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Cambiamo l'esame di maturità, non funziona

di Roger Abravanel

02/08/2015
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Corriere della sera

A nche quest’anno al Sud i 100 e lode alla maturità continuano ad essere il doppio che al Nord. Uno scandalo perché i risultati Invalsi del 2015 hanno dimostrato esiti disastrosi e in peggioramento proprio per il Sud. All’università avviene una cosa diversa ma è un’altra faccia della stessa medaglia: il voto medio di laurea è 107 su 110 e l’inflazione dei voti è altissima. È un problema grave: si è perso il valore reale del titolo di studio. La soluzione? Accompagnare i test Invalsi all’esame di matu-rità, come prova nazionale in sostituzione di quelli di ingresso di ciascuna università. Sarebbe una vera rivoluzione.
A nche quest’anno il Corriere della Sera ha rispettato la tradizione iniziata 7 anni fa di riportare lo scandalo dei 100 e lode alla maturità che al Sud continuano ad essere il doppio che al Nord. Cambia il recordman, una volta era la Calabria e oggi la Puglia, ma il risultato no. Quest’anno lo scandalo è forse più evidente, perché qualche settimana fa sono stati presentati i risultati Invalsi del 2015 che hanno dimostrato risultati disastrosi e in peggioramento per il Sud.
All’università avviene una cosa diversa ma che è un'altra faccia della stessa medaglia. Il voto medio di laurea è 107 su 110 e l’inflazione dei voti è altissima. Non è un problema di Sud contro Nord, è ben più grave. Si è perso il valore reale del titolo di studio. Un valore importantissimo che deve determinare per chi ha senso andare alla università (e a quale università) e per chi trovare un posto di lavoro (e quale).
Perché si è arrivati a questo punto ? Come ho spiegato nel mio ultimo saggio, La ricreazione è finita , gli altri sistemi educativi utilizzano essenzialmente due metodi per certificare la qualità dell’apprendimento: il primo è un sistema di scuole e università con un chiaro ordine di merito, in cui le migliori operano una seria selezione all’ingresso e forniscono una qualificazione largamente riconosciuta a chi vi si diploma (è il caso delle public schools inglesi, delle grandes écoles francesi, dei licei tedeschi e dei sistemi scolastici in Cina, Corea e Giappone). Il secondo (in alternativa o in aggiunta) è un test standard all’uscita delle superiori, in cui il punteggio indica il livello di competenze acquisite (gli A level nel Regno Unito e il Sat negli Usa).
In Italia non abbiamo né l’uno né l’altro. Il primo non esiste perché, al di là della antica differenza tra licei e istituti tecnici e di qualche glorioso e rinomato liceo, le scuole superiori sono considerate tutte eguali e non fanno selezione sul merito all’ingresso. L’approccio da noi è sempre stato del secondo tipo, un esame di sbarramento e valutazione comune per tutti, la maturità, che ha prove scritte eguali per tutti e commissioni d’esame formate da professori di altre scuole.
Lo scandalo dei 100 e lode dimostra che questo sistema non funziona più, in gran parte perché le commissioni di esame hanno la metà di membri esterni e questi provengono dalla stessa regione. Gli insegnanti, come chiunque debba emettere un giudizio in assenza di parametri oggettivi, tendono ad adeguare il proprio metro di valutazione al livello medio di preparazione degli studenti che hanno di fronte. Se gli studenti sono valutati dai loro stessi insegnanti, quelli di una buona classe saranno mediamente giudicati con un metro più severo di quelli di una classe meno buona. E si arriva così allo «scandalo dei 100 e lode».
Perché non si riesce a cambiare? Perché le famiglie italiane non capiscono il danno che questo reca ai loro figli. Le università non si fidano del voto di maturità e si sono create i famigerati test di ingresso. A giovani eccellenti e con pochi mezzi che potrebbero ricevere borse di studio per andare nelle migliori università, vengono preferiti giovani mediocri con voti immeritati e spesso figli di evasori fiscali.
Infine, i datori di lavoro non credono più ai voti di scuole e di università (a parte pochi casi) e preferiscono assumere persone con esperienza e referenze e questo contribuisce alla disoccupazione giovanile record dei neo-diplomati e neolaureati.
La soluzione a questo gravissimo problema è già stata illustrata più volte ed è quella di accompagnare i test Invalsi all’esame di maturità, come prova nazionale in sostituzione di quelli di ingresso di ciascuna università (integrata da colloqui e altre forme di selezione). Sarebbe una vera rivoluzione. Forse da attuare nella seconda fase della «buona scuola» .


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