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Buona scuola, due milioni di firme ma ancora non bastano

Prorogata la scadenza per raccogliere le firme per il referendum sulla Buona scuola. Uno dei quesiti punta ad abrogare la norma sul bonus sul merito e sui comitati di valutazione, che molti professori stanno già boicottando

06/07/2016
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Corriere della sera

Valentina Santarpia

Due milioni di firme per cassare la riforma della scuola targata di Renzi: è questo il risultato raggiunto finora dai promotori del referendum per dire no alle chiamate dirette dei professori, ai finanziamenti alle scuole private, all’alternanza scuola lavoro fissata per legge, alla valutazione dei docenti attraverso le scelte del preside e del comitato di valutazione. Ma non basta. I sostenitori dei 4 quesiti abrogativi della «cattiva scuola del governo Renzi» hanno deciso di posticipare di qualche giorno la decisione sulla consegna delle firme in Cassazione, inizialmente prevista per oggi, martedì 5 luglio. «La soglia minima di 500.000 firme a quesito non garantisce margini di sicurezza: una parte dei moduli arrivati al comitato nazionale infatti - spiegano - presenta degli errori formali, quali la non certificazione o la mancata autenticazione». Il rischio, in parole povere, è che non tutte le firme siano valide e che quindi venga vanificato «il grande sforzo e l’enorme lavoro delle decine di migliaia di militanti in tutta Italia»: ci sono «margini di errori e inesattezze a cui è possibile rimediare, ma con un po’ di tempo in più». La protesta per cambiare la riforma è stata appoggiata da tutti i sindacati della scuola, che dopo aver portato in piazza 500 mila persone - con il famigerato sciopero che ha riunito le sigle- hanno deciso di appellarsi alla partecipazione popolare. Il 18 aprile scorso, con una campagna sui social network lanciata ad hoc al grido di «scuorum», è partita la raccolta firme per chiedere il referendum. In parallelo, partiva il boicottaggio sotterraneo della riforma, attraverso il sabottaggio sui comitati di valutazione. Che non piacciono: in 3 scuole su 4 - sondaggio del Miur-gli insegnanti sono contrari o molto dubbiosi di fronte al bonus al merito e alle procedure previste per l’erogazione dei fondi ministeriali agli istituti.

La muta ribellione

I comitati sono composti dal dirigente scolastico (che presiede), tre docenti, due genitori (dall’infanzia alle medie) oppure un genitore e uno studente (alle superiori), e un componente esterno individuato dall’Ufficio scolastico regionale. E hanno il compito - in base alla legge 107 - di definire i criteri con cui assegnare il fondo destinato al merito dei docenti, circa 200 milioni, ovvero ion media 23 mila euro per istituto. Collegi dei docenti e collegi di istituto (genitori e professori, quindi) hanno fatto resistenza per non eleggere i propri rappresentanti. E anche quando il Miur ha chiarito che i comitati avrebbero lavorato egualmente, anche senza tutti i rappresentanti, gli insegnanti hanno cercato di continuare l’ostruzionismo provando a rifiutare il bonus per il merito. Una protesta silenziosa partita da Milano e Bologna che si sta allargando a macchia d’olio a Firenze e Roma: il riconoscimento è considerato ingiusto visto che i criteri sono arrivati solo alla fine dell’anno, e molto spesso si tratta di parametri diversissimi tra loro e discutibili. Ma anche questa forma di muta ribellione probabilmente finirà nel niente, visto che i dirigenti scolastici hanno l’obbligo di assegnare comunque il premio, e i docenti di accettarlo, anche se poi possono decidere di destinarlo a progetti speciali per la didattica.

I quesiti del referendum

È per questo che l’unica strada maestra per gli oppositori della riforma resta il referendum. Il primo quesito punta proprio a eliminare il bonus. Si contesta il principio che la valutazione sia prerogativa di uno solo e che il salario accessorio non passi dalla contrattazione, come i sindacati chiedevano. «Quello che i sindacati non tollerano è l’idea che il dirigente scolastico diventi anche autorità salariale», ha detto Mimmo Pantaleo, segretario FLC CGIL. Che critica anche la cifra irrisoria (circa 270 euro lordi) che andrà a premiare appena il 10 per cento dei docenti. Anche un altro dei quesiti referendari è volto a limitare i poteri dei presidi, in particolare la possibilità di scegliere e confermare i docenti. Una forma di «chiamata diretta» che - sostengono i promotori del referendum - può generare fratture tra scuole d’eccellenza e scuole di scarto, dove andranno a finire i docenti che nessun preside vuole. Un altro quesito mira ad abrogare le norme sui finanziamenti privati a singole scuole. L’ultimo, ad eliminare l’obbligo di almeno 200-400 ore di alternanza scuola-lavoro. Troppo lavoro e troppo difficile reperire le aziende che ospitano gli stagisti: meglio lasciar scegliere ai singoli istituti, propongono i sostenitori del referendum, quante ore fare e come. Il comitato si era dato tre mesi di tempo per raccogliere le firme necessarie. Ma «ci sono moltissime altre firme raccolte e rimaste ancora nelle sedi sindacali o dei comitati locali che non sono pervenute a Roma in tempo utile», sostengono oggi i promotori. E «considerando che nella conta della Cassazione si perde generalmente una percentuale del totale delle firme raccolte per errori di questo tipo», meglio «non correre il rischio». Di qui la decisione di rinviare, almeno per ora, la scadenza.


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