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Buona scuola, la ripresa di settembre per cambiare la legge

di Fabrizio Dacrema

06/08/2015
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ScuolaOggi

Dopo l’entrata in vigore della legge 107 del 13 luglio 2015 si è aperta la discussione su come continuare l’azione politica e sindacale per cambiare una norma che ha mantenuto un impianto contestato da un’ampia mobilitazione del mondo della scuola. 

Su questo si sono confrontati esponenti delle trentadue associazioni che hanno sottoscritto l'appello "La Scuola che cambia il Paese" in una affollatissima assemblea al Revolution Camp organizzato a Paestum dalla Rete degli Studenti e dall’Unione degli Universitari.

Il movimento nato per cambiare il disegno di legge sulla buona scuola continuerà dopo l'approvazione della legge e potrà ottenere importanti risultati se saprà evitare derive politicistiche e minoritarie.

Il successo dello sciopero sindacale e della mobilitazione messa in atto durante tutto l'iter di approvazione della legge hanno visto il protagonismo dei soggetti che il governo ha sostanzialmente escluso dal confronto sui contenuti della legge: sindacati, organizzazioni degli studenti e dei genitori, associazioni professionali e soggetti del Terzo Settore. Tutto quel variegato mondo di soggetti organizzati che rappresenta chi nella scuola studia e lavora e chi per la scuola ha interesse, impegno, conoscenza.

Il successo della mobilitazione ha confermato la rappresentatività di questi dei corpi intermedi della scuola che il governo intende emarginare programmaticamente dall'azione di governo. Mentre le scelta sbagliate contenute nella legge approvata e le già evidenti difficoltà di attuazione dimostrano che un processo ampio e complesso di trasformazione, quale è una riforma scolastica, non può essere realizzato in modo centralizzato e solipsistico senza il sapere e la partecipazione dei soggetti che rappresentano la scuola reale.

La pressione potente della mobilitazione ha prodotto aperture e ottenuto risultati significativi ma non certo sufficienti.  Al fine ha prevalso l'impostazione politicistica del rifiuto del confronto e della mediazione che sta caratterizzando lo stile politico del governo Renzi. Sarebbe un errore se la necessaria ripresa della mobilitazione autunnale facesse prevalere nel movimento derive politicistiche uguali e contrarie a quelle del governo.

Non mancano purtroppo segnali preoccupanti già nel dibattito estivo.

Nuove formazioni politiche sono pronte a buttarsi nell'avventura referendaria come occasione per affermare nuovi marchi politici, disinteressandosi dell'esito dell'iniziativa e dei conseguenti effetti sul movimento e sulle prospettive di cambiamento della legge.

Il prevalere nelle azioni e nella comunicazione politica di logiche tipiche dell'opposizione politica non potrebbe che dividere e indebolire lo schieramento, finora molto ampio, che si è battuto per cambiare la legge. Oltretutto il prevalere della dinamica governo/opposizione politica non farebbe altro che portare acqua al mulino renziano dell’irrilevanza dei corpi intermedi e della fine del dialogo sociale.

Al centro della mobilitazione autunnale non dovrà esserci la logica referendaria, quasi che il problema sia il ritorno allo statu quo ante perché la scuola già oggi, prima dell'entrata in vigore della legge 107/2015, presenta diseguaglianze e limiti inaccettabili.

Solo un progetto di cambiamento generale del sistema educativo italiano e una piattaforma di proposte fortemente innovative potrà produrre un'alleanza tra mondo della scuola e Paese capace di avere il consenso necessario per cambiare la rotta del governo.

La ripartenza degli investimenti nella scuola pubblica e dell'autonomia scolastica potrà infatti essere messa sul binario giusto soprattutto attraverso l'azione tipica delle forze sociali che rappresentano la scuola reale: conflitto e proposta, mobilitazione, confronto e contrattazione.

Solo in questo quadro acquista forza e senso anche l'eventuale ricorso all'azione referendaria, come una sorta di "abrogazione costruttiva" necessaria per sostituire la proposta giusta alle soluzioni sbagliate presenti nella legge.

La ripresa civile, sociale ed economica del Paese esigono un profondo cambiamento della scuola italiana a partire da un rilancio dell'autonomia scolastica come strumento per ridurre le inaccettabili diseguaglianze territoriali e socio-culturali.

Occorre una governance nazionale capace di "dare di più a chi ha di meno" in termini di investimenti economici e professionali. Ne consegue la necessità di correggere tutte le parti della legge che favoriscono un paradossale flusso inverso delle risorse.

La messa in moto delle energie della scuola deve trovare soluzioni rispondenti alla complessità della comunità educativa per la quale non servono logiche gerarchiche e monocratiche ma l’attivazione di processi di cooperazione e partecipazione, nella singola scuola e nella più ampia comunità territoriale.

La riconquista del contratto è la via principale per battere la logica schiettamente padronale, che accomuna Jobs Act e Buona Scuola, secondo cui per migliorare la qualità del lavoro si deve indebolire il lavoratore nei confronti del datore di lavoro.

In quella sede dovranno essere definite in modo negoziale nuove norme per coniugare flessibilità e trasparenza nell'assegnazione degli insegnanti alle scuole sulla base delle esigenze espresse nei piani dell'offerta formativa e per riconoscere il merito professionale con criteri improntati a scientificità e terzietà.

Sul versante del rapporto scuola lavoro il combinato disposto delle nuove norme sull'apprendistato contenute nel decreto legislativo sul Jobs Act e di quelle presenti nella legge 107/2005 delinea la prevalenza di una via bassa e dequalificata all’alternanza duale che può e deve essere contrastata attraverso lo sviluppo della capacità formativa delle imprese, la valorizzazione del ruolo delle parti sociali, la garanzia di  standard di qualità dei percorsi in alternanza, il superamento dell'ingresso precoce nei percorsi formativi in apprendistato e la loro finalizzazione al conseguimento di diplomi di istruzione.

Rimettere sul binario giusto il treno dell'autonomia scolastica rappresenta il primo passo per un processo di cambiamento che, per superare i limiti strutturali del sistema educativo italiano, deve riformare i cicli scolastici della formazione iniziale, ripensandoli come parte del più ampio sistema dell'apprendimento permanente.

Porre al centro del confronto autunnale un progetto generale di cambiamento del sistema educativo finalizzato a superare il gap nei livelli di istruzione e di competenza della popolazione che ci divide dagli altri paesi sviluppati significa entrare direttamente nel confronto sulle scelte necessarie per lo sviluppo del paese.

Il primo obiettivo sarà, infatti, evitare che l’annunciata riduzione della pressione fiscale, il cui effetto a breve sulla ripresa è tutto da dimostrare, sia contrapposta agli investimenti nella qualità del capitale umano, fattore essenziale di una crescita solida e stabile