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Bussetti: «Più posti dal 2019 e nuova prova d’ingresso»

Il ministro: il solo quiz non basta. Verso il 30% di matricole in più

17/10/2018
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Corriere della sera

Gianna Fregonara

Più posti a Medicina «già dal prossimo anno accademico» e nuove modalità di accesso: un nuovo test, diverso da quello attuale con le 60 domande in 100 minuti, perché «così ci perdiamo troppi talenti». È la promessa del ministro Marco Bussetti. Questo sì. Del resto al ministero ne stanno già parlando da qualche mese insieme ai rappresentanti delle università. E la conferenza dei rettori ha deliberato per un aumento addirittura del 50 per cento dei posti nel giro di due anni, arrivando a quindicimila matricole nel 2021.

È di questo che si è parlato lunedì sera nel Consiglio dei ministri, almeno secondo la ricostruzione che Bussetti ha fornito ai suoi collaboratori ieri mattina: più posti per il corso di Medicina e soprattutto più borse di studio per i corsi di specializzazione, vero stretto imbuto per i medici, visto che già oggi un terzo dei laureati non trova posto per specializzarsi. E l’abolizione del numero chiuso? «In tempi medi, anzi lunghi, forse lunghissimi». L’idea comunque resta in prospettiva perché piace ai grillini e anche molto a Salvini, che vorrebbe invece mettere la tagliola per le lauree umanistiche, e a Zaia che teme l’improbabile «arrivo di medici pachistani».

Ma ieri mattina il ministro Bussetti, con la sua collega Grillo, rispondeva: «A me non risulta questa cosa. Farò le dovute verifiche ma non mi risulta nulla di simile». Persino il premier Conte avrebbe risposto così a chi cercava lumi e rassicurazioni. «La modalità di accesso alla facoltà di Medicina è un tema di cui si discute da tempo e che è anche nel contratto di governo — spiega Bussetti —. Ma non prevediamo di calare nessuna scelta dall’alto, ne parleremo con le università che devono essere nostre alleate in questo percorso».

Al Miur si parla di «un allargamento sostenibile» e Bussetti, via comunicato stampa, ieri ha anche convocato una riunione con i rettori. Questo non ha cancellato del tutto i dubbi sul futuro del test. Al ministro non piace l’idea — caldeggiata qualche settimana fa dalla ministra Grillo — del sistema francese con lo sbarramento al secondo anno: non solo prevederebbe comunque di far entrare 60 mila ragazzi (sette volte quelli ammessi ora) al primo anno, ma si rischierebbe di far perdere a questi giovani un anno di studio facendo il test alla fine del primo anno.

Preferirebbe procedere direttamente a cambiare il test: «Vogliamo ragionare su nuove modalità di ingresso», spiega. Non fa mistero, il ministro, che a lui non piace il test a crocette, così come non gli piacciono i test Invalsi, perché non fornirebbero un ritratto efficace dei candidati. Ma è vero che è anche difficile chiedere a ragazzi impegnati con la Maturità di fare un percorso di selezione più lungo. L’orientamento invece sì, questo si potrebbe fare: lo chiedono anche le Università, di lavorare nell’ultimo anno di superiori per offrire ai ragazzi corsi di orientamento che probabilmente aiuterebbero anche a ridurre il numero dei candidati al test e limiterebbero anche il business dei corsi per prepararsi alla prova di ammissione. In più se l’orientamento farà diminuire drasticamente il numero dei candidati, che da quando c’è il test sono sempre stati circa 60 mila, allora si potrà pensare di cambiare il sistema e renderlo più aperto.

Ma ora c’è da stabilire al più presto quanti posti ci potranno essere l’anno prossimo e quante borse di specializzazione. E questo «incidente» potrebbe però servire al governo nella trattativa con gli Atenei. Si discute di 12 mila matricole al posto delle attuali 9.700 (+30%). «Andremo per gradi», promette Bussetti, che sa che fondi non ce ne saranno e in queste ore è impegnato a evitare che tagli e risparmi immaginati al Mef colpiscano il suo ministero.


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