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Brexit, l’allarme della Royal Society «Senza fondi Ue, ricerca a rischio»

Il presidente Ramakrishnan preoccupato che il governo inglese da solo non riesca a mantenere il livello di finanziamenti garantito finora dall’Ue. «Abbiamo bisogno di continuare ad accogliere ricercatori dall’estero»

25/06/2016
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Corriere della sera

Orsola Riva

Fra i suoi membri di ieri e di oggi annovera Isaac Newton e Alessandro Volta, Locke, Leibniz e Einstein, Stephen Hawking e Carlo Rubbia. Parliamo della Royal Society, la più antica associazione accademica esistente (la sua fondazione risale al 1660): il simbolo dell’eccellenza scientifica britannica, di quell’empirismo inglese che per secoli si è caratterizzato per le sue porte aperte alle migliori intelligenze scientifiche del mondo. Ebbene proprio dalla Royal Society arriva un grido d’allarme per il futuro della ricerca britannica che potrebbe subire una drammatica riduzione di fondi a causa della decisione di uscire dell’Unione Europea.

Rischio tagli

Il presidente dell’augusta istituzione britannica, il biochimico e biofisico di origine indiana Venkatraman Ramakrishnan (!), ha lanciato oggi un appello affinché «la ricerca, che è il fondamento di un’economia sostenibile, non subisca tagli» e «il governo assicuri che il livello complessivo dei finanziamenti sia conservato». In passato, dice ancora nella sua nota il presidente della Royal Society, «la scienza britannica è stata ben sostenuta dai fondi europei, che sono stati un’integrazione essenziale ai fondi britannici per la ricerca». Anche nell’ultima tornata degli Erc Advanced Grants, il fondo da 647 milioni di euro assegnato ad aprile ai ricercatori senior di 21 Paesi, il Regno Unito si è aggiudicato più borse di tutti: 69 su 277, contro le 43 della Germania, le 30 della Francia, le 21 dei Paesi Bassi, le 20 della Svizzera e le 19 dell’Italia. Il venire meno di questi finanziamenti dovrà quindi essere necessariamente compensato dal governo britannico.

Rischio isolamento

Ma c’è ancora un altro punto che preoccupa la Royal Society ovvero che possa venire meno il carattere internazionale della ricerca (a dispetto dello spirito insulare britannico di cui si è tanto parlato in questi giorni e che è drammaticamente prevalso nelle urne): «Uno dei punti di forza maggiori della ricerca britannica - fa notare Ramakrishnan - è sempre stata la sua natura internazionale e abbiamo bisogno di continuare ad accogliere ricercatori e studenti che arrivano dall’estero. Qualsiasi insuccesso nel mantenere immutato il libero scambio di persone e idee tra la Gran Bretagna e la comunità scientifica internazionale, compresa quella europea, potrebbe seriamente danneggiare la scienza britannica».


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