs OCSE 489). [pag. 10]
[…]
I risultati in matematica sono migliorati nel 2009 per poi rimanere stabili nel tempo. [pag. 11]

Gli studenti italiani hanno ottenuto un punteggio medio nelle prove PISA di scienze al di sotto della media dei paesi OCSE (Italia 468 vs OCSE 489). [pag. 10]
[…]
In scienze, i trend dei risultati nei paesi OCSE indicano una parabola negativa: al lento miglioramento osservato fino al 2012 ha fatto seguito un calo nel periodo 2012-18 e nel 2018 la performance media dei paesi OCSE è tornata al valore rilevato nel 2006. L’andamento dei risultati in scienze per l’Italia è in linea con il dato internazionale. [pag. 11]

Dunque non è poi così chiaro che, come afferma Colao, i livelli di apprendimento dei nostri studenti sono “sistematicamente inferiori a quelli della media dei Paesi OCSE”.

E’ invece innegabile, come scrive il Rapporto, che ci sono forti sperequazioni territoriali e culturali tra Nord, Sud, Centro e Isole, insieme a fortissime disparità nella qualità del rendimento degli studenti tra i diversi ordini di scuola, con gran parte dei tecnici e dei professionali sistematicamente in declino. E’ sotto i nostri occhi, non ci sarebbe alcun bisogno di test campionari o censuari per fotografare l’esistente.

Ma i Colao di oggi, e i Gavosto di sempre, per sopperire alle carenze formative di un sistema che l’autonomia scolastica ha disgraziatamente legato al territorio in un determinismo tutt’altro che emancipante (quell’autonomia ormai ventennale che è andata cronologicamente di pari passo con l’aumento delle sperequazioni formative) e i cui obiettivi culturali e educativi sono stati lentamente cancellati dalla vuota ideologia delle competenzepropongono la “progettazione di iniziative di upskilling (co-finanziate da pubblico e privato), facendo leva sul settore privato per supportare in partnership insegnanti, cultura, ricerca e scuola” lanciando “una campagna di volontariato che affianchi le strutture pubbliche (ovviamente senza sostituirle) nel supporto della formazione, sia “cash” (in contanti, NdR) che “in kind” (in natura, NdR), articolata in tre proposte:

1) “Adotta una classe”, ovvero l’organizzazione di una campagna di crowdfunding e donazioni per il  potenziamento delle strutture “educational”, con la quale infrastrutturare digitalmente e tecnologicamente classi di diverso ordine e grado (sic!) in modo da contribuire a creare un sistema “equal opportunity” nell’istruzione (ad es. dotare di streaming , PC e supporti informatici le classi per didattica a distanza), attraverso una contribuzione “cash”.

2) “Impara dai migliori”: ovvero un programma nazionale coordinato di “aggiornamento degli educatori” per il quale 20 sabati all’anno grandi aziende high tech, enti di ricerca e università fanno corsi di aggiornamento su temi innovativi agli insegnanti di liceo e medie. Le lezioni possono essere frontali o a distanza. I contenuti vanno sincronizzati e resi omogenei a livello nazionale. L’iniziativa è gratuita. La formazione va riconosciuta dal MUR . La contribuzione è “in kind”.

3) “Gara dei talenti”: aziende e donatori organizzano una serie di concorsi tipo Hackathon per giovani studiosi (scuole superiori) su temi di grande rilievo tecnologico, sociale e culturale. I concorsi premiano gli studenti e le scuole (e casomai li mettono in contatto con investitori). La contribuzione è “cash/in kind”.

Accanto alla campagna di volontariato e accattonaggio, Colao e i suoi propongono la pianificazione di un accordo con RAI Scuola/RAI Educational per il potenziamento di forme di didattica innovative, con le dosi massicce di pubblicità che, come abbiamo visto, accompagnano questi programmi (il modello, irraggiungibile, è sempre l’America, dove accordi tra aziende e scuole prevedono per i malcapitati studenti il trangugiamento di interi quarti d’ora di pubblicità direttamente dai grandi schermi in classe tra una lezione e l’altra). Innovativo è, infatti la parola magica che, da anni, preme ai confini del nostro lessico educativo. E adesso certo, come si fa a sprecare una crisi, visto che l’emergenza sanitaria ha accelerato la spinta radicale delle multinazionali high tech alla digitalizzazione del mondo? Piattaforme digitali, device, webinar, conference call, streaming, didattica blended: tutto questo non può essere archiviato nel perimetro della straordinarietà ma deve, al contrario, diventare la nuova normalità della scuola. Dopo la ‘buona scuola’ di Renzi, la neo-scuola di Colao: educationalsmart, cash, in kind, charter, upskilled, adopted.

            Ma è ora di dire basta alla “tarapía tapióco come se fosse antani”.

Quanto questo modello – anche nella sua miopia – rappresenti soprattutto un attacco alla scuola di base dovrebbe essere inteso da tutti. L’equiparazione degli istituti comprensivi ad una azienda dell’obbligo a guida pseudo-manageriale,  il depotenziamento del tempo-scuola, il taglio degli organici, la scarsa o nulla attenzione ai figli degli immigrati,  ai figli dei proletari (esistono, ahimè pur se a qualcuno piace pensare che non esistano più le classi), alle bambini e ai bambini diversi,  ha soffocato le migliori esperienze educative e didattiche espresse nel secolo scorso. Perché, se la scuola ha bisogno di cambiare paradigma – ma dobbiamo intenderci su quale – lo deve fare a partire da una buona tradizione che, prima di esser tradotta/tradita, andrebbe conosciuta. Magari anche insegnata nei molti corsi di laurea di Scienze della Formazione.

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Nota della Redazione

1. Matematica: Italia in linea con la media OCSE

In più punti del Rapporto Iniziative per il rilancio “Italia 2020-2022”, la task-force di Colao cita i dati PISA 2018 per evidenziare il “ritardo” italiano:

In confronto ad altri paesi e alle esigenze del domani (SIC!), l’Italia ha, mediamente, performance scolastiche mediocri. (pag. 5)

Dopo la parola mediocri appaiono i dati PISA 2018 per la prima volta. Nella nota si legge:

Nel 2018, l’Italia ha ottenuto un punteggio inferiore alla media OCSE nei test PISA (rispettivamente: 476 e 487 in lettura, 468 e 489 in scienze, 487 e 489 in matematica), posizionandosi in 34° posizione. In particolare la prestazione media in Italia è stata inferiore a quella di Belgio, Canada, Cina, Francia, Germania, Paesi Bassi, Polonia, Slovenia, Sud Corea, Svezia, Svizzera, Regno Unito e Stati Uniti.

I punteggi riportati sono corretti. Tuttavia, come già osservato nel post, sarebbe stato opportuno informare il lettore che, a causa dell’incertezza statistica, il punteggio di Matematica (487) non differisce dalla media OCSE (489) in modo statisticamente significativo. Lo dice a chiare lettere l’OCSE nel suo Rapporto PISA 2018.

Lo stesso concetto è ribadito a pag. 10 nella sintesi dei risultati del rapporto OCSE PISA 2018 disponibile sul sito dell’Invalsi.

2. Italia 34-ma nella classifica che non c’è

Il “posizionamento in 34° posizione” appare invece misterioso. Non esiste infatti una classifica PISA-OCSE complessiva, ma diversi posizionamenti nelle diverse competenze. In ogni caso, in PISA 2018 in nessuna classifica l’italia si trova al 34° posto.

Dove ha origine quindi quel posizionamento? E’ possibile che la fonte sia un vecchio articolo del 2016 apparso su Repubblica, secondo cui l’Italia era al 34° posto nei test PISA 2015.

Poco importa che quella fosse soltanto un 34° posto per le prove di lettura; non sottilizziamo. Quel 34° posto (impropriamente generalizzato) è diventato un posizionamento mitico, ripreso da libri e giornali. E avallato nientepopodimenoche dal dirigente di ricerca INVALSI in questa intervista a Skuola.net del 2017.

3. Mamma, ho perso la matematica!

I dati PISA 2018 ritornano più avanti, pag. 34, dove si legge

Già a 15 anni i nostri studenti mostrano livelli di apprendimento sistematicamente inferiori a quelli della media dei Paesi OCSE.

L’identico giro di frase lo si legge qui sotto: (e, come sappiamo, lavoce.info è una delle fonti privilegiate del piano Colao).

Infine nella scheda di lavoro 78, tutta volta a mostrare il “ritardo” italiano” anche nelle materie STEM (dove la M sta per “mathematics”), la task-force di Colao elimina il dato PISA-OCSE sulla matematica, che vede l’Italia pericolosamente (per la tesi da dimostrare) in linea con la media OCSE, e si limita a riportare il dato della literacy in scienze.

Forse per errore (il dato riportato coincide con quello del 2015), forse per allargare l’impressione di divario con l’Italia, la media OCSE è anche alzata di due punti:

l’Italia mostra dei gap significativi vs. la media OCSE per quanto riguarda la literacy scientifica (468 punti vs. 491 media).

Infatti, il dato corretto, che la task-force aveva già riportato nella nota di pagina 5 vista sopra, non è 491 ma 489, come si può leggere anche nella sintesi curata da Invalsi:

In conclusione, quello della task force di Colao è un rapporto che, quando cita dati a sostegno delle sue tesi, è tutt’altro che impeccabile in quanto a precisione e fedeltà alle fonti. Un po’ come se i dati dovessero fungere da mera cornice decorativa a ricette già pronte e sempre uguali a se stesse.

P.S. Nella nota ci siamo limitati a verificare l’accuratezza con cui il Rapporto Colao cita le statistiche OCSE PISA. Rimane del tutto aperta la questione di cosa misurino i test OCSE PISA e se lo facciano in modo scientificamente corretto, oltre che i dubbi sulla loro utilità. Per chi volesse approfondire questi argomenti:


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