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Cercasi Generazione Stem

Si fa presto a dire che in Italia, dopo aver conseguito la laurea, i giovani faticano a trovare lavoro. In realtà ci sono interi settori, in continua crescita, che non trovano profili e competenze soddisfacenti.

17/07/2020
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Corriere della sera

Si fa presto a dire che in Italia, dopo aver conseguito la laurea, i giovani faticano a trovare lavoro. In realtà ci sono interi settori, in continua crescita, che non trovano profili e competenze soddisfacenti.

«Le aziende sono sempre più a caccia di profili tecnico-scientifici (Stem) e sono anche disposte a remunerarli più della media — spiega Paolo Gibello, presidente della Fondazione Deloitte — ma solo un universitario su quattro frequenta queste facoltà e da anni l’andamento è pressoché uguale».

È questo il dato che più fa riflettere dell’indagine «RiGeneration Stem» — realizzata dalla Fondazione Deloitte, in collaborazione con Swg — sulla formazione tecnico-scientifica che ieri è stata presentata a Milano.

Il contesto culturale e il ruolo delle famiglie

Tornando alla ricerca, emerge come i ragazzi siano ancora poco attratti dalle materie Stem e il 29 per cento confessa di «non sentirsi a proprio agio percependole troppo difficili per le proprie capacità». Poi, c’è anche una dispersione al momento di scegliere il percorso per via di «un contesto culturale che privilegia le materie umanistiche e, nei momenti cruciali delle scelte i giovani sono influenzati più dalla famiglia che dall’orientamento scolastico, poco efficace nell’illustrare le crescenti potenzialità occupazionali delle discipline Stem».

Per questo motivo Fabio Pompei, amministratore delegato di Deloitte, ieri ha spiegato come serva dare ai giovani e alle famiglie «un’informazione quanto più completa e innovativa possibile, per far capire esattamente il senso della scelta e l’opportunità che possono derivare da un orientamento verso le materie Stem che sono il futuro».

Il futuro per la Fondazione Deloitte passa da un concetto chiave: contaminare. In buona sostanza il nostro sistema scolastico deve favorire la pratica durante le ore di didattica e il rafforzamento di momenti di incontro con le aziende.

Un suggerimento che trova d’accordo Gianmario Verona, rettore dell’Università «Bocconi» di Milano: «Il nostro ateneo è da anni proattivo nel coinvolgere le imprese per garantire degli stage agli studenti in modo da poter mescolare la preparazione teorica alla pratica e crediamo che il mondo universitario debba interagire anche con le Istituzioni per elaborare piani strategici che abbiano delle ricadute all’interno dei programmi accademici per formare i lavoratori di domani». Verona non risparmia critiche al mondo universitario. «È autoreferenziale — dice il professore di Economia e gestione delle imprese che, nel 2016, è diventato rettore a 46 anni — in un mondo in cui serve essere flessibili. Occorre ibridare, favorire la creatività con il contributo delle aziende».

Anche Giovanni Brugnoli, vicepresidente per il Capitale Umano di Confindustria, crede che il futuro non possa prescindere dalla flessibilità perché «in una visione di lungo raggio deve cambiare celermente il mondo formativo». Il rappresentante degli imprenditori punta l’indice su alcune scelte di politica scolastica. «Le imprese manifestano disagio per uno scollamento fra noi e la scuola — continua Brugnoli — perché con l’alternanza scuola-lavoro abbiamo avvicinato un milione di ragazzi al mondo della produzione ma poi si è deciso di tagliare drasticamente questo progetto. Invece si doveva solo migliorare nei punti che avevano funzionato meno. Tanto per fare un esempio, Enel ha assunto 19 ex studenti a dimostrazione che quando si contaminano scuola e lavoro si arriva a dei risultati».

Le istituzioni e i progetti per il futuro

Le istituzioni non stanno a guardare. «Esistono degli stereotipi molto radicati che influenzano il percorso di scelta dei ragazzi — spiega Roberta Cocco, assessore alla Trasformazione digitale del Comune di Milano — e per combatterli noi abbiamo avviato il progetto “Stem in the city” che ha dato buoni risultati in città. Stiamo lavorando affinché diventi un progetto nazionale».

Il problema dell’università italiana non è solo nel numero dei laureati in materie tecnico-scientifiche. «È il numero totale che stupisce — spiega Silvia Candiani, amministratore delegato di Microsoft Italia — e poi lo sbilanciamento fra richiesta di laureati Stem e offerta è davvero uno spreco di capitale umano: 150mila posti di lavoro che non trovano candidati. Ciò si traduce anche in un gap per il sistema Paese perché questo non ha talenti in settori dove le aziende vogliono crescere per competere nel mondo. Bisogna aiutare i ragazzi negli orientamenti e aggiungere competenze a chi già lavora per colmare, in breve, la distanza col resto del mondo».

Anche per Vittorio Colao, capo della task force governativa per la fase 2, in Italia ci sono «pochi laureati e, soprattutto, rispetto alla media europea si spende un terzo in meno procapite per gli universitari: non capisco perché non siano tutti a Roma a protestare per le poche risorse destinate alla loro formazione». C’è di più. «Dobbiamo lavorare molto sul diritto allo studio e dare accesso e libera scelta a tutti ovunque si trovino nello Stivale». Colao ha anche parlato delle proposte contenute nel piano per il rilancio dell’Italia post Covid: «Ce ne sono dodici specifiche per l’istruzione e il 20 per cento di tutto quello che abbiamo proposto si concentra sul capitale umano del Paese». Per l’ex manager a capo di Vodafone bisogna lavorare in tre direzioni: «Riorganizzare tutto il complesso di Its, proporre lauree professionalizzanti e centri di ricerca; aiutare i professori e i ricercatori sia a livello di possibilità di carriera sia nelle retribuzioni che all’estero sono decisamente migliori. A un giovane per essere competitivo nel mondo del lavoro consiglierei di affinare tre competenze: quelle digitali, la capacità di risolvere problemi perché nelle aziende ci si imbatte in complessità e saper gestire un team».

Per Luciano Fontana, direttore del Corriere della Sera, «spesso in Italia conosciamo tutti i problemi e le criticità ma si rinviano le scelte coraggiose magari per non scontentare qualcuno e, alla fine, dobbiamo arrangiarci perché scontiamo il ritardo della mano pubblica». Fontana va oltre: «È vero che il nostro sistema scolastico ha dei problemi ma ci sono anche nelle imprese che non sempre valorizzano le risorse. Molte famiglie sono scoraggiate nell’investire nella formazione dei figli se pensano che, poi, questi non riceveranno soddisfazioni anche economiche».

Problemi meno presenti all’estero dove finiscono molti nostri «cervelli». «In Italia il sistema universitario ha una burocrazia più complessa, è più rigido e gerarchico — afferma Maria Pregnolato, assistant professor in Ingegneria Civile all’Università di Bristol — e manca fluidità, contaminazione fra discipline e dipartimenti. Per esempio dopo la laurea triennale molti si sentono obbligati a continuare nello stesso percorso mentre all’estero non è affatto così forse perché il clima è internazionale. Per noi docenti ci sono posizioni permanenti di pura ricerca che in Italia è difficile raggiungere. Tornare in Italia per fare un passo indietro e rallentare il proprio percorso è molto difficile ma tengo sempre un occhio aperto perché è il mio Paese».

Il rettore del Politecnico di Milano, Ferruccio Resta, trova nel confronto internazionale uno stimolo: «È utile e bisogna essere al passo con loro innovando i servizi e la formazione ma la qualità degli atenei dipende dalla qualità degli studenti e per questo bisogna attrarli e bisogna aver chiaro che non servono solo fondi ma bisogna fare sistema contaminando i saperi».

I nuovi progetti del governo sull’Università

Per il ministro dell’Università e della Ricerca, Gaetano Manfredi, serve «rafforzare la capacità di fare esperienze sul campo che consentano di far crescere quella vicinanza tra il mondo del lavoro e dello studio». Si tratta di «una grande sfida di cambiamento che sono fiducioso sapremo cogliere guardando insieme a un nuovo futuro grazie a un dialogo permanente tra il mondo dell’impresa e dell’università». Per Manfredi, è fondamentale la valorizzazione delle competenze e «oggi siamo davanti a un bivio: se non lo facciamo con i talenti sia come opportunità di carriera sia di salario, perderemo tutto il capitale umano ad alta competenza tecnologica perché le offerte provenienti dall’estero sono molto più allettanti. Abbiamo la necessità di investire in questa direzione». Il ministro Manfredi fa anche un annuncio: «Sto spingendo molto sull’idea della laurea abilitante per le professioni regolamentate in modo da entrare subito nel mondo lavoro. Abbiamo cominciato con Medicina e tra poco presenterò un disegno di legge che consentirà ad altre lauree di potere avere questa prerogativa


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