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Classe per soli stranieri, Bologna si divide

Nel mirino un progetto per inserirli con gli italiani dopo che imparano la lingua. “Èun ghetto”

05/11/2013
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la Repubblica

ILARIA VENTURI

BOLOGNA — Hanno dagli undici ai tredici anni, sono cinesi, pakistani, filippini, bengalesi, egiziani, polacchi, siriani, indiani, vengono dallo Sri Lanka e dall’Ucraina. Venti studenti, dieci nazionalità diverse, una sola classe: la prima A sperimentale. Senza nemmeno un italiano. Classeghetto, tuonano immediatamente i genitori del consiglio di istituto. Classe-ponte, rigetta l’accusa, sdegnata, la scuola. E scoppia il caso che divide Bologna, con Sel che reclama l’intervento del Miur e la deputata Pd Sandra Zampa che chiede di reintegrare al più presto i ragazzi in classi “miste”. Un caso che fa ancora più scalpore perché avviene alle medie Besta, istituto di periferia da sempre pioniere nell’accoglienza agli stranieri. Qui, dove su 426 ragazzi, 126 sono immigrati, l’integrazione è infatti di casa. Ma questa volta la scelta del preside Emilio Porcaro scatena il putiferio. È agosto quando alla scuola arriva la richiesta da parte di famiglie appena arrivate in Italia di iscrivere i propri figli. Ragazzi che non sanno una parola di italiano. Ma le prime sono già formate, il preside chiede allora all’ufficio scolastico di poter fare una classe in più. Arriva l’autorizzazione, e successivamente viene fatto il progetto: una classe solo di stranieri, ma aperta, «temporanea», per permettere loro di imparare l’italiano e di essere successivamente inseriti nella classe giusta per età. «Insegno loro geografia con le immagini, intanto si mettono al passo, è meglio che farli entrare in una classe dove fanno già la geografia dei continenti con una velocità di linguaggio che non comprendono», spiega la docente referente della classe sperimentale. Una scelta approvata a maggioranza dal collegio dei docenti, ma che non passa dal consiglio di istituto. La denuncia parte proprio dai genitori eletti nell’organo scolastico, contrari alla classe-ghetto. «Nessuno ci ha informati». Una critica di metodo, ma soprattutto nella sostanza. «Educheremo i nostri figli al principio che separati è meglio?», domandano in una lettera il presidente Roberto Panzacchi e altri quattro rappresentanti. I genitori parlano di rischio di classi differenziali, reclamano «progetti di integrazione condivisi con il territorio ». La notizia esce dalle mura scolastiche. «Ce lo aspettavamo, ma qui si lavora per l’inclusione», replicano alcuni insegnanti a scuola. Ne è convinto il preside, un curriculum dedicato a insegnare agli stranieri. «Così diamo l’opportunità di avere una classe a chi arriva, anche durante l’anno. Non nego i rischi del ghetto, ma facciamo di tutto per evitarli, favorendo al massimo le relazioni nella scuola, le uscite insieme, il tutoring con i ragazzi italiani. Si tratta di un luogo temporaneo, di passaggio. È già successo con due ragazze moldave: sono state in questa prima un mese ed ora sono in una terza. Questo è un modello di integrazione, una scelta pedagogica che difendo». Fuori dalla scuola, la polemica. Pdl e Lega si schierano a favore della sperimentazione, la Cgil scuola è cauta, lo è anche l’assessore al welfare vendoliana Amelia Frascaroli. Tuona invece il consigliere comunale di Sel Mirco Pieralisi: «È un arretramento pedagogico e culturale». Giovanni Cocchi, voce del movimento bolognese per la scuola pubblica, attacca: «Diciamo piuttosto che mancano risorse per l’alfabetizzazione invece di creare recinti per gli stranieri, questo è un passo indietro pericoloso».


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