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"C’è la Storia nelle tracce però alla maturità si arriva impreparati"

Intervista a Anna Foa

20/06/2019
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la Repubblica

Simonetta Fiori

La Grande Guerra di Ungaretti, il Novecento narrato da Stajano, la questione dei Giusti incarnata da Gino Bartali. Mai come quest’anno la Storia si è affacciata ovunque, in ogni singola traccia e nelle diverse tipologie di testo. «Sì, impressionante », dice la storica Anna Foa, autrice di libri fondamentali sulle vicende degli ebrei, figlia della storia più alta dell’antifascismo rappresentata da Vittorio e Lisetta Foa. «Come se la Storia fosse stata ricacciata dentro a forza».

Ritiene vinta la nostra campagna?

«In parte sì. È evidente che dalla primitiva impostazione — l’azzeramento della traccia storica — una correzione c’è stata. Mi domando però perché sia stata reintrodotta così surrettiziamente.

La storia c’è, ma è meglio che non lo si dica esplicitamente. La stessa parola viene usata con molta parsimonia».

In effetti non ha senso.

«Per gli studenti, una specie di imbroglio. Prima il ministero ha dato un segnale inequivocabile: inutile che la studiate, tanto non ci sarà un tema specifico. Poi sono state presentate delle tracce che, per essere svolte in modo decente, richiedono una conoscenza della storia. Ma agli studenti non è stato detto. Così viene naturale chiedersi se si siano accostati a quei temi consapevoli della strumentazione necessaria».

Il problema è questo. Gli studenti hanno attrezzi per affrontare tracce così raffinate?

«Credo di no. Ma cosa sanno i ragazzi dei Giusti, che è un argomento di nicchia? O del post Novecento evocato da Stajano?

Conoscono poco o niente del XX secolo, figuriamoci di quel che è accaduto dopo la caduta del Muro».

Molti professori lamentano di non riuscire ad arrivare alla seconda guerra mondiale.

«Il fatto è che questi ragazzi non conoscono la storia in generale, non solo quella del secolo scorso. Quella che oggi è venuta a mancare è la coscienza della necessità del senso storico: si è perso il rapporto tra tempo e spazio, a favore dell’immediato. E non basta enunciare il problema per porvi rimedio».

Perché ha definito di nicchia il tema su Bartali che salvò numerosi ebrei?

«Non credo che ci sia una grande conoscenza dei Giusti. Con alcune scuole romane ho fatto un lavoro su questo argomento, con risultati molto soddisfacenti: ma quante scuole vi si dedicano? Oggi si dice che in classe si parla solo di Shoah, ma quando vai tra i ragazzi ti accorgi che dietro l’interesse per la tragedia umana ci può essere il vuoto: molti continuano a ignorare chi sono gli ebrei».

Le ore di storia nell’ultimo triennio restano poche: tre nei licei classici, in tutti gli altri solo due.

«È un orario ridicolo, in un paese che ha fatto della storia la base della sua cultura e del suo insegnamento.

Sarebbe il caso di riavvicinarsi alla nostra tradizione».

Che idea si è fatta di questa operazione? Formidabile make up o segno di ravvedimento?

«Chi ha preparato queste tracce ha voluto fare bella figura. Ora sarebbe il caso di concentrarsi su come i maturandi hanno affrontato la prova. E da lì ripartire per riformulare l’insegnamento della storia a scuola».

Se scendesse sulla terra il famoso marziano di Hobsbawm, solo da queste tracce si farebbe l’idea di un paese meraviglioso, che incarna la cultura della legalità, che combatte nazionalismi ed esclusioni, che tiene in grande cura il patrimonio artistico. Le pare che questa sia una fedele fotografia dell’Italia?

«No, non lo è. Da noi non solo non c’è cultura, ma oggi viene negata anche come valore. E solo a descrivere cosa siamo diventati verrebbe da piangere. Ma non è tempo di autocommiserazione».

In questi temi è rappresentata la migliore cultura democratica e antifascista. Come si concilia questo panorama intellettuale con un Paese nel quale il ministro dell’Interno liquida il 25 aprile come un derby tra rossi e neri e il ministro dell’Istruzione non partecipa alle cerimonie della Liberazione?

«Non c’è alcuna possibilità di conciliazione. Sono mondi separati e distinti che vanno in direzioni opposte. L’obiettivo verso il quale muoversi è che la cultura emersa dalle prove della maturità ridiventi una cultura vera. E non sia solo una verniciatura».

Dalle tracce mancano le voci femminili. Per lei è un problema?

«No. Si sarebbe potuto trovare il testo di una donna provvisto di eguale efficacia, ma il vero problema è la divaricazione tra una bellissima superficie e un edificio che sta cadendo a pezzi».

Che cosa sanno dei Giusti o del post

Novecento? Non ci sono voci femminili? È vero, si poteva trovare un testo ma non è questo il punto

f g


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