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«Chiedeteci qualche volta cosa ne pensiamo»

di Pier Paolo Eramo preside dell'istituto comprensivo Parma Centro

28/10/2020
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Gazzetta di Parma

di Pier Paolo Eramo
preside dell'istituto comprensivo Parma Centro

È da giugno che stiamo lavorando come dei matti per quest’anno scolastico. Misurando, e disegnando planimetrie, spostando classi, allargando aule, studiando diverse ipotesi orarie, entrate e uscite sfasate, intervalli alternati, preparandoci a fare lezione con gli alunni a casa, mezzi a casa e mezzi a scuola, tutti a scuola (con i plexiglass perché non c’è «il metro»). 
Con le cuoche a vedere se si poteva mangiare in classe e in corridoio, con i tecnici di Parma Infrastrutture a fare le corse il 12 agosto per iniziare i lavori. E poi giù a scrivere regole, a sentire i genitori, a far sondaggi, a rassicurare. Come dei matti non tanto e non solo per la quantità di lavoro, ma perché abbiamo inseguito ogni volta l’ultimo verbale del Cts e l’ultima nota del Ministero, che ci dicevano prima una cosa e poi una diversa, costringendoci a rifare il lavoro una, due, tre volte. Abbiamo anche provato a dire - timidamente, perché già spadroneggiava l’hashtag #TuttiAScuola - che forse non era il caso di partire a settembre con l’orario pieno come se nulla fosse, che forse sarebbe stato meglio ridurre la concentrazione degli alunni nelle aule e nei corridoi, che il metro statico tra le rime buccali dei bambini non esiste in natura, che non avremmo avuto il personale sufficiente: che aprire era facile, ma tenere aperto sarebbe stata dura. 
Come se nulla fosse siamo partiti il 14 che mancavano insegnanti e collaboratori scolastici e con l’organico Covid che è arrivato quasi a metà ottobre. Niente, per un mese abbiamo recitato il mantra lascuolarestaaperta. Poi ieri, improvvisamente, contrordine compagni, si chiude. Da martedì alle superiori in un colpo solo almeno il 75% a distanza (notare l’«almeno»). 
Alla faccia di tutto il lavoro di cui sopra (e del mantra).
 Ormai sull’orlo della crisi di nervi, osiamo esprimere quattro desideri per la salute mentale di intere comunità scolastiche (visto che quella fisica è già così così): lanciare un hashtag solo se si è sicuri che duri più di un mese, non strafare insomma, soprattutto sulla pelle degli altri, secondo l’antico vizio dell’italietta (prima di dire che gli studenti devono entrare alle 9, mi preoccupo che ci sia l’autobus); preparare i piani A, B e C con un po’ di anticipo, così che tutti sappiamo che se succede X allora si passa al piano B e così via, senza stravolgerci sempre la vita la domenica pomeriggio per il lunedì mattina; darci almeno il tempo di salutare gli alunni! dismettere le tifoserie («la scuola è l’unico luogo sicuro» vs «la scuola è un luogo di contagio», «scuolaperta/scuolachiusa») e ragionare laicamente sulle sfumature di grigio.
 Ci piacerebbe soprattutto, a noi della scuola, non essere sempre e solo usati e sbandierati, e poi chiusi. Fateci qualche test in più (non parlavamo dell’invalsi) e chiedeteci qualche volta cosa ne pensiamo.


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